Parigi. Un nome, un mito, un luogo che nell’immaginario collettivo richiama la vita pulsante, la bellezza, l’eleganza, il lusso. E anche, a un livello meno banale, lo spirito più puro di ciò che potremmo definire “essenza francese”: ossia i grandi artisti, letterati, musicisti, scienziati, intellettuali che qui sono nati o hanno svolto la loro attività contribuendo al prestigio della “città-nazione”; o essendone stati, loro stessi, (ri)generati. Sulla capitale francese si è scritto e detto molto, ma forse non si è colta del tutto la “vera” Parigi: quella, cioè, che si nasconde dietro gli abusati “cliché” da cartolina. Sempreché possa esistere una “altra” città che non si lasci subito percepire; o forse, dobbiamo credere che la percezione di una cosa ce la restituisce nella sua originale natura… In ogni caso, se superiamo il primo impatto nell’incontro con la Ville Lumière, ci rendiamo conto che anzitutto il nome “Parigi” indica molteplici entità che rappresentano le sfaccettature di un tutto. La Parigi Trionfale, ad esempio. Quella dei grandi assi viari che il Barone Haussmann (Prefetto della Senna nel periodo 1853-1870) utilizzò per razionalizzare la circolazione risalente al Medioevo e per tenere a bada la parte est focolaio di rivoluzioni. La Parigi Medievale, appunto, che per secoli dominò intellettualmente l’Europa e oggi ci lascia pochi ma suggestivi segni nel tessuto urbano (basti pensare alla cinta muraria diFilippo Augusto, o al nucleo originario del Louvre). La Parigi delle Grandi Esposizioni, che ci ha dato l’inizialmente disprezzata Tour Eiffel (oggetto di stupore, se pensiamo alla perizia ingegneristica in grado di sostenere un tale colosso) e i Palais della Rive Droite, nonché il ponte Alexandre III. La Parigi dei “villages” integrati nel 1860 alla capitale e ora a loro volta circondati dalla “banlieue”: Montmartre a nord, Belleville a est, o ancora Neuilly, Auteuil e Passy ad ovest, emblema della Parigi Bene, dove l’architettura civile ci ha lasciato esemplari testimonianze.
Sono innumerevoli le anime di Parigi, latinamente Lutetia. Eppure, la città operaia del nord e dell’est sembra lontana anni luce da quella dell’8° e del 16° “arrondissement”, feudi dell’aristocrazia e della borghesia più reazionarie. E la Parigi del 13° e 14° distretto? Ci riporta in provincia, coi suoi ritmi da villaggio e gli “ateliers” di artisti (La Ruche nel quartiere Vaugirard, ai confini di Montparnasse) che neanche l’immigrazione asiatica e le torri della Porte d’Italie hanno del tutto estirpato. Montparnasse, con la sua immensa Tour (1974) ormai inserita nel paesaggio metropolitano: luogo eletto a ritrovo della cultura europea nei favolosi Anni ‘20, contraltare sulla Rive Gauche della più decantata Montmartre. Saint-Germain-des-Prés, nel secondo dopoguerra culla dell’Esistenzialismo di Jean-Paul Sartre. Belleville, che ha dato i natali alla “chanteuse” Édith Piaf, ora presa d’assalto dai “nouveaux riches” che hanno scoperto quell’est parigino che viveva in un suo mondo quasi antitetico alla città-capitale, coi suoi rituali e i suoi ritmi che ora fanno parte del folklore locale (basti pensare agli “apaches”, i malavitosi ormai estinti) perlopiù caratterizzato da flussi immigratori africani. Tutte queste città sono contenute in uno spazio di appena 10.540 ettari, frutto dell’ultima espansione del 1930 a sua volta preceduta nel 1860 dalla grande integrazione dei villaggi limitrofi e dalla riorganizzazione del municipio in 20 “arrondissements” che si erano sostituiti ai 12 di rivoluzionaria memoria (si diceva “essere sposati al 13° distretto” di chi viveva “more uxorio”). Il limite attuale che corrisponde al trafficatissimo Périphérique (1973) esclude la “banlieue” che, circondando la metropoli, ne fa aumentare la popolazione a circa 11 milioni di abitanti dei quali “solo” 2,2 milioni “intra-muros”. A differenza di Londra, città paragonabile per grandezza e importanza, la nostra Parigi non ha voluto integrare dal punto di vista amministrativo l’hinterland; anzi, si è evitato per più di 150 anni che la città andasse oltre le fortificazioni creando così uno iato, una cesura materiale e psicologica con la città non-capitale, con la periferia che si è sempre sentita ricacciata via, allontanata se non ghettizzata (famosi i “grands ensembles” di Sarcelles, costruiti negli Anni ’60). A tal proposito mi viene in mente che, se guardiamo bene, entrare in Parigi prestando attenzione alla cesura città-periferia, dà l’idea di questo trapasso urbanistico.
Si è detto delle fortificazioni. Le ultime dal punto di vista cronologico, di Adolphe Thiers (protagonista delle disfatte con la Prussia), sorgevano là dove ora ci sono i “boulevards” detti “des Maréchaux” per una lunghezza di 39 chilometri, interrotti da porte e postierle (alcune ancora visibili, a sud). Boulevards che danno il senso fisico della città, definiscono il passaggio da ciò che è “non-Parigi” a ciò che ha dignità di fregiarsi di tale parigina qualità. Forse è proprio al suo limite che la “città-nazione” dà il senso di ciò che è, di ciò che va sotto il nome Parigi. È come varcare una soglia invisibile che tuttavia è presente. Eppure, anche enumerando le varie Parigi (che sono tante, a seconda delle personali esperienze) si ha l’impressione di non cogliere mai l’intera “parisienneté” in un solo luogo e in un solo momento: forse che l’Arc de Triomphe è più “parigino” di un “bouquiniste” sulla Senna? È questa la chiave per gustare appieno l’essere “fisicamente”, ma soprattutto “moralmente” a Parigi. Dovunque ci si trovi, si è nel mondo che essa è. Cioè si appartiene a Parigi, se ne è posseduti nel modo in cui una madre genera i propri figli e li educa e può dire: sono figli miei, appartengono a me. Poiché siamo tutti (ed è un “tutti” che include buona parte del mondo terracqueo) figli di questa città troppo grande per la Francia, dobbiamo guardare ad essa come a un Faro che ci indica la direzione, il segno e il senso di tutto ciò che è bello, nuovo, creativo, logico, ordinato. La nostra Anima è lì, racchiusa in quelle anse della Senna su cui vigila una Dame de Fer che solo una mente follemente savia poteva innalzare a 300 metri. Solo per poter dire: a Parigi è già domani…
Foto: © Eleonora Tarantino 2014