50 anni fa Declan Patrick MacManus non era ancora Elvis Costello, non viveva a Londra, non portava gli occhiali, aveva i capelli lunghi e l’aspetto trasandato di «un sacchetto di calamari abbandonato fuori alla pioggia» (parole sue). Un paio di occhiali – e capelli ancora più lunghi – li portava invece Allan Mayes, il vecchio amico che nella foto di copertina di The Resurrection Of Rust imbraccia come lui una chitarra acustica, seduto al suo fianco in quello che sembra essere il palchetto di un piccolo club o di una sala da ballo. Nel 1972, il liceale Declan e Allan, giovane lavoratore al suo primo impiego, suonavano nella stessa band chiamata Rusty – inizialmente un quartetto di cui Mayes, allora il più abile e scafato dei 2, era il leader – e sognavano di «conquistare il mondo, o almeno Widnes», cittadina posta sulla riva settentrionale del fiume Mersey e poco distante dalle loro dimore a Liverpool.

Dopo avere frequentato il circuito dei pub londinesi, pubblicato 1 album nei primi anni 80 e cantato ovunque se ne presentasse l’occasione, sulle navi da crociera che solcavano il Pacifico o nei bar frequentati dagli operai dell’industria petrolifera in Alaska, Mayes oggi abita ad Austin (Texas) e si esibisce ancora per diletto: è stato lui a ricordarsi del ½ secolo di vita del vecchio gruppo e a proporre a Declan/Elvis, che nel frattempo il mondo lo ha conquistato per davvero, di organizzare qualche show in cui riproporre il vecchio repertorio. Costello ha rifiutato, ma ha rilanciato: «Facciamo il disco che avremmo inciso quando avevamo 18 anni, se qualcuno ce lo avesse permesso».

Elvis Costello (a destra) con Allan Mayes

Ed eccolo qui, un piccolo e fragrante Ep di 6 canzoni coprodotto da Costello con Sebastian Krys (suo collaboratore stabile dai tempi di Look Now, 2018) e registrato in remoto in giro per il mondo. Una “falsa”, immaginaria cartolina d’epoca che ricorda quei tempi entusiasti, volonterosi e senza un soldo in tasca evocando la stagione d’oro del pub rock, soul bianco interpretato con un piglio da giovani arrabbiati e acide chitarre elettriche che sognavano la California. Un paio di composizioni vintage e una manciata di cover provengono dalle scalette che i Rusty proponevano in cambio di pochi spiccioli o a titolo gratuito suonando ai matrimoni e nelle scuole (compreso il liceo Quarry Bank frequentato anni prima da John Lennon), nei bar e nei folk club, ai reading di poesia e nei ritrovi per cuori solitari sulle 2 sponde del Mersey, accanto a Mr. Tambourine Man, a This Wheel’s On Fire e a Wooden Ships; a pezzi di Randy Newman, di John Martyn, dei Lindisfarne e dei londinesi Help Yourself, country rocker in panni psichedelici.

Quando Nick Lowe, il futuro, 1° produttore di Costello venne a suonare al Cavern di Liverpool con i Brinsley Schwarz, Declan e Allan fecero la sua conoscenza prendendo in prestito pezzi come Surrender To The Rhythm e Don’t Lose Your Grip On Love, entrambi inclusi in questo extended play: il 1°, un vivace soul rock alla maniera del giovane Graham Parker, cadenzato dall’organo Hammond e dal piano di Bob Andrews che dei Brinsley Schwarz fu un componente originale; il 2°, una intrigante ballata r&b che omaggia la Stax ma con una postura inequivocabilmente British. Lì e nel resto del disco, oltre ai bei duetti vocali fra i 2 protagonisti la differenza la fanno gli Imposters di Costello, Steve Nieve (tastiere), Davey Faragher (basso e voce) e Pete Thomas (batteria), pimpanti e compatti come se fossimo ancora ai tempi degli Attractions e di Get Happy!!

I’m Ahead If I Can Quit While I’m Behind è un altro bel pezzo d’antiquariato: una canzone scritta da Jim Ford, cantautore folk/soul/country del Kentucky, autore di hit per Aretha Franklin, P.J. Proby e Bobby Womack; e recuperata anch’essa dal catalogo della vecchia band di Lowe, con un bell’intreccio di organo e chitarra e un’atmosfera vagamente latin soul su cui si appoggia la voce roca di Mayes, mentre un mandolino country movimenta il midtempo pop folk e a 2 voci di Warm House (And An Hour Of Joy), scritta da Costello quando aveva 17 anni e da lui rintracciata in un vecchio demo inciso su bobina. La sua firma appare accanto a quella di Mayes anche nei crediti di Maureen & Sam, un lento sentimentale che racconta le tribolazioni di un duo di cabaret fra chitarre acustiche, un’elettrica distorta e cambi di tempo che ne fanno il pezzo forse meno immediato e più ambizioso del progetto (abile riciclatore, Costello ne adatterà il testo a una melodia completamente diversa per Ghost Train, lato B di New Amsterdam nel 1980).

Quando poi il disco si chiude in un crescendo di volume e di chitarre, con Elvis che per la prima volta in vita sua imbraccia anche un violino elettrico, sono passati in un battito di ciglia poco più di 23 minuti: la medley younghiana fra la cavalcata di Everybody Knows This Is Nowhere e la filastrocca di Dance Dance Dance (regalata dal canadese ai Crazy Horse in occasione del loro 1° e omonimo album) è un finale azzeccato che induce a riprendere l’ascolto da capo.

Nelle traiettorie ondivaghe e imprevedibili di Costello, una buona notizia è che ultimamente il rock and roll sembra avere ripreso un ruolo di primo piano: e se il dinamico The Boy Named If dell’anno scorso richiedeva comunque impegno e concentrazione, un disco leggero, accattivante, fresco e senza pretese come The Resurrection Of Rust a questo punto ci voleva. Resterà un divertissement temporaneo, una parentesi inattesa, un piccolo capriccio, una nota a piè di pagina della sua discografia; ma ci ricorda da dove tutto ha avuto inizio, quel contagioso entusiasmo naïf che sempre accompagna i sogni di gloria e l’inizio di qualunque grande avventura.