Dopo Visconti’s Inventory del 1977 e It’s A Selfie del 2020, Apollo 80 è il 3° album solista di colui che ha prodotto, oltre a una marea di artisti (Thin Lizzy, Moody Blues, T.Rex, Caravan, Morrissey, Sparks, Paul McCartney & Wings, Strawbs…), 13 dischi di David Bowie intitolati in ordine d’apparizione Space Oddity, The Man Who Sold The World, David Live, Young Americans, Low, Heroes, Stage, Lodger, Scary Monsters (And Super Creeps), Heathen, Reality, The Next Day e Blackstar.
Forse è per via di questo “corpus bowieano ” che di primo acchito, osservando Tony Visconti sulla copertina di Apollo 80, ho creduto (vuoi per il titolo, vuoi per l’immagine) che desiderasse rendere omaggio al Major Tom di Space Oddity, di Ashes To Ashes, di Hallo Spaceboy e di Blackstar. Macchè: «Il motivo della cover e del titolo è duplice», ha dichiarato il newyorkese: «Ho compiuto 80 rivoluzioni attorno al Sole e mi sento un astronauta. Da qui Apollo 80, il mio progetto spaziale. Il titolo militare per gli astronauti è CDR, abbreviazione di Commander, ho scovato una tuta adatta, l’ho “stressata” per farla sembrare reduce da un’infinità di viaggi nello spazio e ho trasformato il mio studio di registrazione in modo che somigliasse al ponte di volo di un’astronave».
Tony Visconti
Affiancato da Jannek Zechner e Paul Cuddeford (chitarre), Alex Marchisone e Tommy Allen (batteria), Jonathan Russell e Greg Holt (violini), Carys Morgan (tromba), Donny McCaslin (sax tenore) e Bishi Bhattacharya (voce), Visconti si è destreggiato fra chitarra, mandolino, ukulele, basso, registratori, stylofono e cori. Il risultato, frutto di almeno 2 anni di registrazioni a New York, a Londra e nel Visconti Studio di Kingston Upon Thames, sono 13 tracce ben architettate, impeccabilmente suonate, empatiche, divertite.
L’inizio di questo “volo ”, spontaneamente vintage, è Here’s A Lick: un boogie dallo schiocco di dita facile che ad accelerazioni danzanti non può fare a meno del proverbiale, chitarristico assolo rock. Ma si cambia subito mood e a imporsi è l’orecchiabilità di Politics, elegante come un pezzo degli Steely Dan. Siamo solo alla terza traccia e già percepiamo il divertimento di Visconti che mischia le carte con il conto alla rovescia di 54321, rock a presa ultrarapida shakerato dai fendenti free jazz del sax di Donny McCaslin, già artefice nel 2016 di gran parte dei climi sonori di Blackstar. Si cambia, di nuovo, con l’easy listening di Brave Young Apollo che fila d’amore e d’accordo con la soul music facendoci immaginare David Bowie in combutta con Todd Rundgren.
Il produttore discografico insieme a David Bowie
E di Bowie ce n’è a bizzeffe: non solo in quel non so che di beat dei Sixties e di glam dei Seventies che dà spessore a I Tuned Her Violin, ma in particolare a Haddon Hall. Certo che sì, il titolo di questa delizia musicale dice tutto: Haddon Hall, la residenza Vittoriana alla periferia di Londra con affaccio su Beckenham Park e su un campo da golf, affittata per 14 sterline a settimana da Bowie, da Angie e dal piccolo Zowie; fra gli altri frequentata (sprigionando serendipity a più non posso) dallo stesso Visconti, da Marc Bolan, da Roy Harper e nel 1971, ci tengo a ricordarlo perché è molto importante, location della prima stesura al grand piano di Changes e di Eight-Line Poem, che contribuiranno alla magnificenza dell’Lp Hunky Dory.
Mai, a questo punto, avrei immaginato che Visconti affrontasse le insidie dello speech. E invece, fra le pieghe di Ice Cream Truck il suo discorrere si amalgama alla perfezione con il jazz e il rhythm & blues, a loro volta padroneggiati con maestrìa dal sassofono di McCaslin che derapa ancora nel free. Ma è tempo di rallentare con Love Falls e If You Really Want To. Qui di melodie ce n’è a iosa per un sorprendente Visconti che fa il crooner avvinghiandosi a 2 cheek to cheek capaci di obnubilare i sensi. E se smazzando ancora le carte Smart Phone è un rock blues destinato al sovracuto da stylofono come il David Bowie di Space Oddity, di After All e di Slip Away, Cold October Sun è cocciutamente beatlesiana come I Am The Walrus.
A Minor Italian Tango è il divertissement assoluto. Il gigioneggiare con orgoglio le proprie radici italiche. Il mio consiglio e di ascoltarlo, di riascoltarlo e da baby boomers quali siete non potrete non pensare a Morricone, alla Loren, a Mastroianni, alla Commedia all’Italiana… Geniale e vintage, insomma. Al pari del folk e del country di My Ukulele con Tony, eclettico come non mai, che si accommiata con un risolutivo «Yes, sir!». Tanto di cappello, si ritorna sulla Terra.