Balzato all’improvviso agli onori della critica specializzata dopo essere stato il batterista in Blackstar (2016), l’ultima fatica discografica di David Bowie, Mark Guiliana è diventato da qualche tempo un “caso“. Nessuno mette in dubbio le sue capacità, il suo drumming, il coraggio nel misurarsi con situazioni musicali tanto diverse quanto appassionanti. Rimane, però, l’interrogativo che lo accompagna fin dal debutto nel trio del contrabbassista Avishai Cohen: perchè si parla troppo spesso di lui ingigantendone i meriti, trascurando colleghi tecnicamente più preparati? La risposta andrebbe forse ricercata nella capacità di far parlare di sé, fin da quando Guiliana bazzicava la scena underground newyorkese e veniva considerato una “promessa” del batterismo mondiale.

«Colleghi e amici come Nate Smith, Eric Harland e Zach Danziger che hanno portato la batteria a nuovi livelli espressivi, non hanno l’attenzione che meritano e che viceversa ho io. È la logica del marketing, ma c’è spazio per tutti: se sei un musicista originale, prima o poi i tuoi meriti verranno riconosciuti. Com’è successo a me».

Mark Guiliana

Con Mark ho una frequentazione e uno scambio di mail che va avanti da qualche anno. Confrontandoci e scambiando opinioni ho scoperto una persona squisita, nonché uno strumentista attento e ben radicato nella scena musicale contemporanea. Devo ammettere qualche perplessità riguardo a Beat Music! Beat Music! Beat Music! del 2019. Album basato sulla ricerca elettronica: interessante, ma a mio parere non del tutto riuscito e che nulla ha aggiunto a uno stile che ha nel percussionista norvegese Audun Kleive il suo maggior esponente. Ammettendo che quest’ultimo va riconosciuto come colui che ha inventato una nuova commistione fra elettronica e jazz drumming, Mark Guiliana rivendica giustamente il proprio impegno nel portare la batteria verso ogni espressione possibile, mettendo a frutto la grande tradizione “bianca” del jazz iniziata da Paul Motian, che oggi ha in Joey Baron il proprio vertice.

«Motian è certamente colui da cui tutti noi partiamo, per quanto riguarda l’uso dello strumento. Piatti e pelli vanno utilizzati in un contesto melodico. Il ritmo va spezzato, decostruito e ricomposto in tutte le sfaccettature possibili. Io cerco di spingermi ancora più avanti: suonando il meno possibile ma fornendo tocchi funzionali alla musica, senza occupare spazi che non mi competono ma che appartengono al solista. Less is more!».

 

Shai Maestro

Questa filosofia musicale emerge con prepotenza nell’ultima fatica discografica, The Sound Of Listening, che Guiliana sta portando nel tour europeo alla guida di un quartetto meraviglioso dove a brillare è il talento del pianista israeliano Shai Maestro cui si aggiungono il sax di derivazione “cool” di Jason Rigby e il contrabbasso elegante di Chris Morrissey. Nel concerto del 26 ottobre 2022 al Blue Note di Milano, scandito da vari momenti da incorniciare, Mark non ha cercato il colpo a effetto, privilegiando l’interplay con i musicisti e creando un sound di gruppo intenso ed equilibrato.

In più, ha avuto l’umiltà di capire quando era il caso di offrire la scena ai suoi sodali (come ha fatto spesso con Rigby) o quando ha dato spazio a Shai: «Straordinario pianista. Lo conosco fin dal suo arrivo a New York da Israele. Sai qual è il suo miglior pregio? Sa ascoltare, cosa fondamentale per stabilire un dialogo costruttivo, una conversazione sul medesimo livello di espressione. Jason, invece, è un sassofonista molto interessato alle sfumature ed è questo che mi piace del suo stile, mentre Chris è la roccia del gruppo: ci tiene ancorati allo sviluppo melodico e trova sempre la nota esatta da estrarre dalle corde del suo contrabbasso».

Jason Rigby

Insieme, strappando applausi a scena aperta, sono riusciti a creare una speciale magia con la platea del Blue Note che ha risposto alle loro sollecitazioni: come in The Most Important Question, brano cardine dell’ultimo disco, dove da un’iniziale figura di basso si è passati all’improvvisazione collettiva con tanto di “botta e risposta” fra pubblico e musicisti. Il livello esecutivo, molto alto, ha fatto sottolineare a Mark l’esibizione con uno “Yeah! ” liberatorio alla fine del brano.

A questo punto, l’interrogativo su quale sia il vero Mark Guiliana non ha più alcun senso. Perché ci siamo trovati di fronte a un musicista che sa creare grande musica, dividendosi con sapiente equilibrio fra tradizione e innovazione. Il mondo del jazz contemporaneo ha trovato in lui un intelligente e creativo esponente di quella generazione di batteristi che raggiunge vette artistiche senza il bisogno di esibire i muscoli, ma con la grazia e la delicatezza di un tocco di spazzole sul piatto. In buona sostanza: la sostenibile leggerezza dell’essere geniale rispetto all’arroganza iconoclastica; la potenza del “saper ascoltare ” che diventa filosofia di vita.

Chris Morrissey
© Alessandro Curadi