Nell’Ultimo Valzer filmato nel 1976 da Martin Scorsese, gli Staple Singers cantavano The Weight insieme alla Band in un teatro di posa della MGM a Culver City, in California, davanti a 250 persone. Robbie Robertson imbracciava una chitarra a doppio manico, Levon Helm intonava la prima strofa, Mavis Staples la seconda. 35 anni dopo, un sabato sera di giugno del 2011, di nuovo di fronte a non più di 200 persone, le parti si invertirono.

Era Mavis, leonessa indomita tornata in primo piano con una coppia di dischi prodotti da Ry Cooder e da Jeff Tweedy dei Wilco, a ruggire per prima al microfono mentre la voce di Levon arrivava dopo, velata e impolverata da anni di radioterapia e di malattia (un cancro diagnosticato nel 1998 lo ucciderà nel 2012). Con quel break suonato da un borbottante strumento a fiato che sembra una tuba più che un sassofono, sembra di stare a New Orleans piuttosto che a Nazareth, Pennsylvania, o nello stato di New York. E non avrebbe potuto esserci altro epilogo per Carry Me Home, chiusura di un cerchio e palpitante documento del loro ultimo incontro a Woodstock, durante uno di quei leggendari Midnight Rambles che Helm amava allestire nel suo Barn, lo studio di registrazione, sala prove e piccola sala da concerti che lui stesso aveva progettato e fatto costruire nel 1975 nella sua tenuta di 100 acri situata nel cuore della Hudson Valley e delle Catskill Mountains.

Levon Helm e Mavis Staples
© Greg McKean

Erano sempre rimasti amici da quel 1° incontro durante le riprese di The Last Waltz, Mavis e Levon, che nel 2011 aveva riacquistato un po’ di robustezza anche nelle corde vocali; e da poco s’era portato a casa 2 Grammy Awards per i suoi 2 più recenti album solisti, Dirt Farmer del 2007 ed Electric Dirt del 2009. Proprio in quest’ultimo aveva voluto includere una versione di Move Along Train degli Staple Singers: un lento gospel blues a ritmo shuffle, irrinunciabile ingrediente nella scaletta di questa reunion musicale che ripescava da quel disco anche l’r&b fiatistico di When I Go Away, firmato dal produttore di Carry Me Home Larry Campbell; e una versione di I Wish I Knew How It Would Be To Be Free (mai cantata prima dalla Staples), più veloce e meno aspra di quella interpretata da Nina Simone.

Fa parte, quel pezzo, di quel grande repertorio di canzoni legate al movimento dei diritti civili afroamericani in cui la Staples si identifica da sempre e su cui ha costruito la sua leggenda: proprio come This Is My Country, la hit degli Impressions del concittadino chicagoano Curtis Mayfield che apre il disco lasciando spazio anche a un inserto quasi recitato, l’orgoglio nero che sembra inalare una boccata di ossigeno e di speranza ai tempi della presidenza di Barack Obama.

Nei 54 minuti e ½ di concerto i 2 performer cantano temi profani e religiosi che spaziano dagli anni 10 del secolo scorso al 2000 comunicando quel clima di festa, di amicizia, di familiarità e di “ritorno a casa” suggerito dal titolo dell’album. Le voci hanno un timbro caldo e stagionato; le ance, il legno degli strumenti a corda e le pelli dei tamburi risuonano in sintonia con l’ambiente e i materiali di costruzione della sala, mentre fra le band di Helm e della Staples, ottimamente orchestrate da Campbell, si crea un amalgama perfetto: Mavis si porta dietro 3 coristi fra cui la sorella maggiore Yvonne e un trio chitarra-basso-batteria guidato con acume dalla sei corde di Rick Holmstrom; Levon riunisce intorno a sé e alle sue percussioni un bel combo con basso, tastiere, tromba, sax tenore, sax baritono e chitarra (Jim Weider, leader della Weight Band) rinforzato vocalmente dalla figlia Amy, dallo stesso Campbell (che suona anche chitarra e mandolino) e da sua moglie Teresa Williams. Tutta gente che mastica la roots music, il gospel, il blues, il rock and roll e il country soul come pochi altri.

La suggestiva resa a cappella dell’inno Farther Along è l’unico momento in cui gli strumenti tacciono e resta spazio solo per le voci, lanciate in una accorata invocazione di giustizia nel regno dei cieli se non su questa terra disgraziata. Ma il resto è un party elettrico, una esplosione di gioia, di condivisione e di energia a dispetto degli anni e degli acciacchi: Brian Mitchell si prende lo spazio per belle sottolineature e qualche assolo al piano e all’organo, le chitarre ingranano una marcia rockabilly nella grintosa versione di Hand Writing On The Wall (da Dottie Peoples agli Staple Singers nel segno del gospel) e fra i botta e risposta di You Got To Move di Mississippi Fred McDowell, dove il blues incontra il country e lo spiritual. In una rilassata rilettura di Trouble In My Mind, lo standard vaudeville blues, il robusto contralto della Staples si tuffa nelle sue tonalità più profonde e gutturali esplodendo poi in una roca, spontanea risata alla fine di una pigra e sensuale This May Be The Last Time, un altro gioiello di famiglia firmato da papà Pops.

C’è un solo di Jay Collins al sax tenore ad ammorbidire la ballata Wide River To Cross, scritta da Buddy Miller con la moglie Julie e ripresa dal suo album del 2004 Universal United House Of Prayer, mentre si muove a ritmo funky e si accende nel finale grazie a una irresistibile Staples il rock cristiano di You Gotta Serve Somebody di Bob Dylan, un altro reduce del Last Waltz che di Mavis si invaghì all’inizio degli anni 60 tanto da spingersi a chiederne la mano al padre. Fa parte anche lui, idealmente, della famiglia allargata riunitasi in quei giorni a Woodstock, davvero un ultimo valzer per Helm che in quei momenti ancora felici «sorrideva costantemente ed era in salute. Ogni giorno arrivava con una bella camicia stirata di fresco e mi mostrava il petto. Gli dicevo, Levon, hai davvero un bell’aspetto”. E lui, “Oh, grazie, Mavis» (così la Staples in una recente intervista rilasciata a Rolling Stone).

Ecco perché Carry Me Home commuove ma non intristisce, ecco perché scalda il cuore: è la fotografia di un ultimo e inconsapevole abbraccio consumato fra canzoni e risate da 2 “santi patroni del canone musicale americano”; 2 voci di un’America antica e mitizzata che, nonostante i dolori e le cicatrici dei loro 70 anni, trasmettono ancora la volontà di lasciare un segno nel mondo terreno, voglia di vivere e speranza nel futuro.