L’estate sta finendo (e un anno se ne va). Ma Onda su onda, il libro edito da Zolfo che Enzo Gentile ha dedicato alle canzoni estive in lingua italiana degli ultimi 60 anni, è un volume senza data di scadenza, adatto a tutte le stagioni e non solo a una lettura sotto l’ombrellone. In 408 pagine aperte da una prefazione di Claudio Bisio e chiuse da una postfazione di Enrico Vanzina, l’autore traccia la storia e il percorso dei “tormentoni” balneari dal 1960 a oggi, ripercorrendo classifiche di vendita e annuari musicali; contestualizzando anno per anno le hit in una cornice punteggiata da flash sulla politica, l’economia, il costume, lo sport e lo spettacolo dell’epoca; fornendo molteplici chiavi di lettura di un fenomeno peculiare ed esclusivamente italiano.

Ne risulta un volume denso, interessante e divertente, con una prima parte articolata in 7 capitoli tematici e una seconda ordinata cronologicamente con una “guida alle canzoni estive della nostra storia”, arricchito da quasi un centinaio di interviste condotte personalmente da Gentile; e da un inserto centrale di 32 pagine con foto in bianco e nero selezionate dai capaci archivi del discografico, collezionista di dischi e curatore di mostre Italo Gnocchi.

Firma tra le più note del giornalismo musicale italiano, autore di numerosi libri, consulente per cinema e teatro, curatore di mostre, direttore artistico di festival e insegnante di storia della musica pop-rock presso l’Università Cattolica di Milano, Gentile non è nuovo a frequentazioni con la musica delle estati italiane, avendo pubblicato nel 2005 Legata a un granello di sabbia per Melampo.

L’autore di Onda su onda, Enzo Gentile, accanto a una scultura luminosa di Marco Lodola

Che cosa differenzia e accomuna i 2 libri, a parte lo scritto di Gianni Mura (Un desco per l’estate) che hai voluto riproporre anche in questa occasione?
«Il tema è affine ma il suo svolgimento, stavolta, ha generato un numero di pagine più che doppio, non solo per l’inclusione di informazioni aggiornate a questi ultimi 15/20 anni. A parte la nuova prefazione e postfazione, ho inserito numerose interviste con gli artisti di cui tratto nel volume: personaggi anche semi dimenticati ma interessanti come Piero Focaccia, Dino, Peppino Gagliardi, Giuliano dei Notturni o Enrico Maria Papes dei Giganti, che ancora oggi guardano con affetto ai loro vecchi successi. Alle informazioni riguardanti le hit discografiche, ho voluto affiancare una serie di schede che anno per anno raccontano sinteticamente alcuni aspetti della vita dell’epoca, così da tracciare un parallelo fra la storia della nostra musica leggera, quella personale legata ai ricordi di ognuno di noi e quella collettiva del Paese. L’ho fatto in maniera molto più sistematica che nel libro precedente».

Ti conosciamo come grande appassionato di Jimi Hendrix – su cui hai scritto diversi libri – e di altri grandi nomi del rock internazionale. Nei confronti della musica delle estati italiane nutri un interesse di tipo artistico, o piuttosto sociologico?
«Più sociologico, forse. Anche se io, nato nel 1955, sono cresciuto negli anni 60 ascoltando nei juke-box molti dei pezzi di cui parlo nel libro. Ho iniziato a comprare i miei primi 45 giri con le “paghette” settimanali che mi davano i miei genitori quando avevo 11, 12 anni, e li ascoltavo su un mangiadischi. Molti li conservo ancora, e comunque nel tempo non ne ho rimosso la memoria: se oggi riascolto Riderà o Cuore matto di Little Tony, sono in grado di cantarle dall’inizio alla fine. Faccio parte di quella generazione che con i Rokes, i Giganti, l’Equipe 84, Patty Pravo o Caterina Caselli si affacciava al beat e un repertorio nuovo e diverso. E quando mi sono reso conto che nessuno si stava occupando di quei temi, ho pensato che avrei potuto farlo io mettendoci la curiosità che mi contraddistingue. Riascoltando molte di quelle canzoni, nei mesi scorsi, ho riscoperto spesso arrangiamenti, testi, interpretazioni e vocalità in grado di non sfigurare neppure di fronte alla migliore produzione rock e cantautorale. Non a caso, negli anni 60, su quei brani lavoravano grandissimi professionisti: arrangiatori come Ennio Morricone e Luis Bacalov e autori come Giancarlo Bigazzi, che ha firmato un numero incalcolabile di pezzi. Molti di quei personaggi, anche i meno noti, sono stati artefici di decine di brani entrati nella storia, per il successo che hanno riscosso ma anche per la loro qualità intrinseca».

In un’intervista inclusa nel libro Mario De Luigi Jr., compianto direttore di Musica e Dischi, sottolinea il fatto che la canzone estiva, da spiaggia, ha rappresentato nel tempo un’eccezione tutta italiana. Curioso, considerando che il nostro non è l’unico Paese baciato dal sole o affacciato sul Mediterraneo…
«È vero, e lo confermano le impressioni raccolte da personaggi come Mal e Shel Shapiro, che arrivati in Italia dall’Inghilterra si resero conto di un fenomeno – la musica per l’estate, appunto – di cui nel loro Paese d’origine non c’era traccia. Una causa scatenante fu sicuramente il boom economico che nei primi ’60 diede origine in Italia a film, trasmissioni televisive e musiche dall’atmosfera particolare, mentre anche certi balli importati dall’estero come il twist e l’hully gully finirono per identificarsi soprattutto con le nostre estati. Gioca anche il fatto che in Italia l’estate e le vacanze sono sempre stati momenti votati all’aggregazione, alla condivisione, alla vita all’aria aperta, in un momento in cui tutto il resto – l’industria, le attività commerciali e la scuola, ma anche il campionato di calcio, il cinema, il teatro e la televisione – si fermavano. Solo la musica, in qualche modo, proseguiva il suo percorso e sopperiva a quelle mancanze. Perché sia successo solo qui e non altrove non è facile dirlo. Certo, sotto la dittatura di Franco la Spagna aveva altro a cui pensare, ma la Grecia? Chissà, certo è difficile immaginare il rebetiko come musica da spiaggia…».

Gran parte del libro si concentra proprio sugli anni 60: è stato un periodo irripetibile?
«Sicuramente sì. Pensa alla televisione, che disponeva di 2 soli canali: le musiche che vi venivano trasmesse, in manifestazioni come il Festival di Sanremo ma anche Un Disco per l’Estate, erano destinate a dettare legge e a restare nel tempo. Quello è il motivo per cui Al Bano, Massimo Ranieri, Gianni Morandi, Orietta Berti o Caterina Caselli sono ancora oggi popolarissimi: in tv, allora, ti vedevano 20.000.000 di persone per volta. Anche il clima sociale, quanto meno prima del ’68 e dell’autunno caldo, era diverso: il sentimento prevalente era improntato a una bonomia e a un’allegria che in seguito si sono perduti».

Era anche un periodo, quello, in cui sulla musica si innestavano geniali intuizioni imprenditoriali come il Cantagiro, i “musicarelli” che alimentavano la popolarità dei personaggi della canzone, ma anche l’industria del cinema; o innovazione tecnologiche come il 45 giri e poi la cassetta, il juke-box e le radioline a transistor…
«Tutti strumenti che favorivano la divulgazione della musica leggera e che in mancanza di forme alternative di intrattenimento, ti facevano compagnia per giornate intere. Volenti o nolenti, la musica dei juke-box la si ascoltava in spiaggia tutti insieme, dalle 10 del mattino alle 8 di sera. Anche l’ascolto dei dischi era un’esperienza collettiva».

Nel libro Mario Lavezzi sostiene a un certo punto di non credere che esista una formula per la canzone estiva di successo. Sei d’accordo con lui?
«È un’alchimia difficilmente replicabile. Certo, quando un autore particolarmente abile come Bigazzi affidava un pezzo come Luglio a Riccardo Del Turco era come se gli tirasse la volata. Mentre altri brani meno legati all’estate, come Lisa dagli occhi blu, azzeccarono la stagione giusta per esplodere. C’erano cantanti per tutte le stagioni e con successi spalmati su tutto l’anno come Gianni Morandi e altri prettamente estivi come Edoardo Vianello: se canti Abbronzatissima o Pinne, fucile ed occhiali è facile che tu venga identificato con l’estate, ma ci sono anche molti esempi di successi più casuali e inaspettati. Stiamo parlando di un’industria che all’epoca era ancora molto artigianale».

Non sembra un caso che la musica “balneare”, dopo le tensioni sociali e politiche dei ’70, sia tornata in auge negli ’80 del post terrorismo e del riflusso.
«C’era un nuovo desiderio di svagatezza e di leggerezza, allora: non può essere un caso che nello stesso periodo uscissero sul mercato discografico le rivisitazioni anni 60 di Ivan Cattaneo, che sulle colline di Rimini nascesse un locale come il Bandiera Gialla da cui nacque poi un programma televisivo di successo, che al cinema spopolasse Sapore di mare dei Vanzina con una colonna sonora d’epoca o che a Blitz Gianni Minà invitasse personaggi diventati famosi 20 anni prima».

Sottolinei giustamente che non tutte le canzoni estive erano leggere, superficiali, divertenti.
«Non era sempre necessario essere frivoli. Los Marcellos Ferial cantavano Sei diventata nera, ma altre canzoni diventavano successi estivi quasi loro malgrado: Guarda che luna di Fred Buscaglione cavalcò la grande onda emotiva conseguente alla morte del suo interprete, mentre personaggi come Nicola Di Bari e Peppino Gagliardi, dotato di una voce straordinaria, caratterizzavano un movimento artistico dalle caratteristiche specifiche anche se erano poco aiutati dall’immagine. Al pari di Sergio Endrigo, dotato di una qualità di scrittura superba che non a caso anni dopo affascinò Franco Battiato».

All’epoca del boom dei 45 giri, dei juke-box e del Cantagiro, come osservano nelle tue interviste Shapiro o Gegè Reitano, era decisamente più facile misurare la reale popolarità e il vero gradimento di una canzone. E ora?
«Streaming e visualizzazioni rendono molto più complicato arrivare a un conteggio significativo. Non che le classifiche di vendita degli anni 60 fossero precise e inequivocabili, o che i volumi dedicati alle Hit Parade non mostrino discrepanze, ma c’era comunque un’unica unità di misura. Quando Vittorio Salvetti si inventò la formula del Festivalbar, trovò una sintesi e un contrappeso: selezionando la musica che volevi ascoltare nei juke-box non acquistavi una copia fisica del 45 giri ma un diritto all’ascolto. La confluenza dei 2 dati – vendite di dischi e soldi spesi nei juke-box – forniva una misurazione più precisa della popolarità di un pezzo, sempre basata su un atto volontario d’acquisto. Oggi che la musica si fruisce prevalentemente gratis, tutto diventa molto più aleatorio. Forse è per questo che In ginocchio da te resiste da oltre 50 anni e Pistolero di Elettra Lamborghini esaurisce la sua funzione in 2 mesi».

In Onda su onda hai dato voce a tanti personaggi da tempo lontani dai riflettori.
«Con persone come Dino o Bobby Solo, dotato di una simpatia irresistibile e di una memoria di ferro, verrebbe voglia di restare a chiacchierare pomeriggi interi. Nulla di più lontano dalle domande e risposte standard delle classiche conferenze stampa cui siamo abituati oggi. Sono contento di avere riportato il pensiero di tante figure forse marginali, ma le cui canzoni restano nella memoria collettiva. Stessa spiaggia, stesso mare di Piero Focaccia è diventata uno slogan anche se pochi si ricordano di lui, mentre oggi accade il contrario: tutti conoscono Fedez o Baby K, ma prova a fermare qualcuno per strada e a chiedergli di cantare le loro canzoni…».

Non c’è nessun filo comune tra Nico Fidenco e Baby K?
«Direi di no. Nel libro li ho affiancati come simboli contrapposti di epoche diverse. Secondo diverse fonti, con il 45 giri di Legata a un granello di sabbia Fidenco fu, nel 1961, il primo cantante a superare 1.000.000 di copie vendute, un traguardo cui non era arrivato neppure Domenico Modugno con Nel blu dipinto di blu. Con Roma- Bangkok, Baby K mi sembra rappresentare un personaggio agli antipodi: lui così sobrio, lei così esplosiva».

Baby K, Takagi & Ketra, Colapesce Dimartino raccontano uno spicchio dell’estate e dell’epoca attuale come facevano ai loro tempi Fidenco e Vianello, Cattaneo o i Righeira?
«Non tanto per i testi delle canzoni, credo, ma più in termini di suono. Se fra 20 anni riascolteremo i loro brani, ci accorgeremo che hanno caratterizzato un periodo storico esattamente come fece certa italo dance a metà degli anni 90. Rimane la testimonianza, piuttosto che la fascinazione esercitata da pezzi destinati in gran parte a essere dimenticati. Oggi molti personaggi diventano popolari grazie a una canzone, o meglio al sistema mediatico che li circonda, cavalcando un genere in voga ma senza sviluppare una loro identità artistica».

Davanti a un vecchio, enorme juke-box con tutti i successi estivi degli ultimi 60 anni, su quali 3 pezzi spenderesti oggi le tue 100 lire?
«Se mi sentissi particolarmente romantico metterei sicuramente Estate di Bruno Martino. E poi Una rotonda sul mare di Fred Bongusto, che mi riporta a quand’ero bambino e i miei genitori, cui ho dedicato il libro, trascorrevano le serate estive proprio in un luogo come quello descritto dalla canzone. Chiuderei con Hanno ucciso l’Uomo Ragno degli 883, interpreti di una musica facile ma non banale, frutto di un artigianato anch’esso altamente professionale. Anche se all’epoca i miei ascolti mi stavano portando da tutt’altra parte, la loro musica contraddistingue i nostri anni 90 come nessun’altra».

Enzo Gentile, Onda su onda – Storie e canzoni nell’estate degli italiani, Zolfo Editore, 408 pagine, € 18