Il chitarrista, autore e produttore Paul Nelson lo mette nero su bianco, nelle note di copertina di East-West. Nell’estate del 1966 la Butterfield Blues Band è il Marat/Sade del blues, come se l’opera teatrale sperimentale di Peter Weiss si facesse musica, note al posto delle parole. Una rappresentazione drammaturgica, potente e provocatoria del suono di cui il capobanda, Paul Butterfield, si era invaghito crescendo proprio accanto alle sue origini, nel quartiere Hyde Park situato nel South Side di Chicago.

Personalità esuberante, cantante espressivo e armonicista originale, bianco di buona famiglia figlio di un avvocato e di una pittrice, Paul guida 1 dei primi gruppi interrazziali con una sezione ritmica afroamericana ereditata nientemeno che da Howlin’ Wolf (il bassista Jerome Arnold e il batterista Sam Lay, poco dopo sostituito da un altro musicista di pelle nera, Billy Davenport), 1 tastierista versatile che in seguito suonerà anche con Van Morrison (Mark Naftalin) e 2 chitarristi straordinari, il fluido e preciso Elvin Bishop e il geniale e imprevedibile Mike Bloomfield, lui pure chicagoano e di origini ebraiche. Come Bach, Beethoven e Brahms erano le 3 B della musica classica — scrive NelsonButterfield, Bloomfield e Bishop rappresentano le 3 B del blues, e loro confermano: «La gente ci etichetta nei modi più diversiblues, pop, folk-rockma siamo principalmente una blues band: tutto ciò che tocchiamo in qualche modo si trasforma in blues».

Vero, ma riduttivo: perché East-West, 2° album del gruppo e punta di diamante del catalogo Elektra, prodotto da Paul A. Rothchild (Doors, Janis Joplin) e Mark Abramson con un contributo di Barry Friedman, registrato nel luglio del 1966 e distribuito nei negozi il mese successivo, è un disco a suo modo rivoluzionario. Un Lp che — insieme a Projections dei newyorkesi Blues Project di Al Kooper, uscito giusto qualche mese dopo — rende commestibile al nuovo, sterminato e affamato pubblico del rock il blues elettrico di Chicago fornendone una reinterpretazione autentica, sanguigna, moderna e a tutto volume, ma che simultaneamente apre le porte a un’era spaziale della musica votata all’esplorazione, ai viaggi e alla sperimentazione.

1 anno prima di Monterey, 3 anni prima di Woodstock (con formazioni diverse, Butterfield partecipò a entrambi i festival), con i suoi occhiali scuri e i suoi fedora la BBB si fa immortalare sulla copertina di East-West fra le statue classicheggianti del Museum of Science and Industry di Chicago. Storia e innovazione si mescolano anche nei solchi di un album registrato non a caso nei leggendari studi Chess: una messa laica in onore degli dei delle 12 battute, Robert Johnson, Muddy Waters e B.B. King, tra una Walkin’ Blues aspra e grintosa e una versione bollente di I Got A Mind To Give Up Living (nel repertorio anche dei Fleetwood Mac di Peter Green) in cui la Gibson Les Paul di Bloomfield sembra irrorare una notte afosa di una cascata di note liquide, mentre sui binari di Two Trains Running (punto in comune con il repertorio dei Blues Project) la locomotiva di Butterfield macina r&b a ritmo implacabile.

Il clima si surriscalda e l’armonica di Butterfield si infervora nel traditional All These Blues, mentre in Never Say No il beat rallenta ed è Bishop a cantare un altro standard che proietta nel futuro la musica del Delta e del South Side. Eppure il blues non è l’unica stella polare della Butterfield Blues Band: è semmai la spina dorsale di un organismo musicale che si muove in tante direzioni. Il pianoforte di Naftalin saltella fra le note di Get Out Of My Life, Woman, celebre r&b neorleansiano firmato dal grande Allen Toussaint e portato al successo pochi mesi prima da Lee Dorsey, mentre una acida e annerita Mary, Mary (scritta da Michael Nesmith) anticipa di mesi la melodiosa e spensierata versione sunshine pop che ne faranno i Monkees.

La BBB ha le orecchie aperte e Butterfield è un leader democratico che lascia volentieri spazio al fuoriclasse della sua squadra, quel Bloomfield che aveva già frequentato i nuovi rock club di San Francisco e amato i dischi di Miles Davis e di John Coltrane. È lui a trascinare i compagni sui sentieri tortuosi e inebrianti del jazz e dell’improvvisazione nei pezzi più lunghi, eccitanti e sconvolgenti della raccolta. Work Song rielabora un classico dell’hard bop che 6 anni prima aveva intitolato 1 album del sassofonista “CannonballAdderley esplodendo in una jam di quasi 8 minuti in cui si succedono in sequenza assoli di Mike, Paul, Naftalin (all’organo) e Bishop; e che anticipa le migliori avventure fusion ancora di là da venire. Mentre l’altro strumentale East-West è l’apoteosi finale, una cometa sonora lunga più di 13 minuti che folgora la mente di Bloomfield dopo un trip di LSD durato una notte intera, un sogno a occhi aperti che gli rivela i segreti della musica indiana gettando un ponte tra Oriente e Occidente. Lui, Bishop, Naftalin e Butterfield all’armonica si inseguono ancorandosi a un riff insistente in 4 battute eseguito dal basso di Arnold e all’agile lavoro di piatti, tom e rullante, mazze e bacchette di Davenport (dall’altra parte dell’Atlantico, un giovanissimo Richard Thompson ne farà insieme ai Fairport Convention una piattaforma di lancio per le sue prime fughe chitarristiche).

I raga e la musica modale di Kind Of Blue sono i punti di partenza di un pezzo che inventa un nuovo codice e un nuovo spazio sonoro; un bordone su cui si intrecciano chitarre che evocano i suoni dei sitar; accelerazioni e decelerazioni; momenti convulsi e placidi; intermezzi meditativi che sfociano in un gran crescendo finale alternando lungo il percorso infinite variazioni «d’umore, modo e colore» (come dirà Naftalin). Con East-West il rock esplode in un pulviscolo di particelle sonore, la struttura formale della canzone pop si disintegra per poi ricomporsi attorno al suo nucleo centrale: (anche) da lì, come ha annotato il celebre e autorevole giornalista e scrittore Dave Marsh, nasce la scintilla della rivoluzione rock della West Coast; e molti troveranno il coraggio di lanciarsi sulle strade dell’improvvisazione, dell’acid rock e della psichedelìa.

East-West riscuoterà un moderato successo (N°65 delle classifiche pop di Billboard) ma bisognerà aspettare il 2015 prima che i membri della Rock and Roll Hall of Fame riconoscano alla Butterfield Blues Band il posto che le spetta, constatando che il gruppo “convertì i puristi country-blues introducendo la generazione del Fillmore ai piaceri di Muddy Waters, Howlin’ Wolf, Little Walter, Willie Dixon ed Elmore James”. Intanto Mike e Paul, uomini fragili e vittime predestinate del blues e del rock and roll, da tempo avevano già lasciato questo mondo, trascinati via da 2 accidentali ma per nulla imprevedibili overdose.

The Butterfield Blues Band, East-West (1966, Elektra)