La Grande Abbuffata del rock si consuma nell’estate 1971. Dopo aver chiuso gli Anni ‘60 con Beggar’s Banquet e Let It Bleed, i Rolling Stones incassano il successo planetario di Sticky Fingers. Da 1 anno sono concentrati su un pugno di canzoni, ma Londra per loro è “off-limits”. Tartassati dal fisco, volano in esilio (dorato) in Costa Azzurra. A Villefranche-sur-Mer, Keith Richards affitta Villa Nellcôte. Il nuovo disco prende forma qui, fra stucchi e cantine. Keith sa ciò che vuole: farsi d’eroina con la sua donna Anita Pallenberg, bere come una spugna e concepire grande musica. Mick Taylor, l’altro chitarrista, lo segue viziosamente a ruota mentre Mick Jagger si defila coccolando Bianca sposata a Saint Tropez e in attesa di Jade. Bill Wyman e Charlie Watts vanno e vengono, mal sopportando quel carosello di spacciatori, groupies, intrusi e scrocconi che infesta la villa. Eppure, nella Grande Abbuffata Keith suona da dio, Mick canta come un tarantolato e alle Pietre Rotolanti si aggiungono Nicky Hopkins e Ian Stewart (piano), Billy Preston (organo), Bobby Keys (sax), Jim Price (tromba) e una pattuglia di coriste. Nasce, grezzo, il doppio Exile On Main Street che viene rifinito a Los Angeles all’inizio del ’72 per poi uscire a maggio apostrofato così da Jagger: «Un disco fottutamente pazzo e molto amatoriale». 18 pezzi snobbati. Il tempo, però, ha dato ragione a Richards: “l’album di Keith”, come hanno riconosciuto fans e critici, s’è trasformato nel capolavoro degli Stones.
Ovvio, quindi, che riveda la luce rimasterizzato e rimpolpato da 10 inediti. «Gran parte dei nostri riferimenti musicali sono americani», ha dichiarato Jagger. «Arrivo perfino a dire che siamo stati una band a stelle e strisce con un minuscolo tocco inglese». Ne è prova lampante Exile On Main
Street, che fila alla radice del blues e lo sbianca. Che distilla rhythm & blues, country e gospel per poi filtrarli con un rock al vetriolo. Soltanto loro sono riusciti a mettere in fila un piano honky tonk e i fiati R&B di Rocks Off; un country speziato dal calypso (Sweet Black Angel) e un altro col sassofono “black” e il coro gospel (Sweet Virginia); uno dei rock and roll più veloci in carriera (Rip This Joint), l’asprigna e ciondolante Casino Boogie, l’errebì di Tumbling Dice; una ballata da pelle d’oca (Torn And Frayed) e un blues verace (Shake Your Hips); post-psichedelìa voodoo (I Just Want To See His Face) e l’hammond che titilla Shine A Light. Gli inediti, poi, sono tutt’altro che quisquilie: a parte le versioni alternative di Loving Cup e Soul Survivor, c’è il funky latineggiante di Pass The Wine (Sophia Loren); la maestosa Plundered My Soul; il blues sudista di I’m Not Signifying; la ballata Following The River, stile Wild Horses, che Mick Jagger canta “ex novo”; il country e l’honky tonk di Dancing In The Light; la psichedelica So Divine (Aladdin Story) alla quale Keith Richards ha aggiunto nuove parti chitarristiche; Good Time Women che ricalca e velocizza Tumbling Dice; il boogie strumentale di Title 5. Dopo Exile On Main Street (strizzato fra sesso, droga e rock & roll) gli Stones hanno campato di rendita.
The Rolling Stones, Exile On Main Street (1972, Polydor/Universal)