Facciamo di conto. Sono anzitutto 13 gli album che ha prodotto per David Bowie: Space Oddity, The Man Who Sold The World, David Live, Young Americans, Low, Heroes, Stage, Lodger, Scary Monsters (And Super Creeps), Heathen, Reality, The Next Day, Blackstar. Seguono i 9 prodotti per Marc Bolan & T. Rex: My People Were Fair And Had Sky In Their Hair… But Now They’re Content To Wear Stars On Their Brows; Prophets, Seers & Sages: The Angels Of The Ages; Unicorn; A Beard Of Stars; T. Rex; Electric Warrior; The Slider; Tanx; Zinc Alloy And The Hidden Riders Of Tomorrow – Or A Creamed Cage In August.
Poi, in ordine sparso, dischi di Thin Lizzy, Boomtown Rats, Adam Ant, Perry Farrell, Damon Albarn (Good, Bad and The Queen), Kristeen Young, Moody Blues, Caravan, Elaine Paige, Mary Hopkin, Angelique Kidjo, Osibisa, Morrissey, Les Rita Mitsouko, Alejandro Escovedo, Gentle Giant, Sparks, Mercury Rev, Badfinger, Paul McCartney and Wings, Alarm, Strawbs e un’infinità di altri gruppi e solisti che non citerò per non rischiare di annoiarvi. Vi basti sapere che il curriculum vitae del newyorkese Tony Visconti, classe 1944, bonus di bassista e cantante, è affollato di nomi tanto quanto gli elenchi telefonici di una volta.
Dopo svariati anni di carriera incorniciati da esperienze da raccontare ai nipoti, vedi la militanza pre-glam negli Hype (i futuri Spiders from Mars) con Bowie, Mick Ronson e John Cambridge, perché ti sei deciso solo adesso a pubblicare il 1° album solista? Gliel’ho domandato via email fra una data e l’altra del suo tour con gli Holy Holy insieme al batterista Woody Woodmansey (ex Spiders from Mars) e al vocalist Glen Gregory (ex Heaven 17). Mission tutt’altro che impossible: riproporre il repertorio bowiano che va dal 1969 al 1973. «Ho iniziato come cantautore e quando il mio publisher mi ha proposto il lavoro di produttore discografico, farlo ha contribuito a rendere la mia carriera meravigliosa: penso di aver prodotto più di 200 album e migliaia di canzoni, ormai ho perso il conto. Ma ogni volta che ho potuto, non ho mai smesso di comporre e di esibirmi dal vivo suonando il basso per David addirittura sul palco della Carnegie Hall. E il nostro pianista era Philip Glass! Le canzoni, nel frattempo, continuavano a materializzarsi e alla fine, l’anno scorso, ho dovuto smettere di lavorare con altri artisti per poterle terminare in solitudine. Ecco perché ho intitolato il mio disco It’s A Selfie. Poterlo realizzare mi ha dato una gioia immensa. Ora sto lavorando al prossimo e ho già 4 canzoni ormai finite».
Incluso fra i ringraziamenti “to David Bowie and Marc Bolan who inspired many of these songs, along with my very musical mother and father, Josephine and Anthony”, It’s A Selfie (acquistatelo qui: https://www.tonyvisconti.com/), è un viaggio a 360° in quasi tutte le musiche possibili, spesso e volentieri Brit oriented. Registrato a New York nei Looking Glass Studios, negli Human Studios e nella sua Home Sweet Home, al 1° ascolto ci resti un po’ male perché ti aspettavi chissà cosa, al 2° ti cospargi il capo di cenere per aver preso un abbaglio e al 3° ti rendi conto di quanto sia un disco elegante e terribilmente sincero. D’altronde, Tony Visconti prodotto da Tony Visconti non poteva che concretizzarsi in 11, siffatte selfie song.
A Marriage, per iniziare col piede giusto, è un fior fiore di ballad sincopata con un soundscape elettronico e una spoken word che viene sussurrata nel finale, mentre What’s It Like? macina roots rock alla maniera di Mark Knopfler ma con un piglio in perfetto stile T. Rex. E se Hey, Shout It Out mette in vetrina una fugace intro percussiva alla Sympathy For The Devil e uno svolgimento rapido dal passo funkeggiante, Hollow Dream è una ballata Philly soul oriented contrappuntata come si deve dal sax. Se poi vi state chiedendo dove diavolo siano i trascorsi glam di Visconti, eccovi serviti su un piatto d’argento Little Roadie Girl, glam rock fatto e finito; Your Mama, pop rock ad ampio raggio, bowiano e tardo psichedelico; Are You Awake, chitarra acustica according to Space Oddity, stratificazioni vocali e anche qui c’è Bowie (e Blackstar nel subconscio). Tutt’altra musica, country & western, per una Mystery Man scritta insieme al texano/chicano Alejandro Escovedo; si cambia di nuovo con il rap di The Eighth Year che scheggia il funky sfiorando appena un refrain atmosferico/ambient; l’easy listening in doppiopetto, modello Tubes di Fee Waldo Waybill, racchiuso dentro The Purpose Of Love; l’epilogo di It’s A Selfie a denominazione d’origine controllata, with a little help from his friends, pizzicando as usual musiche qua e là.
Ma se ti dico, caro Tony, che creativamente It’s A Selfie mi ricorda le migliori registrazioni di Todd Rundgren, cosa mi rispondi? «Che sono molto lusingato, grazie! Non so cosa dire… Immagino ci siano similitudini, siamo entrambi produttori, ma non l’ho fatto consapevolmente. Ascoltando questo album in modo oggettivo, penso di essere “ovunque” come lo era David Bowie 50 anni fa. E per certi versi ho appena iniziato!».