«Questa raccolta», ci ha raccontato Andrew Batt che l’ha concepita, compilata e annotata impegnandosi in prima persona nella ricerca e nel mastering dei nastri originali, «si è praticamente intitolata da sé: data la trasformazione nello stile vocale di Marianne e il suo ben noto amore per la poesia romantica del 19° secolo, mi è sembrato perfetto chiamarla Songs Of Innocence And Experience come la celebre opera di William Blake».

Batt, che per la Faithfull aveva già curato il Live At The BBC (2008) e la deluxe edition di Broken English (2013), aveva iniziato a pensare a questa antologia – la prima dai tempi di A Perfect Stranger (1998) e la prima a riunire il catalogo Decca con quello Island, approfittando del “tetto” comune Universal – ben 5 anni fa. Ne ha ricavato un doppio Cd con 44 canzoni “d’innocenza e di esperienza”, spulciando gli archivi per offrire un programma niente affatto scontato: zeppo di rarità, con molti brani riproposti nelle versioni pubblicate su singoli (spesso mai apparse prima d’ora in formato Cd o digitale e a volte piuttosto diverse da quelle incluse sugli album) o su lati B, Ep o stampe americane degli album, outtakes e inediti dal vivo.

«Spero di essere riuscito a realizzare una pubblicazione capace di suscitare l’interesse del neofita ma anche di offrire al collezionista alcune delle molte registrazioni che fino ad oggi non erano mai state rese disponibili», spiega, sottolineando che «nel mixare le canzoni qui pubblicate per la prima volta ho sempre prestato particolare attenzione al modo di lavorare del produttore originario, nella speranza che in questo modo diano la sensazione di appartenere agli album per cui erano state originariamente intese».

Il progetto funziona, e la sequenza (cronologica) di Songs Of Innocence And Experience si sviluppa con un arco narrativo coinvolgente come quello di un romanzo: anche perché romanzesca, drammatica, avventurosa, punteggiata da cadute agli inferi e da resurrezioni è stata la vita dell’artista londinese di Hampstead, famiglia con ascendenze nobili (il fratello del bisnonno per parte materna era Leopold von Sacher-Masoch, autore del romanzo erotico Venere in pelliccia); un’infanzia travagliata dal divorzio dei genitori, da improvvisa indigenza economica e dalla tubercolosi; un grande amore giovanile per la letteratura e per la folk music; una bellezza virginale e sensuale che folgorò al primo incontro Andrew Loog-Oldham, il manager dei Rolling Stones  («Un angelo dalle grandi tette», la sua celebre e poco elegante definizione) spingendolo a offrirle un contratto discografico senza neppure averla mai sentita cantare.

L’inizio di carriera fu fortunato, anche se le sue prime incisioni per la Decca, distribuite su singoli e album oggi disordinatamente sparsi sul mercato, vengono spesso trascurate (in primo luogo da lei stessa, che le ha bollate come cheesecake sentendosi spesso manipolata dal management e dalla casa discografica). Chi non le conosce o se le era dimenticate, andrà invece incontro a gradevoli sorprese riascoltando il pop orchestrale e delicato di Come And Stay With Me (il 3° singolo datato 1965 e N°4 nelle classifiche inglesi: vi suona la chitarra Jimmy Page, allora boyfriend dell’autrice del pezzo Jackie DeShannon che firma anche una leggiadra With You In Mind arrangiata per flauti e archi) e quello spectoriano (ma senza Wall of Sound) di What Have They Done To The Rain?. Le sottovalutate qualità interpretative della giovane Marianne spiccano però soprattutto nell’umbratile materiale folk rock di album come Come My Way e North Country Maid, nei pezzi scritti e arrangiati dal chitarrista Jon Mark (John Mayall, Mark-Almond) e nelle seducenti riletture di brani ripresi dalla tradizione popolare britannica (Once I Had A Sweetheart) o firmati da luminari della scena folk revival quali Bert Jansch (l’inconfondibile folk blues di Green Are Your Eyes), Cyril Tawney (la Sally Free And Easy che apparteneva anche al repertorio dei Pentangle, qui di nuovo con il contrabbasso di Danny Thompson) e Ewan MacColl (anche se la celeberrima The First Time (Ever I Saw Your Face) con coro e orchestra è fin troppo sovraccarica di epico lirismo).

Era dunque un’interprete buona per tutte le stagioni, la Faithfull dei Sixties, icona della Swinging London negli scatti immortalati da David Bailey, Gered Mankowitz e Michael Cooper: sbarazzina, yé-yé e capace di rivaleggiare con Françoise Hardy, Sylvie Vartan e France Gall quando si concedeva al pop francofono di Nuit d’Eté e di Hier Ou Demain, scrittale su misura da Serge Gainsbourg e interpretata sotto l’occhio della cinepresa nella commedia musicale Anne; capace di maneggiare con il dovuto rispetto e un pizzico di timore reverenziale Yesterday dei Beatles in una versione dal vivo accompagnata da una chitarra acustica ed eseguita in una registrazione del 1965 per Saturday Club, il programma radiofonico della BBC (1 anno dopo, lo stesso show la vedrà eseguire un’ipnotica Cockleshells scritta e arrangiata dal futuro Stones Mick Taylor); di affrontare in un tripudio di archi e con una certa scioltezza il songbook di Carole King e degli altri autori del Brill Building americano (Is This What I Get For Loving You? con un assolo dixieland di tromba, Something Better) così come la canzone d’autore di Donovan (Young Girl Blues e un’incisiva Sunny Goodge Street, ripresa da una alternate take inedita), John D. Loudermilk (il testo di This Little Bird è un adattamento della Discesa di Orfeo di Tennessee Williams) e di Tim Hardin (una lussureggiante Hang On To A Dream quasi a tempo di valzer e una Don’t Make Promises trotterellante).

Quando con la traccia 21 del 1° Cd si arriva al 1969 e alla versione originale uscita su 7 pollici di Sister Morphine, l’innocenza comincia a cedere il passo all’esperienza, la voce si abbassa e si increspa e Marianne scrive un testo shock (mai ufficialmente accreditatole per 30 anni) che parla di sofferenza alleviata dalla morfina in un letto d’ospedale su musica composta da Keith Richards e Mick Jagger, che qui suona la chitarra acustica affiancato da Ry Cooder alla slide, da Jack Nitzsche al piano e all’organo e da Charlie Watts alla batteria: 2 anni dopo i Rolling Stones ne faranno 1 dei pezzi di punta di Sticky Fingers, mentre il 45 giri di Marianne verrà ritirato dal mercato dopo 2 settimane appena dalla Decca, preoccupata dai riferimenti alla droga. Intanto, però, il velo è squarciato e nessuno potrà più trattarla come una bambolina senza cervello, anche se dopo gli scandali, i pettegolezzi dei tabloid (che la bollano come “la ragazza nuda avvolta in un tappeto di pelliccia” dopo la retata antidroga avvenuta nel febbraio nel 1967 nella casa di campagna Keith Richards) e la fine della turbolenta relazione con Jagger, Marianne vive il periodo più buio della sua vita, aggirandosi come una zombie tossica, anoressica e senza tetto nei vicoli di Soho fino a quando il produttore Mike Leander la strappa alla strada riportandola in uno studio di registrazione: le versioni più che dignitose della dylaniana It’s All Over Now, Baby Blue e dell’amara Chords Of Fame di Phil Ochs che incide nel 1971, usciranno solo ne 1985 in un disco intitolato Rich Kid Blues, indiscutibilmente interlocutorio e a lungo rinnegato dall’interprete, che finirà poi per riconoscerlo come «l’anello mancante tra i miei primi lavori e Broken English».

Cioè il suo indiscutibile capolavoro che nel 1979 ne segna la rinascita artistica e umana, con un nuovo contratto discografico (la Island di Chris Blackwell), una nuova immagine sexy, moderna, elegante e dark e un disco new wave graffiante, bollente e burrascoso come la sua biografia, che nemmeno le cascate di sintetizzatori e la produzione datata di Mark Miller Mundy riescono a scalfire. Riproposte nei loro mix originali già inclusi nella deluxe edition di Broken English, What’s The Hurry e la magnifica versione di The Ballad Of Lucy Jordan di Shel Silverstein (5 anni prima incisa da Dr. Hook & The Medicine Show) suonano più spontanee ma anche meno rifinite: «Sono io, se la mia vita non avesse preso una piega differente», dice Marianne dell’immaginaria Lucy Jordan con cui si identifica pienamente indossando i panni di una donna borghese e frustrata che finisce per impazzire coltivando i suoi sogni di libertà. Il riff insistente, i gelidi synth e l’implacabile ritmo quasi disco della title track (versione 7 pollici, più breve) fotografano l’attualità fra il grigiore dell’Inghilterra thatcheriana e i venti sinistri del terrorismo incarnati dalla figura tragica di Ulrike Meinhof, mentre la rabbia travolgente della straordinaria Why D’you Do It (qui nella differente e ancora più estesa versione pubblicata su 12 pollici) cavalca la moda reggae del periodo con una chitarra tagliente, un sax urlante e un testo a luci rosse del poeta Heathcote Williams cui la Faithfull presta una voce sprezzante, disperata e velenosa, graffiata dalla laringite, dalle sigarette e dagli abusi di alcool e droga, incarnando magistralmente la furente gelosia di una donna tradita.

L’allora marito Ben Brierley e il fedele chitarrista Barry Reynolds sono presenze importanti anche in Dangerous Acquaintances (1981) e in A Child’s Adventure (1983), cui manca tuttavia la forza dirompente del predecessore: il calypso fiatistico di Intrigue alleggerisce la tensione, mentre Falling From Grace e Running For Our Lives, il singolo synth pop, pur toccanti nella loro spietata sincerità autobiografica scontano qualche sonorità elettronica anni 80 di troppo. Centrano meglio il bersaglio l’eccellente ballata Truth Bitter Truth (qui in versione 7 pollici), amara riflessione sullo svanire della gioventù, e il blues jazz di She’s Got A Problem, nelle parole di Marianne «un ritratto devastante del mio io autodistruttivo ed errante».

Ci vorranno però un visionario/motivatore empatico come Hal Willner e un disco come Strange Weather (3 selezioni più una outtake in questa antologia) per trasformarla in quel che Marianne è diventata dal 1987 in poi, vivendo una sorta di terza vita artistica: una chanteuse elegante, di nerovestita ed esistenzialista, dalla voce avvizzita e catramosa, che sposa alla perfezione le atmosfere démodé e la fisarmonica della title track firmata da Tom Waits e da sua moglie Kathleen Brennan; e la rivisitazione in età matura del singolo di debutto As Tears Go By, la prima canzone firmata Jagger-Richards che le regalò immediato successo nel 1964 e il cui testo malinconico e colmo di rimpianto sembra essere stato scritto apposta per la Marianne 40enne e vissuta del 1987. Di lì in poi la musica si fa più rarefatta e vaporosa, nostalgica e mitteleuropea; e Marianne somiglia a Marlene Dietrich molto più che a Patti Smith anche quando riprende The Calm Before The Storm scritta da Lou Reed con e per il panamense Rubén Blades. Quell’ennesimo maquillage la fa rifulgere in Blazing Away, testimonianza di 1 straordinario concerto registrato dal vivo il 25 novembre del 1989 al St. Anne’s di Brooklyn con una band stellare che include Reynolds e Marc Ribot alle chitarre, Garth Hudson della Band alle tastiere, Lew Soloff alla tromba e al flicorno, Fernando Saunders al basso: ce lo rammentano una ballata sontuosa e cinematografica come Times Square e il folk jazz di When I Find My Life, oltre a 2 fascinose versioni di Brain Drain e dello standard anni 30 The Boulevard Of Broken Dreams che sul disco live, all’epoca, non avevano trovato posto.

Londra, 16 marzo 2021
© Danny Kasirye/The New York Times

5 anni dopo una collaborazione con Angelo Badalamenti rimescolerà ancora le carte in tavola fruttando A Secret Life, che in pezzi come Bored By Dreams e The Stars Line Up propone le inconfondibili atmosfere oniriche, avvolgenti e un po’ sinistre dell’autore di Twin Peaks. Songs Of Innocence And Experience si ferma qui, all’ultimo album per la Island, anche se la storia di Marianne proseguirà con altri capitoli importanti, collaborazioni con artisti di grido quali Roger Waters, Brian Eno, Nick Cave e Warren Ellis (il suo ultimo alter ego musicale), prove teatrali e cinematografiche (indimenticabile l’ironica commedia Irina Palm). Intanto la sua salute, già compromessa da un tumore al seno e dall’epatite C, vacillerà ulteriormente sotto i colpi del Covid che le causerà gravi complicazioni polmonari, uno stato di debilitazione generale e problemi di memoria. Verrebbe da definirla una “sopravvissuta”, non fosse che nelle ricche note di copertina della raccolta è lei stessa a ripudiare quel termine sottolineando con fierezza di avere sempre vinto, fino ad oggi, la sua battaglia con la vita. Le ferite che ha riportato, le gioie e i dolori che ha intensamente vissuto, la gioventù, la maturità e la vecchiaia, il candore ingenuo, la sventatezza e la saggezza, la rabbia e la poesia, le trovate anche qui dentro, in queste 44 canzoni.