A Torino piove da giorni. Dentro al FolkClub, stipatissimo, un uomo di 78 anni curvo sui suoi strumenti a corda (tutti “custom ” e costruiti per lui dalla liutaia Linda Manzer), con gli occhi socchiusi dietro le lenti degli occhiali, il barbone bianco e un bastone da deambulazione appoggiato sul palco, canta le sue canzoni zeppe di pioggia, di fiumi e di corsi d’acqua come il Canada che gli ha dato i natali.
Dopo quasi 2 ore di concerto, nello strumentale The End Of All Rivers mette in delay il suo dobro generando rivoli e cascate di note: come un rabdomante che l’acqua la cerca, come uno sciamano che la invoca dal cielo. Bruce Cockburn mancava da quel palco da più di 20 anni, è in Italia per un tour di 5 date insieme all’amico e discepolo James Meadow alias Davide Falcone che gli fa da arpripista e da amorevole custode, è vecchio e stanco ma appena tocca la resofonica, l’acustica verde e un piccolo charango a 10 corde con cui si accompagna in Bone In My Ear cantando dei piaceri e delle afflizioni dell’amore, ti ipnotizza come uno stregone Métis che conosce i segreti più intimi della Musica e della Terra.
È un one man band dallo stile chitarristico sofisticato e complesso in cui si fondono melodia, parti ritmiche e abbellimenti; un cantante con una gamma di sfumature timbriche e un tono meravigliosamente arrochito dal tempo che ancora indirizza odi ai satelliti e alle stelle (O Sun O Moon è il titolo del suo disco più recente da cui propone soltanto 3 pezzi: la “promozione ” e il commercio devono essergli concetti piuttosto estranei, visto che non ha dischi, cappellini o magliette da vendere al banco del merchandise).
Intona salmi, invocazioni e preghiere che chiedono misericordia per il pianeta martoriato e per i suoi abitanti di buona volontà; folk songs che parlano d’amore in tempi pericolosi e sotto la cappa della minaccia nucleare (nel 1984, quando Love In Dangerous Times venne pubblicata, come oggi); che lamentano l’indifferenza dei governi nei confronti dell’inquinamento e della deforestazione nel North Columbia come in Malaysia, in Amazzonia come in Costa Rica (e i riff circolari di If A Tree Falls sembrano quasi una trasposizione in musica degli anelli concentrici degli alberi secolari); che denunciano la brutalità del potere; che cercano dentro all’essere umano il divino, la trascendenza e la spiritualità (Strange Waters, ispirata al 23° salmo della Bibbia, e che Bruce presenta scherzosamente come «un pezzo di mezza età», in mezzo a quelli nuovi e a quelli più antichi).
Il blues, oltre al folk, è per lui una lingua naturale e una solida base di partenza. E proprio l’ironica The Blues Got The World… («Il blues, la tristezza, tiene il mondo per le palle») apre il set «con un po’ di filosofia» seguita dall’unica e impeccabile cover, Soul Of A Man, scritta negli anni 30 del secolo scorso dal cantante, chitarrista ed evangelista cieco Blind Willie Johnson (alla stessa famiglia appartiene la sua recente e amara Cafe Society). Dopo The Whole Night Sky, in cui la voce dispensa piccole meraviglie descrivendo un cielo notturno pieno di lacrime (le sue), Cockburn poggia a terra il dobro e imbraccia una 6 corde dai timbri più dolci per How I Spent My Fall Vacation: un pezzo di fine anni 70 che, ricorda, venne parzialmente scritto in Italia e che nel testo cita anche Roma; poi, nello strumentale Pibroch The Wind In The Valley evoca le sue radici scozzesi replicando le ipnotiche note fisse di bordone delle cornamuse delle Highlands.
© Federica Delmotto
Non è uno show interamente incentrato sulle sue canzoni più conosciute, anche perché i brani dell’ultima produzione come On A Roll, Push Come To Shove e la bellissima, incalzante road song States I’m In (“ognuno dei posti in cui sono stato/si riflette nei miei stati d’animo”) sono all’altezza del suo migliore passato, ma certi episodi sono inevitabili: ecco allora le immacolate melodie di All The Diamonds In The World e di Lord Of The Starfields, un altro salmo che nel 1998 Luciano Ligabue ha voluto inserire nella colonna sonora di Radiofreccia; la struggente Lovers In A Dangerous Time, reinterpretata nel tempo da Dan Fogelberg, Barenaked Ladies e naturalmente la “hit ” Wondering Where The Lions Are che nel ritornello stimola un divertito botta e risposta con il pubblico.
Anche il brano finale dei bis, che Cockburn esegue senza lasciare il palco per non sottoporsi a fatiche supplementari, è scelto con cura e intenzione: Us All, dal suo ultimo album, rimette in loop la chitarra resofonica e il grande dilemma contemporaneo: “Eccoci qui/di fronte alla scelta che abbiamo davanti/serrande e muri/o un aperto abbraccio/Ci piaccia o no/la razza umana siamo tutti noi ”. Bruce sa da che parte stare, e come convincerci – con il suo calore, la sua compassione, la potenza espressiva della sua musica – a schierarci al suo fianco.
Setlist
The Blues Got the World…, Soul Of A Man (Blind Willie Johnson), The Whole Night Sky, How I Spent My Fall Vacation, On a Roll, Strange Waters, All The Diamonds In The World, Push Comes To Shove, Pibroch The Wind In The Valley, Cafe Society, Lord Of The Starfields, Bone In My Ear, Lovers In A Dangerous Time, States I’m In, Wondering Where The Lions Are, If A Tree Falls
Bis
The End Of All Rivers, Us All