Un destino strano e bifronte, quello della icona brasiliana Astrud Gilberto, scomparsa 83enne a Filadelfia, negli Stati Uniti, il 5 giugno scorso. Famosissima a livello planetario per la sua interpretazione vocalesussurrata, flebile, soffice, sognante, suadente – di The Girl From Ipanema, la canzone che nel maggio del 1964 fece esplodere nel mondo la moda della bossa nova. Ma neanche accreditata sulla copertina dell’album Getz/Gilberto che la conteneva, un successo da mezzo milione di copie vendute negli Usa; né sull’etichetta del singolo che sul lato b riportava Corcovado, un altro pezzo cantato dalla 24enne ragazza di Salvador di Bahia.

Astrud Gilberto
(1940-2023)

È stata una favola agrodolce, la sua, nata da un episodio fortuito e da un azzardo vincente di cui furono soprattutto altri ad avvantaggiarsi. Agli A&R Studios di New York, nel marzo del 1963, aveva accompagnato alle session di registrazione dell’Lp suo marito João, pioniere di quel nuovo stile nato a fine anni 50 a Rio de Janeiro e che innestava il fraseggio del cool jazz nordamericano sui ritmi del samba inventando un sound minimalista dalle sequenze armoniche e dalle strutture ritmiche inusuali. E s’era subito offerta di cantare le strofe in inglese che il paroliere Norman Gimbel (poi autore del testo di Killing Me Softly With His Song di Roberta Flack e del tema conduttore del telefilm Happy Days) aveva aggiunto a quelle in portoghese di Garota de Ipanema: un pezzo scritto nel 1962 dal compositore/pianista Antonio Carlos Jobim e dal poeta e paroliere Vinícius de Moraes, affermati artisti di mezza età incantati dalle movenze flessuose della teenager Heloísa Pinheiro che ogni giorno andava in spiaggia passando davanti al bar Veloso dove i 2 si ritrovavano a bere insieme (non erano i tempi del “politically correct “).

Era lei la ragazza alta e abbronzata che a ogni passaggio faceva sospirare gli astanti, anche se poi gli ascoltatori associarono la sua immagine a quella di Astrud, allora in realtà già sposata e con prole. «Non era una cantante professionista, ma era l’unica vittima che si trovasse lì quella sera», ricordò anni dopo Creed Taylor, il produttore della Verve Records piazzato al banco di regia con a fianco il leggendario fonico Phil Ramone e con le orecchie ben spalancate. “Vittima ” è il termine giusto: lo scafato Taylor e Stan Getz, il leggendario sassofonista che 2 anni prima assieme al chitarrista Charlie Byrd aveva aperto al Jazz Samba le porte del mercato nordamericano con un fortunato album omonimo che aveva fatto breccia anche presso il pubblico pop, si resero subito conto di avere tra le mani una bomba; e proprio Stan tramò in modo che l’inesperta e ingenua signora Gilberto non percepisse alcuna royalty per la sua prestazione.

Stan Getz
© Lee Tanner

«Allora era solo una casalinga» dichiarò con tono sprezzante al giornalista Les Tompkins, come ha ricordato in questi giorni il quotidiano inglese Independent. «L’ho inclusa io nel disco», aggiunse, «perché volevo che The Girl From Ipanema venisse cantata in inglese e João non era in grado di farlo. La canzone fu un successo e per lei quello fu un colpo di fortuna». Vero e non vero. Astrud, che non era una novizia e con il marito si era esibita spesso in Brasile, ci costruì sopra una carriera proseguita fino ai primi anni 2000 con dischi eleganti e di richiamo internazionale (ha cantato anche in italiano) e altre collaborazioni importanti (Chet Baker su tutti), diventando un modello di riferimento per cantanti new cool e pop jazz anni 80 quali Sade, Basia e Tracey Thorn degli Everything But The Girl. Ma per il suo fondamentale apporto a quel brano, che nella versione “tagliata ” pubblicata su 45 giri e priva della parte cantata in portoghese dal marito raggiunse la Top 5 negli Stati Uniti, vendette 5.000.000 di copie nel mondo e vinse un Grammy incassò la ridicola cifra di 120 dollari, la paga prevista per un turno di lavoro serale dal sindacato dei musicisti americani (João ricevette un cachet di 23.000 dollari mentre si stima che Getz, con le sue royalty, si mise in tasca quasi 1.000.000 di dollari).

La voce sommessa di João Gilberto e le note pizzicate/sincopate della sua chitarra acustica; il pianismo lirico ed essenziale di Jobim; il contrabbasso di Sebastião Neto; la batteria agile in puro stile bossa jazz di Milton Banana e soprattutto il sax tenore dalle tonalità morbide, profonde e notturne di Getz, “purista-melodista ” cresciuto alla scuola di Gerry Mulligan, marchiavano in maniera inconfondibile il sound rilassato e soft del pezzo. Ma senza quella voce seducente che accarezzando le parole in inglese emergeva dal canale sinistro dello stereo, probabilmente The Girl From Ipanema non avrebbe mai sfondato negli Usa e nel resto del mondo. Il segreto? «Non sono una sociologa, ma credo che quello fosse un periodo in cui la gente negli States volesse rivolgere la sua attenzione a qualcosa di diverso dai suoi problemi interni», dichiarò molti anni dopo Astrud a Doug Ramsey, autore delle note di copertina della ristampa datata 1997 di Getz/Gilberto, riferendosi all’umore di una nazione turbata dalla guerra in Vietnam e ancora traumatizzata dall’assassinio di John Fitzgerald Kennedy.

João Gilberto

L’avevano fissata su nastro poco più di 8 mesi prima, il 18 marzo del 1963, primo dei 2 giorni dedicati alle sedute d’incisione di 1 album che avrebbe fatto a sua volta epoca conquistando 5 Grammy. Quel sapore esotico e irresistibile, quell’atmosfera sensuale, romantica e sognante, abitavano tutti i 33 minuti e 46 secondi dell’Lp, tutte le sue 8 canzoni. Corcovado (Quiet Nights Of Quiet Stars) che si apriva come una torch song e in cui la Gilberto cantava un altro testo in lingua inglese (stavolta opera di Geoff Lees), O Grande Amor, Vivo Sonhando, Só Danço Samba che per qualche minuto alzava il ritmo e il tasso di swing, la celebre Desafinado che Getz aveva incluso nel 1962 in Jazz Samba. Tutte firmate da Jobim (lui sì accreditato in copertina con un featuring), con de Moraes, da solo o con Newton Mendonca, mentre la cantilenante Doralice portava la firma di Antônio Almeida e Dorival Caymmi, che con il suo samba-canção aveva anticipato la bossa nova; e Para Machucar Meu Coração era una cover ripresa dal repertorio di Ary Barroso, altra leggenda brasiliana, personalità televisiva e autore di molte canzoni per Carmen Miranda.

Non una nota in più, mai uno sfoggio inutile di virtuosismo, anche se, oltre a quelle dei coniugi Gilberto, erano la voce calda del tenore di Getz e il suo “vibrato controllato ” a “cantare ” in perfetta simbiosi con le trame strumentali dei brasiliani, con João e Antonio Carlos che capivano il suo linguaggio e che da lui erano capiti. Dipinto da molti come un eroinomane privo di scrupoli, un donnaiolo rapace e impenitente (durante il tour di promozione del disco, nel 1964, ebbe anche una relazione con Astrud, fresca di divorzio), un cinico pronto se necessario a calpestare chiunque («Perché, gliene hanno impiantato uno?», commentò il suo ex collaboratore Bob Brookmeyer quando venne informato di una sua operazione al cuore) Getz aveva comunque un tocco magico, una visione artistica lucida e un intuito infallibile. Onore a lui, dunque, per questo incantevole disco. Se non che, a consegnarli le chiavi del Paradiso e a fare la sua fortuna commerciale fu quella brunetta di Salvador di Bahia dall’aria compita e posata, quella “casalinga ” che si vantava di avere scoperto. Mentendo e sapendo di mentire.

Stan Getz and João Gilberto featuring Antonio Carlos Jobim, Getz/Gilberto (1964, Verve)