È un altro figlio d’arte, Gerald Clayton. Suo padre è John Clayton, contrabbassista della Clayton-Hamilton Jazz Orchestra. Cresciuto con tale figura accanto (per non dire dei più bei nomi della scena jazz statunitense), Gerald ha assorbito la lezione nel migliore dei modi e quando ha deciso di spiccare il volo l’ha fatto in modo perentorio. Già pianista nel quartetto di Charles Lloyd, ha da qualche anno intrapreso una brillantissima carriera solista iniziata con un album live al Village Vanguard, alla guida di un quintetto di all star che comprende Logan Richardson al sax alto (altro giovane virgulto in forza alla Blue Note), Walter Smith III al sax tenore, Joe Sanders al contrabbasso e Marcus Gilmore (lo ricorderete accanto a Vijay Iver, e più di recente con Pat Metheny) alla batteria.

Gerald Clayton

Esordio quanto mai ambizioso il suo, firmato con un’autorevolezza da veterano. Clayton guida infatti il gruppo con mano sapiente, sapendo sfruttare le diverse personalità. Il suo stile pianistico è basato su una capacità melodica non comune, su un gusto per le frasi lunghe e molto ben articolate. Il suo è un jazz vibrante, intenso, fluido; che non concede un attimo di tregua all’ascoltatore, inchiodandolo alla fruizione di un momento di rara bellezza.

Musica originale, scritta da lui stesso, ma anche un sentito omaggio alla tradizione: vedi Take The Coltrane di Duke Ellington, resa in modo magistrale grazie a un’interpretazione ispirata e commossa. Di recente è uscito Bells On Sand, il nuovo disco registrato ai tempi del lockdown con la partecipazione di papà John con cui Gerald ha intessuto dialoghi intimi, serrati, fatti di “botte e risposte” fra piano e contrabbasso.

Immanuel Wilkins è invece il sassofonista del momento. In lui convivono 2 anime, l’iconoclasta e la romantica, che non sono necessariamente in conflitto ma anzi contribuiscono alla definizione di un suono assolutamente personale e di una musica che pur spingendosi verso territori atonali e armolodici non disdegna di gettare uno sguardo al passato per non disperdere la grande tradizione.

Omega, il suo lavoro per Blue Note, è un album forse di non semplice fruizione ma dal grande fascino. Fin dalle prime note si viene investiti da un’onda sonora capace di catturare; ma su quell’onda si deve saper “surfare” per non perdere un solo secondo di questa emozionante avventura. Di sax tenori che ci impressionano, al momento ne abbiamo diversi. Mancava un artista in grado di emozionarci ed è arrivato Immanuel.

L’album Omega di Immanuel Wilkins

Fra questi nuovi talenti, il più noto è Ambrose Akinmusire che si è imposto all’attenzione di pubblico e critica sfoderando uno stile trombettistico non solo personale ma geniale, che attinge al patrimonio culturale afroamericano (Ambrose ha radici nigeriane), dai canti degli schiavi fino alle ultime proposte hip hop. Accanto agli enormi progressi in campo musicale, Akinmusire ha unito una crescita umana non indifferente che lo ha portato ad abbracciare l’impegno politico e sociale nella rivendicazione dei diritti umani e per la pace. Ciò non ha fatto altro che rendere la sua proposta artistica ancora più convinta e intensa.

Dopo lo straordinario successo di Origami Harvest, album in cui l’hip hop si fonde a un jazz contemporaneo, ha firmato On The Tender Spot Of Every Calloused Moment, disco di rara intensità e bellezza. Un’opera complessa, che cattura per coerenza stilistica e per la grande musica che sa proporre. Su di un substrato jazzistico che affonda le radici nella migliore tradizione Blue Note, si innestano ingredienti che spaziano dal soul, al funk, al rap e al gospel che rendono l’album speziato, gustoso, perfetto in ogni singola componente. Un album che ci fa ben capire dove si sta dirigendo la Grande Musica Nera, di cui il jazz non è che la punta dell’iceberg.

Robert Glasper

Robert Glasper, infine, incarna meglio di chiunque altro proprio questo. Pianista e tastierista, ha esaminato a fondo e spremuto come un limone la black music e le sue varie diramazioni. Dalle esperienze in trio, alla rilettura del repertorio del Miles Davis elettrico; dai capitoli di Black Radio (l’ultimo, Black Radio III, è di quest’anno) dove ha preso in esame tutta la musica nera, all’R+R Collective condiviso insieme a Christian Scott (tromba), Derrick Hodge (contrabbasso e basso elettrico), Terrace Martin (tastiere), Tylor Mc Ferrin (figlio di Bobby, voce e campionamenti) e Justin Tyson alla batteria.

Al momento è questa la band più rivoluzionaria sulle scene, in grado di offrire uno sguardo su ciò che potrà o potrebbe essere il futuro del jazz. Glasper ha i requisiti per imporsi a guida di quel rinnovamento che tutti auspicano, ma che appena si palesa sono pronti a distruggere e a denigrare. Che sia accanto al rapper Bilal, con QuestLove o in seno a una band strettamente jazzistica, Robert incarna al meglio lo spirito che anima questi novelli moschettieri del verbo jazzistico, pronti a battersi non solo per la sua sopravvivenza, ma per il suo rinnovamento e il suo futuro.

Blue Note, dunque, è l’etichetta discografica che ha saputo testimoniare e pubblicare le istanze di questa generazione di musicisti cui spetta il compito di continuare una tradizione che ha regalato al mondo della musica opere che hanno fatto la storia. Una storia destinata a proseguire e a riservarci nuovi, memorabili momenti. D’altronde “the finest in Jazz since 1939” non è solo uno slogan, ma molto di più.