The 8 Show porta ancora una volta alla ribalta il successo delle serie thriller della Sud Corea. Dopo Squid Game (difficile eguagliare un simile prodotto) si punta sulla vera e propria spettacolarizzazione della società con risvolti sempre più inquietanti.

Distribuita da Netflix, la serie è tratta da un webcomic (fumetto online) del 2018 e ci pone ancora una volta dinnanzi a un quesito essenziale: “Tu che stai guardando The 8 Show, cosa saresti disposto a fare per modificare il tuo stile di vita? Quanto saresti disposto a rischiare? ”. La risposta non è immediata: ciò che fanno le serie tv e i film sudcoreani è ridurre all’osso la società sviscerandola, per farci comprendere quanto sia crudele e reale.

In un certo senso, The 8 Show ricorda il capolavoro di Bong Joon-ho, Parasite (premiato fra l’altro nel 2020 con l’Oscar come miglior film). In Parasite, come si evince anche dalla serie in questione, ci scontriamo con l’impossibilità della mobilità sociale. In poche parole, se nasci povero sarai sempre povero. Al contrario, se nasci in una famiglia agiata stai pur certo che per quanto ti sforzi a modificare le cose il tuo status rimarrà invariato.

Questo è ciò che succede alle 8 persone provenienti da diverse realtà sociali che partecipano loro malgrado a un game: una sorta di reality show dove per guadagnare soldi devi semplicemente esistere, rimanendo chiuso in una stanza e collaborando con gli altri concorrenti allo scopo di creare audience. Detta così, sembra semplice. Se non fosse che le stanze sono – all’insaputa dei giocatori – disposte in modo gerarchico: chi sta ai piani superiori guadagna non solo più soldi avendo la possibilità di acquistare più beni, ma ha diritto a stanze più luminose, più grandi ed è direttamente più potente degli altri. Al contrario, chi sta ai piani inferiori deve accontentarsi di una misera stanza, senza potersi permettere di acquistare beni e servizi essenziali. Va inoltre considerato che qui c’è un fondo di verità: in Corea del Sud, chi occupa i piani più alti di un condominio gode di maggior prestigio.

Ma non è finita qui, poiché è dalla numero 8 (non conosciamo i nomi dei personaggi, ma si identificano fra loro con il numero del piano) che arrivano i beni di prima necessità come acqua e cibo. Sta a quella stanza, dunque, decidere quando e se far mangiare i piani sottostanti. Insomma, l’idea sottesa alla serie è che viviamo in un mondo governato da chi gerarchicamente ha più mezzi di noi; e quello che facciamo è arrancare, tentando di modificare una situazione che è già difficile in partenza.

IL GRANDE FRATELLO DEI NOSTRI TEMPI

Come vi ho già accennato, i personaggi di The 8 Show sono quasi perfetti sconosciuti: nessuno sa niente dell’altro, in termini di vita privata, o perché si siano spinti a partecipare al game. Quello che sappiamo è minimo. Le uniche informazioni ci vengono affidate all’apertura di ogni episodio, ciascuno per ogni concorrente. L’unico personaggio di cui sentiamo i pensieri, riuscendo ad approfondirne le minime caratteristiche psicologiche, è Piano 3, che si guadagna da vivere pulendo le vetrate degli edifici metropolitani.

Ai Piani, però, non interessa sapere chi si trovano davanti: l’unico obiettivo è guadagnare tempo, con ogni mezzo. Il pubblico è ignoto: non ci è dato sapere chi sta guardando, ma sappiamo che a quel pubblico piace la violenza, il sesso, la fame, soprattutto la disperazione. Come in The Truman Show, i personaggi vengono osservati in ogni istante della loro giornata, ignari che quello sarà l’inizio della fine.

A questo proposito, altra importante considerazione che pone in essere la serie è il fattore tempo: perché gli spettatori decidono di dedicarlo a una certa cosa, piuttosto che a un’altra? Il tempo, qui, è davvero denaro. Tanto più riescono a guadagnare tempo, tanto più guadagnano. Il tutto è direttamente proporzionale e inevitabilmente vincolato dal pubblico.

Una sorta di televoto ignoto, inoltre, decide e condiziona i concorrenti in base al proprio gusto e al proprio divertimento. Al pubblico piace di conseguenza il sadismo? Perché siamo così tanto affascinati dal macabro e dall’orrore? È una di quelle domande alle quali non è facile dare una risposta. Forse perché attraverso questi atti esce, in un certo senso, quell’istinto primordiale e animalesco che c’è dentro ognuno di noi.