A distanza di 6 anni da Sogno di una notte di mezza estate, Daniel Auteuil torna dietro alla macchina da presa con La misura del dubbio (Le Fil), avvincente dramma processuale ispirato a una storia vera. Curata dallo stesso Auteuil in collaborazione con Steven Mitz, la sceneggiatura è stata infatti adattata dal racconto Au Guet-Apens, chroniques de la justice pénale ordinaire di Maître Mô, pseudonimo di Jean-Yves Moyart, stimato avvocato difensore che in un blog raccontava le sue esperienze in aula.

Daniel Auteuil

Presentato in anteprima al 77° Festival di Cannes, La misura del dubbio racconta la vicenda dell’avvocato Jean Monier (Daniel Auteuil) nel caso istruito contro Nicolas Milik (Grégory Gadebois), padre di famiglia accusato di aver ucciso la moglie.

Da quando ha fatto assolvere un assassino recidivo, Monier non accetta più casi di giustizia penale. Una sera, l’ex moglie Annie (Sidse Babett Knudsen) con la quale condivide lo studio visti i buoni rapporti mantenuti, riceve una telefonata dalla Gendarmerie che richiede un avvocato d’ufficio. Visto che è molto affaticata, Jean decide di farle un favore prendendo il suo posto con il proposito di consegnarle le carte il giorno dopo.

Grégory Gadebois

Milik è come un gigante buono, senza precedenti, che soffre per la lontananza dai suoi 5 figli e per l’omicidio della moglie che non potrà mai più rivedere: un’alcolista che spesso dormiva sulle panchine e tutti sapevano quanto fosse pessima come madre. Il suo unico amico, arrestato insieme a lui per complicità, è un ex soldato proprietario del bar dove l’imputato è stato visto per l’ultima volta.

Tutto, in buona sostanza, congiura per far vacillare le certezze dell’avvocato; il quale, convinto dell’innocenza del suo cliente, è disposto a tutto pur di fargli vincere il processo in Corte d’Assise ritrovando così il senso della propria vocazione. Ma a quale prezzo?

La misura del dubbio è stato girato in Camargue, unica licenza che Auteuil si è concesso dalla storia poiché parte integrante del suo vissuto personale. All’inizio poco riconoscibile, la Camargue si fa via via più presente con i suoi colori e le sue stagioni che si rincorrono con lentezza, come le tempistiche processuali.

Nonostante l’argomento trattato, il film scorre placido senza che lo spettatore venga mai realmente sorpreso dagli accadimenti, come a voler seguire il medesimo percorso interiore del protagonista: senza drammi, prendendo ciò che la vita è in grado di offrire e cercando, con calma e serenità, di ricavarne il meglio.