Quando uno spazio espositivo viene riempito di contenuti, di istanze di senso e di visioni prospettiche, esso si trasforma in quello che possiamo definire uno spazio critico di riflessione, vivo ed esigibile. La Fine dei Mondi s’inserisce in un progetto di più ampia proposta artistica, promosso dall’associazione culturale ArteMETA con il patrocinio dell’Accademia di Belle Arti di Brera, Milano, chiamato L’arte non si ferma: titolo dal contenuto emblematico e scaramantico, quasi fosse un monito o un’affermazione programmatica, frutto dei recenti mesi di “silenzi coatti” dovuti alle conseguenze sociali pandemiche.
Il tema trattato e la questione di fondo sono purtroppo noti: il pianeta su cui viviamo ci sta presentando un conto salato che difficilmente potremmo saldare. Un conto costituito da più voci che delineano uno scenario apocalittico sotto gli occhi falsamente innocenti di tutti: cambiamenti climatici, sfruttamento di risorse naturali, deforestazioni, piani di sviluppo economico non sostenibili, guerre e crescenti povertà. Ecco l’Antropocene in tutto il suo diabolico e problematico fulgore! La connessione con il mondo come la conoscevamo è saltata.
La Fine dei Mondi vuole riferirsi a una molteplicità di connessioni perdute, di ambiti riflessivi alternativi, di un fare creativo che riconduce a una domanda finale: che sia solo quello dell’arte contemporanea l’unico mondo ancora rimasto, l’unico mondo dopo la fine del mondo? Prendendo a prestito la potente metafora sviluppata da Herman Melville (1819-1891) nel suo romanzo Moby Dick, dove la possente e magnifica balena bianca non è altro che il simbolo della Madre Natura che si ribella, messa alle strette dall’ossessione del capitano Achab, simulacro del genere umano in cerca di dominio assoluto, potremmo delineare la struttura di questa mostra.
Ecco, allora, che inseguendo questa suggestione partiamo dall’opera di Giuseppe Pagani: un’enorme struttura in ferro raffigurante una balena che emerge possente dal fondo dei mari e che si staglia minacciosa contro gli spazi-mondi adiacenti a essa. Come l’installazione fotografica di Valentina Anna Carrera che ci presenta Oxigene: un progetto dedicato all’albero, al respiro della terra che è poi il nostro respiro. Un lavoro meticoloso con stampe su carta da disegno; stampe fotografiche su acetato trasparente a strati sovrapposti; cassette di legno di recupero industriale; foto-sculture. Oxigene si compone di livelli dove è possibile addentrarsi come in un bosco magico dai rami spettrali e sovrapposti a bronchi, a indicare che il nostro sistema respiratorio è identico a quello della natura e che solo nel conservarla avremo una possibilità di sopravvivenza.
Valentina Anna Carrera, Oxigene
Un’adiacenza semantica che possiamo trovare nel lavoro della fotografa Maria Serra, che ci propone una serie potente di scatti fotografici in bianco e nero. Il concetto di respiro torna con prepotenza nei corpi femminili raffigurati che subiscono una vestizione indotta con maschere a gas che al pari di una forza mutogena esterna, trasforma alla radice l’essenza corporea stessa. Serra mette in campo il concetto della trasfigurazione, del mutamento dei corpi in un’ottica post-umana. In entrambi i lavori delle artiste sono evidenti i segni e le conseguenze sul genere umano: l’attuale crisi pandemica con la sua peculiarità patologica proprio sull’atto respiratorio e le artiste ne colgono la portata specifica e ne problematizzano la potenza trasformatrice.
Maria Serra
Un’astrazione metamorfica che troviamo anche nei lavori della sala adiacente, caratterizzata da una visione distopica del mondo. Il filmmaker Giorgio Magarò si cimenta in un’installazione artistica intitolata Il sollievo, in cui è dichiarato lo stato di disprezzo egoistico e narcisistico finalizzato alla sola ricerca di benessere fisiologico individuale, metafora delle dinamiche di potere capitalistico imperante, noncurante delle conseguenze nefaste sulla restante parte del mondo. Insieme a quest’opera Magarò ci presenta Limbo, un cortometraggio adattato per questa occasione, da lui stesso interamente girato durante il primo lockdown: una metafora in chiave fantascientifica della pandemìa del 2020. Realizzato in casa e con attori in “remoto“, Limbo sviluppa una potente meta-narrazione sull’arte domestica dove arte e artigianato viaggiano in simbiosi su un’opaca linea di confine tra cronaca e viaggio fantastico.
Giorgio Magarò, Limbo
Tracce di questa visione distopica del mondo la possiamo ritrovare nel lavoro del collettivo artistico Totally Swim con Progetto Adam: ambientazione interattiva che invita a riflettere sull’eticità delle scelte quotidiane. Secondo gli autori, attraverso l’uso del loro stesso arbitrio gli spettatori diventeranno la cifra analitica della società in cui vivono. In un futuro distopico in cui l’ultimo baluardo per la salvaguardia dell’umanità dall’estinzione è un neonato senza tempo, il pubblico ricopre il ruolo di “genitore” imponendo la sua autorità tramite scelte che plasmeranno Adam per tutta la sua esistenza.
Proseguendo in questo ipotetico viaggio giungiamo alla parte finale della mostra dove nell’ultima stanza troviamo il lavoro della fotografa Lu Magarò che concepisce un’installazione interattiva, Madre Linfa, fondata sul concetto della narrazione esperienziale dei ricordi. L’artista ricrea un luogo evocativo che rimanda alla nascita e al rinnovamento, ciclo vitale naturale, attraverso una voce narrante che ci restituisce a un parallelismo visivo tra gravidanza e natura: il concetto di fertilità come madre generatrice. Attraverso la riproduzione di una voce di una donna anziana, saggia e dolce, gli spettatori vengono coinvolti in un ambiente amichevole, inclusivo e nello stesso tempo reale.
Tratti che ritroviamo infine in Incubatio, l’installazione site specific dell’artista Marco Bellomi. L’incubatio è una pratica antica di origine greca della quale si ritrovano ancora tracce nelle tradizioni popolari salentine, dove soggetti che necessitano di “risposte” provenienti dal regno ultraterreno stazionano dormendo in luoghi sacri, in attesa di contatti interpretativi. Questo abbandonarsi nel sonno è per l’artista la condizione per riconnettersi a una dimensione perduta con le proprie origini ataviche, dove le forze naturali subivano una mitizzazione fortemente simbolica impersonificata con la Dea Madre, forza femminile generatrice dell’universo intero. Madre dispensatrice di vita, ma anche di morte e infine fautrice del ciclo vitale eterno che il genere umano ha sostituito scegliendo la dimensione utilitaristica degli eventi. A compendio dell’installazione, sarà prevista una performance artistica dell’interprete Annibale Covini, ispirata all’opera.
Marco Bellomi, Incubatio
La Fine dei Mondi diventa quindi uno spazio critico di riflessione relazionale, con l’intento di non fornire certo risposte indubbie e risolutive, ma di originare domande a cui il genere umano non può sottrarsi. L’intento dei curatori della mostra, Marco Bellomi e Giorgio Magarò, è quello di fornire strumenti interpretativi anche abbinando serate a tema con:
– Il collettivo di Fridays for Future.
– La presentazione del libro Come sovvertire l’ordine costituito, trovare l’amore e vivere felici di Tina Caramanico.
– L’incontro In-finito: essere nel finito con il monaco buddista Fabrizio Anshu Ferro e lo scrittore filosofo Fabio Cantelli Anibaldi.
– L’incontro con Alessandro Baito e Paolo Bertazzoni in Ieri è oggi. Domani/l’altro.
– La performance artistica Bewood di Obeliscoproduction.
Lo scrittore filosofo Fabio Cantelli Anibaldi
La Fine dei Mondi
dal 5 al 10 aprile 2022, Castello Visconteo, Abbiategrasso (MI), ingresso libero