Per ogni chef che realizza il suo top menù, cucinare è un’esperienza sensoriale. Tutti e 5 i sensi – vista, udito, gusto, tatto e olfatto – vengono coinvolti nella percezione del cibo. Perciò, mangiare è la consuetudine più gratificante: alla ricerca del benessere e del compiacimento personale.

Pietro Leemann (Locarno, Svizzera, 1961) coltiva fin da piccolo l’amore per la terra e la natura giocando e lavorando con i genitori nell’orto di famiglia. È il 1976 quando “folgorato” da una bavarese alla vaniglia del grande cuoco ticinese Angelo Conti Rossini, intraprende quella strada. Acquisisce i principi fondamentali della grande cucina da maestri quali lo stesso Angelo, Gualtiero Marchesi e Frédy Girardet per poi approcciare, nei primi anni 80, la cucina vegetariana entrando in contatto coi movimenti ecologisti che perseguono una nuova alimentazione che sia amica dell’ambiente e della salute. Appassionato di filosofia e di mistica, in Oriente Leemann ha modo di esplorare il Buddismo Zen, il Taoismo e il mondo dei Veda. Scopertosi vegetariano, nel 1989 apre a Milano il proprio ristorante di alta cucina naturale dandogli un nome fortemente evocativo, Joia, che ottiene nel 1996 la prestigiosa stella Michelin ed è tuttora considerato la più importante realtà europea e mondiale dell’alimentazione verde, etica, sostenibile. Insignito del premio Pellegrino Artusi (2000) e di quello della città di Fabriano, nel 2015 è Chef Ambassador di ExpoMilano, fonda la Joia Academy e nel 2018 riceve il Premio della Fondazione del Centenario della Banca della Svizzera Italiana. Autore di libri di cucina, divulgazione della cultura alimentare, filosofia naturale, ricette, nel 2019 pubblica Il Codice della cucina vegetariana edito da Giunti.

Cosa stimola la vista nella tua cucina?
«Nel momento storico che stiamo attraversando, l’estetica ha una grande importanza e non solo in cucina. In tutte le forme creative, dal design alla moda, si preferiscono le linee pulite. Il massimo dell’espressione nella forma è a mio giudizio la cultura giapponese: nel mondo Zen, la struttura naturale viene resa ancora più perfetta da un’estrema minuzia nel prepararla, facendo in modo che i giardini, i bonsai e la cucina abbiano una configurazione straordinaria. In passato ho avuto modo di lavorare con Gualtiero Marchesi che aveva un senso estetico molto preciso. Nel piatto, in Occidente, tutto viene costruito come un quadro. Tutto si assomiglia: c’è un elemento centrale, qualche fogliolina, qualche macchia… In Oriente, al contrario, il piatto è un paesaggio visivo. Io unisco questi 2 aspetti sviluppando una mia estetica: perciò le pietanze al Joia sono studiate, rappresentate dal punto di vista iconografico e quindi riconoscibili».

Cosa sollecita l’udito nella tua brigata?
«A volte, nelle ricette, l’udito viene poco utilizzato. Io invece lo sottolineo in qualche piatto, come lo storico dolce Gong in 2 versioni: la prima è uno sguardo alle mie valli, la seconda strizza l’occhio al mio amato Oriente. Viene servito con il tipico strumento a percussione, il gong, che ha un suono trascendente: rappresenta l’origine della creazione. Suonandolo, stimoliamo al commensale una vibrazione. La consistenza che rappresenta meglio il suono è il croccante: quando li addentiamo, il cetriolo e il pane creano un effetto acustico. Al Joia ci sono i suoni naturali della cucina con i suoi ritmi, mentre in sala c’è un sottofondo musicale evocativo e improbabile che abbiamo appositamente realizzato: è un melange di natura e altri elementi, come il rintocco di una campana o il muggito di una mucca».

Come provochi il gusto nell’ideare un menù?
«Metto la natura nella pietanza avvalendomi della cultura orientale che definisce il gusto in 6 modi: acido, salato, piccante, amaro, dolce, astringente. La cucina vegetariana è migliore perché ha tanti gusti ed è più salutare, al di là dello scegliere o meno le proteine animali. Se parliamo di verdure, la melanzana è amara e leggermente piccante, il centriolo è amaro e un po’ acido, il pomodoro è acido e un po’ dolce. Individuando le caratteristiche degli ingredienti, l’abilità sta nel valorizzarli abbinandoli, cercando sempre di enfatizzare elemento e ingrediente. Sull’acidità del pomodoro posso ad esempio mettere qualche goccia di aceto balsamico; alla melanzana posso aggiungere del piccante; o agendo per contrasto, del succo di limone. Bisogna sempre partire dall’origine del vegetale, osservandone anche l’aspetto culturale. Ci sono ingredienti che valgono qui, ma non in altri paesi: ad esempio, mescolare il pomodoro al cioccolato sarebbe qualcosa di estremo».

Cosa percepisce il tatto nell’esecuzione di un piatto?
«Il tatto è consistenza. Di solito nella cucina occidentale si tende a cuocere allo stesso modo verdure e carne, fino a ottenere una consistenza morbida. Il riso e la pasta, invece, richiedono una cottura al dente. In Occidente la definizione delle consistenze è minore che in Oriente, dove più che sul gusto ci si basa sulla consistenza. Soprattutto in Cina e in Giappone ci sono una sessantina di modi diversi per definire le consistenze, mentre da noi ne basta una dozzina per riuscire a distinguerle. Nella mia cucina è importante che la consistenza corrisponda al senso primario del tatto. Anche quando addentiamo, entriamo subito in contatto col cibo. È la prima sensazione: toccandolo sentiamo se la sua consistenza è morbida, croccante, molle, liquida o gommosa».

Come scateni l’olfatto?
«Mi riporta alla memoria. A volte percepisco un profumo che mi ricorda una persona o una particolare esperienza che ho vissuto. L’odore nella verdura è sottile, mentre nella carne è acre. Se nel mondo vegetale è estremamente ampio, nella cucina occidentale si fa uso di erbe aromatiche piuttosto che di spezie poiché dal punto di vista nutrizionale l’erba aromatica corrisponde a ciò che ha la spezia: stimola la digestione e in più dà piacere. Le erbe più diffuse nelle pietanze sono dragoncello, prezzemolo, menta, finocchietto, cardamomo e timo, che rientrano anche nelle tisane. Hanno una funzione digestiva ed è piacevole utilizzarle per pasteggiare».

Qual è il tuo piatto che esalta di più i 5 sensi?
«Si chiama Sotto una Coltre Colorata ed è anche il più fotografato. Permette di scoprire gli ingredienti, sotto una schiuma impalpabile, attraverso consistenze e profumi differenti. È un viaggio nascosto, dove i sensi si acuiscono, che rappresenta il luogo dove vado a passeggiare in Svizzera: un bosco che cambia a seconda delle stagioni. Il piatto, quindi, ha il potere di modificare le sensazioni con elementi stagionali che mutano ogni volta, nascosti da un manto delicato e gustoso. Questo piatto, in buona sostanza, è un luogo».

Una ricetta da preparare con i consigli dello chef Leemann?

Sotto una Coltre Colorata

Ingredienti: 1 finocchio, 1 sedano rapa, 1 broccolo, 16 castagne precotte, ¼ di melograno sgranato, 200 gr. di ricotta affumicata, 8 foglie impanate di salvia, 300 gr di olio per friggere.

Massa della zucca: 500 gr. di zucca, 30 gr. di olio extravergine d’oliva, 1 scorza grattugiata d’arancia, noce moscata q.b.

Ragù di funghi: 100 gr. di carote, 100 gr. di porri, 100 gr. di sedano, 25 gr. di funghi porcini ammollati in 100 gr. d’acqua, 25 grammi di morchelle secche ammollate in 100 gr. d’acqua, 1 foglia di alloro, 20 gr. di tamari, 200 gr. di panna, olio extravergine d’oliva, pepe, 25 gr. d’amido di mais.

Schiume: 600 gr. di vino ridotto della metà (1200<600), 700 gr. di panna fresca, 300 gr. di burro, 14 gr. di sale, 2 bustine di zafferano (per la schiuma gialla), 50 gr. d’acqua di barbabietola (per la schiuma rosa), fiori eduli, viole, primule o petali di rose.

Procedimento

Per gli elementi: pulite e mondate gli ortaggi, quando necessario. Sgranate il melograno, tagliate le verdure in cubetti\ciuffetti di 2 cm. per lato, arrostite castagne, broccolo, finocchio e sedano rapa. Scaldate un po’ di olio per friggere.

Per le schiume: mettete in 2 pentolini separati metà degli ingredienti: nel 1° lo zafferano, nel 2° la purea di barbabietola.

Per il ragù: tagliate le verdure a dadini di 2 cm. per lato e arrostitele in una casseruole con la foglia d’alloro e i funghi tritati. Quando saranno ben arrostite sfumate con il tamari, fate asciugare e aggiungete la panna. Fate cuocere per 15 minuti a fuoco medio-basso, legate con l’amido di mais, cuocete per 2 minuti e ritirate in un box.

Per la crema di zucca: unite tutti gli ingredienti e condite a gusto.

Friggete la salvia e la ricotta fino a che saranno ben dorate, scaldate tutti gli elementi in forno per qualche minuto, portate a 70° le schiume e montatele con il minipimer. Mettete in un piatto fondo una cucchiaiata di pesto, 3 punti di ragù di funghi, una quenelle di crema di zucca e tutti gli elementi sparsi. Coprite gli ingredienti con la schiuma, alternando la gialla alla rosa. Decorate con fiori eduli.

Foto: Appunti di Viaggio
Gong
Divertissement
© Alberto Mancini e Andrea Gilberti, Gilberti-Ricca Fotografi
© Lucio Elio