Il mio amico, il regista Jonathan Demme, se n’è andato la scorsa notte.

Ho conosciuto Jonathan negli Anni ’80, quando i Talking Heads stavano portando in tour quel concerto che lui stesso avrebbe filmato e trasformato in Stop Making Sense. Durante la tournée, pensai che quello show stava andando così bene da meritarsi di diventare un film, quando a presentarci fu un nostro reciproco amico. Ho molto apprezzato, di Jonathan, pellicole come Citizens Band Melvin And Howard. È soprattutto da quei 2 film che si percepisce la sua passione per la gente comune. Passione ribadita più e più volte durante tutta la sua carriera. Era anche un grandissimo appassionato di musica: ovviamente anche nel suo cinema, spesso impregnato di canzoni scritte da oscuri artisti che lui prediligeva. Jonathan riusciva sempre a far scivolare nella narrazione, in modo gioioso e del tutto inaspettato, un brano reggae o una registrazione di Haiti. Gary Kurfirst, che all’epoca gestiva i Talking Heads, ottenne i soldi necessari a girare Stop Making Sense. Per le riprese fissammo a fine tour 4 serate al Pantages Theatre di Hollywood. Dopo averci raggiunto, Jonathan si relazionò subito con la band e il genere di spettacolo.

Durante le riprese, si era trovato a vivere in una specie d’incubo: uno studio cinematografico gli aveva imposto di girare nuovamente alcune parti di Swing Shift, pellicola ad alto budget che aveva da poco terminato. Cominciò ad occuparsene di giorno, mentre ogni sera girava il nostro film a basso costo. Indovinate quale dei 2 era destinato a essere ricordato? Detto ciò, Swing Shift era un film pieno d’empatia per quelle donne che durante la Seconda Guerra Mondiale lavoravano nelle fabbriche americane. Stop Making Sense è invece focalizzato sui personaggi. L’abilità di Jonathan è stata cioè quella di identificare il concerto come una performance teatrale, dove ogni personaggio veniva introdotto al pubblico insieme alle sue emozioni. Avresti conosciuto i Talking Heads come singoli individui: ognuno con la propria, distinta personalità. Sarebbero diventati tuoi amici, in un certo senso. Da parte mia, ero troppo concentrato sulla musica, sulla scena e sull’illuminazione per rendermi conto di quanto fosse importante il “focus” di Jonathan sul personaggio. È stato proprio questo a rendere Stop Making Sense così diverso e così speciale.

Jonathan è stato anche incredibilmente generoso, durante le fasi di editing e di missaggio. Lui e il produttore Gary Goetzman ci hanno resi partecipi di tutto. Qualsiasi cosa avessimo da dire, era benvenuta. Quel coinvolgimento è stato basilare per me. Anche se avevo già diretto alcuni video musicali, come “tutor” mi ha incoraggiato a realizzare un film aiutandomi nello sviluppo di True Stories. Poi ho scritto una canzone per il suo Something Wild, composto la colonna sonora di Married To The Mob e insieme abbiamo effettuato vari test per Rule Of The Cool, un documentario sullo storico dell’arte Robert Farris Thompson.Purtroppo mai completato. Jonathan ha continuato a produrre parecchie altre cose: alcune grandi, altre un po’ meno. Ha diretto un certo numero di pellicole musicali e documentari. Questi ultimi, hanno celebrato eroi sconosciuti: un agronomo ad Haiti, un attivista, una donna ordinaria capace di fare cose straordinarie nella New Orleans post-Katrina… Con passione e amore, ha il più delle volte trasformato un film di genere in un’espressione molto personale. La sua visione del mondo era aperta, calda, animata, piena d’energia. Benchè sofferente, anche quest’anno stava trovando la forza per girare alcuni telefilm.

Jonathan, ci mancherai.

                            David Byrne, 26 aprile 2017