Al Teatro Regio di Parma è andata in scena la compagnia del Centro Coreografico Nazionale/Aterballetto di Reggio Emilia, insieme ad alcune autorità della danza in Israele. Con la coreografia e le musiche di Eyal Dandon, i costumi di Bregje Van Balen, le scene e le luci curate da Fabiana Piccioli, la performance Yeled ha dato inizio al 3° appuntamento di ParmaDanza 2024 declinando una rappresentazione densa di emozioni che ha transitato dall’infanzia all’età adulta su uno sfondo nero e 15 luci al neon appese al soffitto a illuminare a intermittenza il palcoscenico.

© Christophe Bernard

Un’eco di voci robotizzate e una a distinguersi che esclama «Mum», mamma. 2 porte: da quella piccola, entra un ballerino piegato all’inverosimile; da quella grande, a misura d’uomo, una coppia di danzatori si scontra fino a stramazzare a terra. Tutto il corpo di ballo, in bermuda e camicie beach style dai colori tenui, si mette a danzare come fosse in assenza di gravità ritraendo la massa che attraversa la grande porta, incurante di tutto, mentre una coppia che si è attardata dal gruppo cerca affannosamente di raggiungerla.

È la natura umana dell’uno e dei molti, l’alienazione moderna che il regista Stanley Kubrick aveva ben rappresentato nel film 2001: Odissea nello spazio. Un danzatore, infine, avvolto in un’animalesca tuta di peluche, disperde gioiosamente coriandoli per poi ritornare in quel piccolo ingresso alla ricerca di un’infanzia irrimediabilmente perduta.

© Claudio Montanari

Momento clou della serata la prima assoluta dell’iconica Rhapsody In Blue di George Gershwin (1898-1937), coreografia di Iratxe Ansa e Igor Bacovich, scenografia e costumi di Fabio Cherstich. Un mix di suoni in perfetto equilibrio fra musica classica e jazz. In scena, sotto a una gigantesca luna, 16 ballerini raggruppati di spalle iniziano a dondolare lentamente sulle note di Beggin’ The Blues, intonata dalla possente voce di Bessie Jones (1902-1984).

Al centro, una coppia si mette in gioco con diverse figure e prese aeree che rendono vibrante l’attesa dell’introduzione rapsodica con il suo celeberrimo assolo di clarinetto. Un’onda di corpi esplode al ritmo incalzante dei vari strumenti con le sue infinite variazioni, le atmosfere metropolitane, il susseguirsi di danzatori, i movimenti frenetici che restituiscono un’unica, straordinaria immagine corale.

© Christophe Bernard

Si passa a Secus, esecuzione audacemente stravagante coreografata da Ohad Naharin, direttore della Batsheva Dance Company di Tel Aviv, con il suo insieme di musiche curate da Ohad Fishof, i costumi di Rakefer Levy e le luci di Avi Yona Buono alias Bambi, sound designer di concerti pop e rock. L’elettronica playlist, metronomo del corpo di ballo, inanella Chari Chari, Kid 606 + Rayon (Mix: Stefan Ferry), AGF, Chronomad (Wahed), Fennesz, Kaho Naa Pyar Hai, Seefeel e i Beach Boys.

Immobili, al centro della scena, i ballerini respirano a pieni polmoni per dare inizio a una serie di movimenti frenetici che rallentano e accelerano fra stacchi di luce e di buio. Una ragnatela umana che si divincola, corre, produce assoli e duetti che si fronteggiano disarticolando elasticamente le anche e i dorsi. Una conclusione, acclamata dal sollevamento di una ballerina, a braccia aperte, che pronuncia la parola «Welcome».

© Alice Vacondio

Quanto ha lasciato di sé Pina Bausch (1940-2009), figura quasi mitologica, nella danza contemporanea? La risposta è racchiusa nella maestrìa di questi ballerini che hanno messo in scena tutta la potenza espressiva di uno show dal grande impatto emotivo che ha raccolto interminabili applausi.