Un incrocio fatale tra il ballerino Nijinsky e i grandi magazzini Woolworths. David Bowie sintetizzò così la nobile arte e il delizioso “trash” incapsulati dentro Ziggy Stardust, l’efebico extraterrestre che s’era inventato per fare il botto a cavalcioni del glam rock. Il nome Ziggy l’aveva preso dall’insegna di una sartoria intravista dal finestrino d’un treno. Stardust (polvere di stelle), oltre a riferirsi all’evergreen di Hoagy Carmichael alludeva a Norman Carl Odom, in arte Legendary Stardust Cowboy, cantante degli Anni ‘60 non proprio baciato dalla buona sorte. Con quei capelli rossi, il make-up e le tute pseudo-spaziali, Bowie il Camaleonte faceva improvvisamente a fette i riti di una cultura “popular” dominata dalle t-shirts, dai blue-jeans e dalle lunghe chiome del rock votato al progressive. A completare il tutto, una band da fantascienza (The Spiders from Mars) e un disco dal titolo chilometrico (The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars) predestinato alla leggenda. Nel 1972, la Ziggymania è in cima alla hit parade e sui palcoscenici inglesi, in una raffica di spettacolari messe in scena di look, trucco, mimo, riferimenti al nipponico teatro kabuki. Mai visto nulla di simile. Messa k.o. la madrepatria, Bowie guarda oltreoceano e con Mick Ronson (chitarra), Trevor Bolder (basso), Mick Woodmansey (batteria) e Mike Garson (piano) vola in America per dar vita allo Ziggy Stardust Tour.

Dopo aver toccato Cleveland, Memphis, New York, Washington, Boston, Chicago e altre metropoli giudicate strategiche, Bowie/Ziggy approda il 20 e il 21 ottobre al Civic Auditorium di Santa Monica. L’osanna dei critici con un perentorio “È nata una stella”, si scontra con la diffidenza del pubblico degli Stati del Sud, indeciso se accettare o meno quel personaggio scandaloso e oltretutto “importato”. Il primo concerto di Santa Monica, snodo a quel punto cruciale, viene trasmesso alla radio, molti anni dopo diffuso su un Cd semi ufficiale e oggi, finalmente, sdoganato per la gioia di chi ama la grande musica. Possente e caustico, decadente e romantico, Live Santa Monica ’72 contrappone la dolcezza di Changes e di Life On Mars? allo “speed” rockettaro di Hang On To Yourself e di Suffragette City; la vena bluesy di The Jean Genie (presentato in anteprima: uscirà l’anno successivo in Aladdin Sane) al melodramma di Rock’n’Roll Suicide; la psichedelìa ai confini del metal (The Width Of A Circle) al suono siderale (Space Oddity). L’extraterrestre, in queste 17 tracce, non solo ribadisce l’indiscutibile spessore del proprio repertorio, ma si misura coi gioielli altrui (My Death di Jacques Brel e Waiting For The Man dei Velvet Underground) ricavandone versioni che superano gli originali, in quanto a pathos. Il 3 luglio ‘73, stressato da quell’alter ego sempre più invadente, David Bowie interpreterà per l’ultima volta Ziggy Stardust all’Hammersmith Odeon di Londra. E Ziggy, a quel punto, volerà nel mito.

David Bowie, Live Santa Monica ’72 (EMI)