Dopo i biopic su Freddie Mercury (Bohemian Rhapsody, 2018), Elton John (Rocketman, 2019) e David Bowie (Stardust, 2020), approda al cinema Lei, la Regina del Soul, l’unica e sola Aretha Franklin (1942-2018), la prima donna a fare il suo ingresso nella Rock and Roll Hall of Fame. E non può che intitolarsi Respect (citando una fra le sue più celebri canzoni) il film diretto da Liesl Tommy che racconta dagli anni 50 agli inizi degli 80 la storia della vocalist che più e meglio di ogni altra ha saputo incarnare la musica e le grandi rivoluzioni culturali per i diritti delle donne e di tutta la comunità afroamericana.
Siamo nei 50s quando la piccola Ree-Ree (la chiamavano così in famiglia), figlia del Reverendo C.L. Franklin (Forrest Whitaker), canta il gospel per lui e la sua confraternita religiosa. A Detroit suo padre è una specie di celebrità: il 1° a dare vita alla “grande chiesa” radunando fino a 5.000 fedeli in preghiera. Divorziato dalla moglie Barbara (Audra McDonald) è noto per le sue battaglie per i diritti civili combattute al fianco di Martin Luther King, con il quale gira l’America in lungo e in largo insieme alla figlia.
Aretha Franklin (una sublime Jennifer Hudson) vive insomma di musica e di religione, spinta dai più alti ideali e convinta che cambiare il mondo sia possibile. Ma la vita le presenta presto il conto: l’adorata mamma muore all’improvviso lasciandola chiusa nel suo mutismo; ha il 1° dei suoi 4 figli a 12 anni, il 2° a 14 e a 19 incontra Ted White (Marlon Wayans), lo sposa e va a vivere con lui a New York lasciandosi alle spalle il padre.
Imporsi nella musica, però, sembra impossibile. Solo quando decide da sola, finalmente libera dal giogo di un padre/padrone e di un marito sempre più violento, Aretha incide nel 1967 la sua prima hit: la versione da lei arrangiata di Respect, scritta nel 1965 da Otis Redding, la fa volare alta in classifica con l’accompagnamento ai cori delle sorelle Carolyn ed Erma.
Quando la sua vita sembra sul punto di svoltare, l’assassinio di Martin Luther King, il peso degli anni trascorsi a inseguire il successo e la lontananza dalla chiesa e dalla famiglia sono un mix esplosivo che la avvolge in una spirale di alcolismo e di autocommiserazione. Solo la profonda fede in Dio e l’amore per la musica la faranno tornare alla vita, insieme alla sua voce carica di dolore e di gioia, di picchi improvvisi e di bassi strazianti, grazie alla quale ogni singola parola sembra sgorgarle dall’anima.
Respect è stato a lungo discusso dai produttori e dalla stessa Aretha. Per 4 anni, ogni 2 mesi, Scott Bernstein e Harvey Mason Jr l’hanno contattata decidendo insieme a lei il taglio migliore da dare alla storia. The Queen of Soul ha inoltre scelto personalmente l’attrice che l’avrebbe interpretata: Jennifer Hudson. E quest’ultima non l’ha certo delusa ritraendola irrequieta e triste, forte e caparbia. Una giovane cantante costretta a farsi largo in una società maschilista e ancora troppo bianca (al di fuori dell’etichetta discografica Motown), dove qualsiasi ragazza educata del Sud fatica a farsi ascoltare e rispettare.
Se i costumi e le ambientazioni di Respect sono curatissimi, a farla da padrona è ovviamente la musica. Alcune scene in particolare (quando ad esempio Aretha interpreta (You Make Me Feel Like) A Natural Woman davanti a un pubblico di sole donne in visibilio) ci fanno comprendere quanto questa donna forte eppure così fragile abbia dato al mondo, in termini di consapevolezza e di puro piacere musicale. Ed è sulle toccanti note di Amazing Grace che si chiude il film.