Sgombriamo subito il campo da un equivoco: le Labelle non appartengono alla categoria degli one hit wonder, meteore baciate da un unico successo. Sarebbe un delitto identificarle con la sola Lady Marmalade, che nel novembre 1974 arrivò al N°1 della classifica americana di Billboard e che tutti ancora oggi ricordano come un infallibile riempipista in discoteca. Perché se è vero che Patti LaBelle (all’anagrafe Patricia Louise Holte, di Philadelphia), Nona Hendryx e Sarah Dash (entrambe di Trenton, in New Jersey) non hanno mai più avuto in carriera risultati commerciali altrettanto eclatanti, hanno condiviso una storia importante che affonda le radici nel decennio precedente e che è stata presa a modello da molte artiste delle generazioni successive.

Patti LaBelle, Sarah Dash, Nona Hendryx

In quel 1974, quando a dominare le classifiche statunitensi erano Elton John, i Santana e Crosby, Stills, Nash & Young con i loro “greatest hits ” mentre in Inghilterra impazzavano David Bowie, Band On The Run di Paul McCartney, il glam rock e il Philly Soul, si trovavano a un bivio e vivevano un momento delicato. Negli anni 60, con il nome di Bluebelles (in seguito Patti LaBelle and the Bluebelles), avevano messo in fila una bella sequenza di 45 giri di successo grazie a una serie di ballate interpretate in stile doo-wop, adattando al classico stile vocale afroamericano anche vecchi standard da film e da commedia musicale come Over The Rainbow e You’ll Never Walk Alone. Poi, nel 1971, persa per strada già da qualche anno Cindy Birdsong passata alle Supremes, avevano partecipato come coriste alla registrazione del magnifico Gonna Take A Miracle di Laura Nyro, l’album di cover con cui la cantautrice newyorkese rendeva omaggio alle canzoni soul e r&b che aveva amato da ragazza sotto la direzione dei maghi del Sound Of Philadelphia, Kenny Gamble e Leon Huff.

Un bel modo, anche per loro, di chiudere un capitolo e di aprirne un altro alla ricerca di nuove direzioni. A partire da quello stesso anno pubblicano 2 album per la Warner Bros. Records e 1 per la RCA, mescolando composizioni originali di Nona, unica autrice del trio, a cover di brani rock (Rolling Stones, Who), a canzoni d’autore contemporanee (Carole King, Cat Stevens) e a pezzi firmati da colossi della black music come Gil Scott-Heron e Stevie Wonder. La critica apprezza, ma la risposta del pubblico è tiepida: di nuove hit, neanche l’ombra. È proprio il tour nordamericano del ’73 di spalla agli Stones a convincere la Epic a metterle sotto contratto progettando la prossima mossa, una spedizione ai Sea-Saint Studios di Allen Toussaint a New Orleans per metterle in contatto con i migliori musicisti della Big Easy: Toussaint stesso, produttore, arrangiatore, compositore e pianista dal tocco magico che è un vero e proprio deus ex machina della scena locale, più ¾ di quella macchina del ritmo che sono i Meters (Art Neville all’organo, George Porter Jr. al basso, Leo Nocentelli alla chitarra elettrica) e altri session men locali compresa una sezione fiati di 6 elementi.

«All’epoca mandavamo un sacco di artisti da Toussaint», ha ricordato qualche anno fa Gregg Geller, l’allora A&R della Epic, al mensile inglese Mojo. «Era il momento in cui Kool & The Gang facevano Funky Stuff e Hollywood Swinging, volevo mettere a fianco delle Labelle una sezione ritmica funky e mi si accese una lampadina in testa: nessuno era più funky dei Meters e di Allen Toussaint».

È la scelta giusta. Sotto la guida di un maestro geniale come Toussaint, gentiluomo affabile e dai modi garbati, in studio si respira un’atmosfera rilassata e familiare, ogni sera una signora che abita nei paraggi porta in studio del buon cibo casalingo da consumare tutti insieme, si lavora a stretto contatto e il 1° pezzo che finisce su nastro è proprio Lady Marmalade, una canzone che il veterano (bianco) Bob Crewe, autore con Bob Gaudio dei grandi successi di Frankie Valli e dei Four Seasons, ha scritto con Kenny Nolan per il gruppo proto-disco di quest’ultimo, gli Eleventh Hour; e che decide di fare ascoltare alle ragazze al pianoforte prima che salgano a bordo dell’aereo che le porterà in Louisiana. Il malizioso testo è perfettamente in tema con l’ambientazione del nuovo Lp: parla dell’incontro per le strade di New Orleans fra un uomo e una prostituta creola ed è scandito dal famoso ed esplicito invito in francese ripetuto durante il refrain (Voulez-vous coucher avec moi, ce soir?) di cui Patti giurerà di avere scoperto con un certo imbarazzo il significato solo in seguito.

L’impatto è esplosivo, il pezzo ballabile, impertinente, frizzante, irresistibile. LaBelle canta con potenza, sensualità e sfacciataggine debordante, la tosta Hendryx e la sexy Dash fanno scintille ai cori, mentre sostenuta dagli sfavillanti ottoni e dalle tastiere di Neville (organo), Toussaint (piano elettrico) e James “Budd” Ellison (piano acustico) la sezione ritmica composta da Nocentelli, Porter Jr. e Herman “Roscoe” Ernest III alla batteria romba come una fuoriserie in parata per le strade del Quartiere Francese.

L’album Nightbirds non potrebbe avere un incipit migliore: la buona notizia è che le altre 9 canzoni in scaletta fanno da degno e coerente corollario al pezzo trainante. Con altri colleghi Crewe scrive anche It Took A Long Time, una dolce ballata soul incorniciata dagli strumenti a fiato, mentre Ellison ed Edward Batts, futuri collaboratori di Patti anche nel corso della sua carriera solista, firmano il 2° e ondeggiante singolo What Can I Do For You?, dove l’interplay fra le 3 cantanti è travolgente e dopo circa 3 minuti e ½ la leader si produce in un acuto squassante. Toussaint regala al trio Don’t Bring Me Down, sottolineata da un bel riff chitarristico di Nocentelli; e il vivace, pianistico tributo di All Girl Band, mentre il resto è tutta farina del sacco di Hendryx, songwriter prolifica e futura artista solista di valore oltre che collaboratrice dei Talking Heads: Somebody Somewhere e Are You Lonely? s’immergono fino al collo nel groove della Crescent City, Nightbird apre una parentesi sognante e delicata mentre Space Children (lato B del 45 giri di Lady Marmalade) assorbe ritmi reggae e percussioni latine.

Sono tutte occasioni buone per esplicitare nei testi quello che lei stessa definisce il suo womanifesto: una visione del mondo in ottica femminile contemporanea che non rifugge i temi della sessualità e dell’erotismo: tanto da indurre Patti a cantare, nel passionale slow finale You Turn Me On, un testo ben più esplicito di quello del loro smash hit (“Vengo come la pioggia scrosciante/ogni volta che chiami il mio nome ”). Nel contesto del disco e del periodo storico, è un messaggio forte di empowerment e di emancipazione che fa il paio con la scelta, sul palco, nei filmati promozionali e nelle apparizioni televisive, di un abbigliamento kitsch in stile disco glam tra piume, spacchi e fascianti tute spaziali argentate: fantasmagoriche creazioni su misura create apposta per loro da Larry LeGaspi, titolare della boutique Moonstone nell’East Village newyorkese.

L’album supera 1.000.000 di copie vendute negli Stati Uniti, le Labelle diventano le prime artiste pop e di pelle nera a esibirsi al Metropolitan (il tempio della lirica newyorkese) e a finire sulla copertina di Rolling Stone mentre Lady Marmalade entra definitivamente nella storia quando la Library of Congress americana decide di includerla nel National Register delle incisioni culturalmente, storicamente o artisticamente significative. A dispetto delle tante cover che spesso non le rendono giustizia e ne perdono il feeling originale (compresa quella troppo sopra le righe registrata da Christina Aguilera, Mýa, Pink e Lil’ Kim per la colonna sonora del film Moulin Rouge), quella canzone e l’intero Nightbirds meritano di essere affrancati da ogni fraintendimento e svalutazione: non contengono soltanto i germi di certa disco music ma sono stati, soprattutto, una potente espressione del più puro New Orleans Sound (veicolato da 3 formidabili voci) nel momento in cui nessuna altra città al mondo era così funky, sensuale ed eccitante.

Labelle, Nightbirds (1974, Epic)