La data dell’8 agosto 1969 segna un momento iconico nella storia della musica popolare del 20° secolo: a Londra, i Beatles vengono fotografati mentre stanno camminando sulle strisce pedonali di fronte agli studi di registrazione di Abbey Road. L’anno dopo a Jacksonville, in Florida, nasce Brad Mehldau, pianista destinato a crescere non solo con la musica dei Beatles, ma anche con quelle di David Bowie, Johann Sebastian Bach, Ludwig van Beethoven, Johannes Brahms, John Coltrane, Miles Davis e del miglior Progressive Rock.

Quelle musiche Mehldau le ha ascoltate, studiate, evocate, assimilate, interiorizzate in un mix di stili, generi e influenze che con pari dignità faceva entrare nel suo bagaglio culturale: dal blues rurale, alla musica minimalista contemporanea. E ha voluto che non ci fossero steccati, poiché la Grande Musica è una soltanto: non importa chi ne sia l’autore, ma ciò che conta è l’onestà intellettuale, la genialità, l’originalità. Ecco perché Brad, nella sua ormai trentennale carriera, ha risuonato e reinventato melodie che provenivano dai Radiohead, dagli Oasis, dai System of a Down e dai Nirvana, fornendo loro un’ulteriore dignità artistica.

Il jazz, la musica che ha scelto, si è sempre basata sugli standards: canzoni della tradizione che servivano da base alle improvvisazioni del solista di turno. Se oggi le canzoni definite pop hanno la medesima importanza di Summertime o di My Funny Valentine, il merito va a un musicista coraggioso quale è Brad Mehldau, che in carriera è passato dal quartetto classico con Joshua Redman, Christian McBride e Brian Blade, al duo elettronico con Mark Guiliana; dalle esplorazioni orchestrali con Patrick Zimmerli, a progetti “crossover” come Largo, Jacob’s Ladder o Finding Gabriel, dove ha innestato suggestioni rock e pop alle sue musiche originali e entusiasmanti.

Quelle famose strisce pedonali di Abbey Road campeggiano sulla copertina del suo nuovo lavoro in solo intitolato Your Mother Should Know: Brad Mehldau Plays The Beatles (Nonesuch Records), inciso dal vivo nel settembre del 2020 alla Philharmonie de Paris, in cui rende omaggio ad alcune composizioni dei Fab 4 concludendo il set con Life On Mars di David Bowie, da lui stesso considerato il vero erede di quella grande tradizione britannica di compositori di brani immortali.

Il suo non è un omaggio ruffiano, tanto per strappare l’applauso, ma un’approfondita ricerca sulle melodie, sulle armonizzazioni, sulla metrica, sulla struttura della canzone che viene smontata e rimontata con gusto personale e visionario. Un album di piano solo e con un repertorio così “diverso” poteva sembrare un azzardo; ma Brad, come sempre, è riuscito a tirare fuori il meglio di sè e della tastiera offrendo un distillato di invenzioni, spesso ardite e non convenzionali, che impreziosiscono ogni brano scelto. Ad esempio la versione di I Am The Walrus, in cui viene recuperata la melodia ma poi prende il via una personale suggestione, testimoniando quanto i Beatles fossero in netto anticipo sui loro tempi.

Brad Mehldau
© Elena Olivo

Lungo tutto l’album si percepisce l’amore per quelle atmosfere, quegli arrangiamenti e quelle strutture musicali così aperte da lasciare spazio a ogni possibile interpretazione. In una recente intervista, Mehldau fa un rimando alle Elegie Duinesi di Rainer Maria Rilke, scrittore e poeta che io amo visceralmente se non fosse per il fatto che mio padre era nato proprio a Duino, in provincia di Trieste. Così come Rilke rivoluziona il concetto di “elegia“, così Mehldau non si limita a una rilettura personale ma fa emergere quell’inevitabile connessione fra tutte le musiche dotate di grande personalità destinate a innervare la musica del futuro.

E non è un caso che l’epilogo di Your Mother Should Know sia una splendida versione di Life On Mars di David Bowie, genio musicale che ha saputo trascendere ogni stile rimanendo fedele a se stesso e alla sua estetica, ma sapendo confrontarsi come nessun altro con il funky, il jazz, la dance e l’elettronica futuribile dando vita a una musica che non può essere definita semplicisticamente rock, ma che va ben oltre questa categorizzazione. In questo caso Brad supera se stesso, fornendo una prova maiuscola della sua abilità e del suo tocco nell’ambito di un disco che dona all’ascoltatore un senso di pienezza, di completamento, di beatitudine, così rari in molta produzione discografica recente.

Per quanto riguarda il futuro si vocifera di un 2° capitolo di Mehliana, il progetto elettronico in compagnia di Mark Guiliana, guarda caso l’ultimo batterista bowieano. Non ci resta che attendere, pronti a esultare per un nuovo Hungry Ghost, con quelle note di piano elettrico che ti entrano nelle viscere, non ti mollano più e rimangono scolpite nell’inconscio come i beats della batteria.