Condividere un palco del Teatro Regio di Parma con Marcello Pelizzoni, classe 1999, già ballerino del Krasnoyarsk State Opera and Ballet Theater, in Siberia, e ora solista dello Stanislavski and Nemirovich-Danchenko Moscow Academic Music Theatre di Mosca, è stata una specie di predestinazione. Ed è stato emozionante trascorrere un pomeriggio a farmi raccontare la sua storia e i retroscena di una disciplina così affascinante che a volte ti fa fare scelte rischiose.
Nonostante i venti di guerra e la pandemìa, Marcello non ha mai lasciato la Russia, grato com’è nei confronti di quel gelido paese che l’ha cresciuto come ballerino dandogli l’opportunità di calcare i palcoscenici bulgari, kazaki, inglesi. Sergej Bobrov ha creduto nel suo talento offrendogli le parti più ambite: nel Lago dei Cigni, nello Schiaccianoci, in Giulietta e Romeo, nella Carmen. Ruoli assai impegnativi, che richiedono una grande forza espressiva. Attraverso le sue parole ho rivissuto il mio sogno incompiuto di bimba. Il talento poteva esserci ma il fisico, ahimè, mi ha tradito.
Marcello, quando hai sentito il sacro fuoco della danza?
«All’inizio era solo un gioco perché mia cugina studiava danza classica a Parma, città dove sono nato. Andavo a vedere i suoi spettacolini, mi piacevano i saggi di fine anno. Dopo l’ennesima partecipazione da spettatore, mia mamma mi ha proposto di provarci. Era l’estate del 2007, c’era uno stage a Salsomaggiore e io ci sono andato senza pensarci troppo. Entrato in sala prove, ho visto 15 ragazzine e 2 ragazzini. È un episodio che racconto sempre perché fa ridere, però è vero. Mi sono detto: questo è il mio posto, ci sono un sacco di ragazze! (NdR: sfatiamo una volta per tutti il mito che tutti i ballerini sono gay)».
Quanti anni avevi?
«Poco più di 7. Non sapevo nulla della danza, neanche mettermi i sospensori e le mezze punte, cioè i primi basilari passi. C’era un’insegnante inglese piuttosto anziana che mi ha detto: “Hai proprio una disposizione naturale ”. Pensavo scherzasse, ma ho continuato la mia avventura in una scuola professionale di Parma che ho frequentato per 4 anni».
Che scuola era?
«Professione Danza Parma. Ma a 13 anni ho deciso di cambiare, perché avevo un po’ smarrito la voglia di proseguire. È stata mia madre a spronarmi, ricordandomi che mi ero impegnato così tanto che non dovevo mollare. La giusta alternativa era cambiare scuola, per ritrovare il piacere di ballare. In effetti basta misurarsi con una nuova realtà per acquisire nuovi stimoli… Così mi sono iscritto al CID/Accademia Danza e Spettacolo dove ho trovato 2 insegnanti che mi hanno aiutato tantissimo, Paolo Nocera e Roberta Mazzoni, che in 6 mesi mi hanno preparato per alcune audizioni nelle accademie. Dovevo provarci con costanza, e mi sono impegnato presentandomi a un po’ di provini in giro per l’Italia».
Come si inizia?
«Dagli stage estivi: ti vedono gli insegnanti, il direttore di una scuola o di un’accademia, e magari riesci a ottenere una borsa di studio. Mia mamma è stata fondamentale nella ricerca di opportunità per un “provetto ” ballerino acerbo come me. Ricerca che si è sviluppata attraverso Internet e il passaparola. Ci informavano su quali audizioni c’erano e in quali scuole: a Monaco di Baviera, piuttosto che a Cannes o all’Opera di Roma. Partecipare a un’audizione è importante: frequentare anche solo una lezione, magari con il direttore della Scala di Milano giusto per mettersi alla prova come ho fatto io, che ero alto e già ben sviluppato grazie a quei 6 mesi al CID».
La prima delusione?
«All’Opera di Roma, avevo 14 anni ed è andata male. C’è anche da mettere in conto la giornata storta, ma non ci si deve mai arrendere. Avevo però commesso un errore di valutazione: per quell’anno accademico bisognava aver compiuto 16 anni, io ne avevo 2 di meno. C’erano ragazzi molto più grandi di me e più bravi, che magari avevano fatto già 4 o 5 audizioni. Si sa che l’esperienza aiuta, soprattutto a lezione di danza alla sbarra, centro e salti. Dopo la performance, mi hanno buttato fuori».
Non è andata bene perché avevi il freno a mano tirato…
«Magari! Avevo solo paura e l’emotività in questi casi gioca moltissimo. Capita che cerchino ragazzini più piccoli, o un tipo di fisicità differente. Sono anche queste le componenti per un giudizio».
Quanto conta la fisicità?
«Per la danza è fondamentale: devi essere dotato fin dalla nascita, essere predisposto all’apertura e alla rotazione delle gambe. Con il termine en dehors, che significa letteralmente “in fuori ”, s’intende il movimento di rotazione esterna dell’anca che modifica l’orientamento dell’arto inferiore in modo che le dita del piede si trovino a guardare lateralmente e non in avanti».
Quando è arrivato il tuo momento?
«Con 2 grandi opportunità. Mi hanno ammesso al Centre International de Danse Rosella Hightower di Cannes, ma nel frattempo avevo partecipato alla mia prima audizione alla Scuola di Danza Hamlyn di Firenze nello stage della Summer School del Teatro Bolshoi. In attesa che mi inviassero la mail di risposta, alla scuola fiorentina mi avevano già anticipato che mi avrebbero accettato per il workshop estivo a Mosca. Mi sono detto: se il piano A è il traguardo in Francia, l’ho raggiunto».
Quindi avevi un piano B…
«Certo. Quando mi sono iscritto all’anno scolastico 2014/2015 al Centre International de Danse Rosella Hightower che iniziava a settembre, ero già partito per lo stage al Teatro Bolshoi. Dopo 2 settimane di permanenza là, dovevo iniziare l’anno scolastico in Francia. È stata una decisione difficile, perché le scuole hanno un costo e le distanze hanno un loro peso. A Cannes mia mamma poteva raggiungermi in giornata, mentre per raggiungere Mosca ci vuole più tempo: devi aspettare il visto, preparare tutti i documenti…».
Il distacco è già impegnativo per un adulto, figuriamoci per un adolescente.
«In accademia sei tutelato, hai un tutor, il corpo insegnanti a tua disposizione e sei controllato 24 ore su 24. Abbiamo deciso di fare insieme questo sforzo. Avevo la possibilità di imparare dai migliori: ci sono scuole importantissime in Francia e in Inghilterra, ma i russi hanno per il balletto una cultura e una tradizione stratosferiche».
Freddo becco e differenze. Un gran bell’inizio…
«Al freddo ci si abitua, ma non al cibo lontano dai genitori. In più non c’erano altri italiani, eravamo solo un gruppetto di allievi internazionali e in maggioranza erano russi. Quindi imparavo la loro lingua, altrimenti non mangiavo. E ho avuto le mie difficoltà anche nel balletto, catapultato in una realtà di 10 maschi e 10 femmine, oltre a una sezione di soli maschi».
Quando è arrivato Jacopo Tissi, primo ballerino del Bolshoi?
«Ho avuto modo di conoscerlo quando è venuto a danzare a Krasnoyarsk nella nostra compagnia. È stato il mio direttore a chiamarlo: lui ha danzato la prima volta con la mia partner, io la volta successiva».
E di Roberto Bolle, cosa ne pensi?
«Ha fatto moltissimo per la cultura e il balletto in Italia. In assoluto per la figura maschile, perché a livello femminile c’è la tradizione consolidata di Carla Fracci e Alessandra Ferri. Nelle scuole russe di danza il numero degli allievi è paritario; in Italia ci stiamo arrivando con più difficoltà. Qui se non incentivi la cultura, non incentivi il teatro che rischia di estinguersi. Se ne contano solo 4 con balletti statali fissi, mentre in Russia ogni teatro d’opera ha il suo balletto, i corpi di ballo vengono finanziati dallo Stato e funzionano molto bene, anche perché la gente va più a teatro che allo stadio».
Mosca si è rivelata l’approdo giusto nel momento giusto.
«In realtà, il 1° anno al Teatro Bolshoi ho avuto parecchie difficoltà perché il metodo di studio è complicato e sono esigentissimi. Quell’anno ce l’ho fatta per il rotto della cuffia, altrimenti mi sarei ritrovato con la valigia in mano e un biglietto aereo per l’Italia».
Ne è valsa la pena continuare?
«In quei momenti di difficoltà il mio cervello ha fatto click per spegnere l’ansia. L’anno successivo ci sono stati grandi cambiamenti: gli insegnanti, molte più materie, iniziavo a fare scuola con i russi… Ho conseguito il diploma a pieni voti: tutti 5 (una sorta di 110 senza lode). Mi sono innamorato follemente del balletto russo, anche perché avevo l’insegnante empaticamente più giusto. Anzi, più di uno: per la danza di carattere, per il pas de deux, per la recitazione…».
Un ballerino è anche attore?
«Recitare equivale a concentrarsi sulla gestualità nel movimento, che sostituisce la parola. Ho potuto verificare che nel balletto russo la recitazione è fondamentale: ho avuto la fortuna di affidarmi a un’insegnante molto brava, specializzata nel metodo Stanislavskij. Da lei ho imparato che sul palco non puoi mentire; e se lo fai, il pubblico lo percepisce subito. Devi inoltre studiare le varie espressioni del viso in relazione alle 6 emozioni primarie: sorpresa, paura, disgusto, rabbia, felicità e tristezza».
Qual è la differenza fra le scuola europea e quella russa?
«In Europa il balletto viene identificato in un bel salto, in un bel movimento, in una performance ginnica. In Russia, invece, si vive il balletto drammatico nato agli inizi del 900 con Leonid Michajlovič Lavrovskij e con Jurij Nikolaevič Grigorovič. Nel gesto che spiega un’emozione, è proprio una gamba che fa capire se sei emozionato piuttosto che triste, felice o impaurito. I ballerini russi mettono in scena minuziosamente tutto il fisico. Ad esempio, nella scena della pazzia di Giselle la ballerina viene ammirata per come alza la spalla e come gira la testa. Ogni cosa è importante, fino al mignolino del piede. Ci tengo molto a questa differenza di stare in scena».
Hai mai avuto un infortunio?
«Durante un’audizione ho preso una storta alla caviglia e sono caduto un po’ in depressione. Mi sono curato a Parma, sono rientrato in Russia, avevo già preso il diploma e l’unica cosa che mi mancava era lo spettacolo al Teatro Bolshoi, che purtroppo non sono riuscito a fare. Ma per fortuna c’è un detto russo che dice: tutto quello che non si fa è per il meglio».
Come sei ripartito?
«Il passo successivo al diploma è stato trovare un lavoro, perché in Russia non ti viene regalato nulla. Il padre di una mia amica ballerina, insegnante, mi ha proposto di andare a Varna, in Bulgaria. La prospettiva era fare degli spettacolini per farmi per così dire “le ossa ”. Ho detto subito di sì e a Varna ho avuto modo di conoscere il direttore della compagnia di Krasnoyarsk che mi ha selezionato per alcune piccole parti per una tournée in Inghilterra e dopo qualche settimana mi ha proposto il ruolo di protagonista che ho affrontato con grande entusiasmo».
Marcello Pelizzoni con Eleonora Tarantino
Quali sono i segreti del pas de deux ?
«Andare all’unisono, avere un certo feeling con la tua partner, condividere anche le cose negative, stimolarsi a vicenda per trovare la perfezione in 2. È un po’ come un “matrimonio ” professionale: se c’è complicità vai avanti, se viceversa c’è opportunismo, gelosia o rivalità, non vai da nessuna parte».
Come ti approcci all’alimentazione?
«È il mio motore, perciò la dieta deve essere equilibrata: ad esempio, da quando vivo in Russia ho bisogno della minestra (che ho sempre odiato) e della zuppa almeno una volta alla settimana. Ho scoperto il piacere di gustare le verdure e nonostante la differenza di cultura culinaria non ho fatto fatica ad approcciare il cibo russo. Ovviamente tutte le volte che torno a Parma inizio a lievitare “per colpa ” di mia madre che cucina piatti prelibati tutto burro e formaggi. A casa mi rilasso, concedendomi un buon bicchiere di vino o una birretta con gli amici, tanto so che lo smaltirò al ritorno sudando alla sbarra».
Tra Rudolf Nureyev e Michail Baryšnikov chi preferisci?
«Sono 2 giganti. Nureyev aveva carisma, presenza scenica. Baryšnikov era molto ginnico, sapeva di essere meno performante di Nureyev ma aveva una tecnica impeccabile. Oggi che il balletto continua a crescere, a svilupparsi, a diventare sempre più difficile – si fanno più piroette, più giri, si salta molto più in alto – Baryšnikov viene considerato il migliore, l’intoccabile».
Quali sono le tue aspirazioni?
«Vorrei ballare in Italia, nella rassegna ParmaDanza al Teatro Regio. Sarebbe un sogno che si realizza. E quando appenderò le scarpette al chiodo, vorrei occuparmi del dietro le quinte della danza in un contesto manageriale».
Non vedo l’ora di vederti danzare, caro Marcello. Magari proprio a Parma…