Ci eravamo conosciuti in autobus. No, non è esatto. Io la conoscevo già. Abitava da sempre in un palazzo di fianco al mio. Mi capitava, quindi, di vederla spesso, ma non le prestavo alcuna attenzione. Era tanto giovane, quasi una bambina. Io ero già un giovanotto di belle speranze, come si dice. Accade sempre così: non ci si rende conto delle vite che ci crescono accanto. Le hai viste bambine e tali rimangono, anche quando la fanciullezza le ha abbandonate da tempo. È sempre qualcuno al di fuori che ti fa notare il cambiamento avvenuto. E tu ci rimani anche male.

Successe pure a me. Divenne donna improvvisamente per merito di un amico che si mise a corteggiarla e la frequentò per qualche tempo. Cominciai a guardarla con altri occhi. L’amico mi ripeteva con un sorriso ambiguo stampato in volto che non era poi tanto bambina…

Trascorse del tempo. Parecchio tempo. Cambiai amicizie e persi di vista le vecchie conoscenze. Inverno. Era l’intervallo della colazione. Tornavo a casa in autobus. D’un tratto una mano si posò sopra la mia, che tenevo stretta al corrimano superiore. Non mi mossi e non mi volsi. Ero semplicemente paralizzato. Il contatto era troppo completo e prolungato per essere casuale. Infine riuscii a volgermi. Mi guardava con occhi maliziosi e bocca sorridente. Imbarazzato la salutai. Non mi aspettavo tanta confidenza, dopo anni.

La incontrai sempre più spesso sull’autobus. Mi chiese di accompagnarla a casa. Si era trasferita in zona Lambrate. L’accompagnai una volta. Due volte. Tutti i giorni. Cominciò a farsi trovare fuori dall’ufficio, la sera.

Non sapevo come prenderla. La ragazzina ora era donna. Mi piaceva, ma faticavo a credere che anch’io le piacessi. Facevo la parte del pirla e me ne rendevo conto, ma, stranamente, pare provassi piacere nel ripetermi di continuo che non era possibile: una ragazza come quella non si innamorava di me. Tuttavia, le sue attenzioni avevano solleticato la mia vanità e mi sentivo lusingato. Una cosa abbastanza cretina che non avrebbe retto a lungo. Dovevo prendere una decisione: corteggiarla apertamente o cambiare autobus. Non era facile fare l’aringa in padella. Temevo che alle mie profferte d’amore mi ridesse in faccia. Era proprio il tipo adatto: spigliata, moderna, senza mezzi termini.

Fortunatamente fu lei a decidere il da farsi. Una sera dovetti fermarmi in ufficio oltre l’ora per un lavoro urgente. Venne a prendermi. Scesi alla reception e le dissi che non potevo uscire. Ci salutammo e se ne andò. Verso le nove finii il lavoro e lasciai l’ufficio. Mi ero fermato sul marciapiede ad accendere una sigaretta quando un colpo di clacson richiamò la mia attenzione su una vettura blu parcheggiata lì accanto. Mi avvicinai incuriosito e guardai dentro.

Daniela sorrise e m’invitò a salire.

“Che cosa fai qua?“, le chiesi e mi sentii di volata il solito pirla.

“Sono venuta a prenderti, ti dispiace?“.

“No…, no! Chissà quanto hai aspettato…“, risposi. Non sapevo che altro dire.

Daniela ruppe il silenzio e disse d’un fiato:

“Senti, non ho voglia di tornare a casa così presto. Stiamo insieme, vuoi?“.

“Certo…, mi fa piacere, ma dove andiamo?“.

“Conosco un locale carino dalle parti dell’Idroscalo. Mi ci porti?“.

Il programma era già definito.

“Perché non guidi tu?“, mi domandò. Reclinò il capo guardandomi con quegli occhi d’acqua accesa. “Così posso guardarti bene bene…“, aggiunse dentro un riso leggero.

Mi prese un brivido lungo la schiena. Saltò nel sedile accanto e non mi rimase altro da fare che volare alla guida. Afferrai il volante. Mi tremavano le mani.

“Vai al bar della Punta dell’Est. Lo conosci?“.

“Sì“, risposi.

Partii sforzandomi di apparire indifferente. Mi concentrai sulla guida per celare il turbamento, ma ero sicuro che aveva capito tutto. Lungo la strada cercai di inventare qualche battuta. Una cosa patetica.

Arrivammo al bar. Era carino e accogliente. Sedemmo e ordinammo da bere. Scambiammo qualche parola. Poi Daniela avvicinò il capo e sussurrò:

“Andiamo via, c’è troppa gente…“.

Uscimmo. Montammo in auto ed io, finalmente, filai deciso un poco più avanti, proprio sopra l’acqua. Mi volsi a cercare il suo viso, ma trovai subito i suoi grandi occhi che bruciavano nel buio.

Lentamente si avvicinò. Poggiò il capo sulla mia spalla. Alzai il braccio e la cinsi in vita. Attraverso le vesti sentivo il calore del suo corpo, vibrante di piccoli spasmi. Respirava in fretta.

“Stringimi forte, per favore“, mi alitò in faccia. Il suo fiato era caldo come un sole che brucia nel vento. L’abbracciai e strinsi forte fino a sentirla tendersi tra le mie braccia. Sollevò il capo. Con gli occhi chiusi cercò le mie labbra. Le trovò subito e v’incollò sopra le sue.

Si staccò bruscamente. Parlò. Aveva il fiato corto, come dopo una corsa:

“Ti amo, Claudio, ti amo tanto! Perché mi hai fatto soffrire prima di farmi capire che anche tu mi ami?“.

Tacqui.

“Rispondi! Tu mi ami? Dimmelo subito! Dimmi che mi ami o mi butto in acqua!“.

Afferrò la portiera e attese, gli occhi grandi dentro i miei. L’espressione irridente, però, tradì la drammaticità delle sue parole. Non lo avrebbe mai fatto, ma mi piacque comunque.

“Anch’io ti amo, Daniela…“, risposi, ma non seppi aggiungere altro.

Non avevo mai incontrato una ragazza così in tutta la mia vita. Daniela era priva di timidezza, priva di timori o inibizioni. Il suo calore di giovane femmina mi metteva in crisi. Soggiacevo alle sue iniziative a volte mio malgrado e ciò mi turbava, estromettendomi dal gioco. Giravo a vuoto nell’inutile ricerca di una mia misura. Il suo agire rapido e istintivo la eccitava in modo completo. Il mio intervento era maledettamente secondario.

Una sera, sempre nella sua auto, sempre vicino all’acqua dell’Idroscalo mi saltò letteralmente addosso. Gemeva. Mi accarezzava. Le sfiorai un seno. Sbottonò la camicetta e mi offrì le sue belle tette. Non so come accadde, ma me la trovai sotto, pronta ad amarmi.

Quasi mi vergogno a raccontare come andò. Sta di fatto che mi toccò la prima cilecca della mia vita.

Stavo lì, curvo sopra di lei. Piangevo di rabbia e di vergogna mentre mi aspettavo che mi sghignazzasse in faccia. Non lo fece. Parlò con voce dolcissima:

“Oh, caro! Ti amo, ti amo! Come sei caro. Anche tu mi ami davvero. Ora lo sento. Non fa nulla, abbiamo tanto tempo davanti. Abbracciami…“.

Restammo là davanti all’acqua ferma, muta. E noi fermi e muti come lei. E io l’amai quella ragazza, l’amai subito come non credo che si possa facilmente amare.

Con Daniela vissi il periodo più intenso e più bello della mia vita. Facemmo tante cose insieme. Imparai molto da lei, tutto. Era profondamente sensibile alle sollecitazioni dell’amore. Sempre viva, pronta, invitante.

Smise ben presto di sorprendermi. Così l’amavo e così la volevo. Anch’io, lentamente subii un processo di trasformazione e divenni simile a lei. Non intendevo altro modo d’amare se non il nostro. La mia libertà era ormai nel corpo della ragazza che mi faceva vivere ogni giorno un po’ di più.

Mi lasciò all’improvviso. Così, com’era venuta.

È trascorso più o meno un anno durante il quale non ho mai smesso di pensare a lei. Ogni giorno ripercorro nella mente le strade, i luoghi che ci hanno visti insieme. Ho praticamente smesso di vivere tra gli altri e per gli altri. Io esisto soltanto per Daniela.

Poi, circa una settimana fa l’ho rivista. Camminava per la strada stretta al braccio di un uomo. L’ho guardata attentamente. L’ho trovata invecchiata. Ingrassata. Un po’ goffa. Tre giorni fa, al risveglio, mi sono sentito strano. Mi pareva di vivere in un altro mondo dove Daniela era lì, presente, più bella di quella Daniela che aveva rivisto per la strada.

Penso che ho fatto bene a non cercare di contattarla. Ho potuto constatare quanto più bella è la Daniela che mi sta accanto adesso. Fra qualche anno la Daniela dei miei ricordi sarà vecchia e io non saprei che farmene di lei se fossimo ancora insieme. Invece la mia nuova creatura è sempre la stessa. Anzi, il trascorrere del tempo l’avvicina pian piano alla perfezione.

La nuova Daniela e io ci siamo sposati. Una cerimonia intima soltanto per noi due. Ora viviamo intensamente. Facciamo di tutto. Parliamo molto. Si può affermare che l’intero tempo a nostra disposizione lo spendiamo chiacchierando.

Ieri il direttore mi ha chiamato. Mi ha fatto sedere nel suo ufficio. Senza preamboli, com’è suo costume, mi ha detto che non rendo più come una volta. Mi ha chiesto se desidero un periodo di ferie. Gli ho risposto di no. Lui, allora, e qui mi è parso alquanto imbarazzato, ha aggiunto che dovrei farmi vedere da un medico. Afferma che parlo da solo ad alta voce durante le ore d’ufficio e i colleghi si distraggono, s’impressionano. Che stupido! Come potrei rendere sul lavoro come un tempo proprio ora che mi sono appena sposato e ho tante cose alle quali pensare? E poi non parlo da solo, chiacchiero e discuto con mia moglie.

Mi preoccupa la mamma. Mi guarda sempre con quegli occhioni dolci pieni di pianto. Sente che Daniela ha ormai preso il suo posto nel mio cuore. Povera donna, non ha che un figlio. Forse la trascuro. Prometto che andrò a trovarla più spesso. Le parlerò di Daniela, la farò sentire parte dei nostri progetti. Mi ha ripetuto le parole del direttore. Afferma anche lei che parlo da solo. Possibile che tutti non capiscano?

La mamma ieri mi ha preso per un braccio. Mi ha fatto sedere in poltrona accanto a lei. C’era anche mio padre. Hanno affermato insieme che devo farmi vedere da un medico. A quel punto non ho retto. Ho raccontato loro tutto di me e Daniela. Pensavo che finalmente capissero e gioissero con me. Invece niente! La mamma si è messa a piangere come una fontana e mio padre si è presa la faccia tra le mani.

Stamattina mi sono alzato presto. Volevo stare loro vicino. Parlare ancora, magari. Invece ho notato una certa agitazione in casa. Non ne conoscevo il motivo, ma poi ho capito. Verso le dieci sono entrati tre uomini e i miei si sono fatti da parte. Uno era in abiti civili, gli altri due portavano candidi camici.

L’uomo in borghese mi ha parlato a lungo, poi mi ha fatto una iniezione che mi ha intorpidito le membra. La mamma s’è avvicinata e mi ha detto che dovevo seguire quei signori, ma che sarei tornato a casa presto. Ha aggiunto che sarebbe venuta a trovarmi spessissimo. Le ho risposto di non preoccuparsi. Ho pensato che un periodo di riposo non può che giovarmi. Daniela mi spossa. È tanto cara e l’amo moltissimo, ma le sue esigenze mi sfiancano.

Fra i romanzi di  Sergio Cioncolini pubblicati da Pendragon ricordiamo Il cortile del diavolo (2011), I giorni corti (2012), Andava a veder morire i piccioni (2014), L’albero delle bionde (2015), Un’isola sottovento (2016), Un coltello di ceramica verde (2018) e Danni collaterali (2019).