Non una défaillance, un inciampo, un fraintendimento. Con la sua inconfondibile voce stentorea, salmodiante, spesso in tutt’uno con l’elettronica, 11 anni dopo Shifty Adventures In Nookie Wood e a 7 da M:FANS (electro-rivisitazione di Music For A New Society) John Cale torna in scena con Mercy, «album che ha iniziato a prendere vita 2 anni e ½ fa», ha dichiarato il musicista gallese, classe 1942, alla rivista Mojo. «Non avrei voluto percorrere quella strada compositiva, ma ciò che è successo nel mondo (la pandemìa, le bombe che esplodono, i mutamenti del clima…) ha preso il sopravvento».
Dopo aver scritto il maggior numero di brani per 1 disco incentrato su temi come la redenzione, il perdono e la compassione, l’ex Velvet Underground si è messo alla ricerca di collaboratori che lo potessero affiancare e si è sorpreso dalla rapidità con cui tutti «hanno stretto le mani al collo di queste canzoni». Hanno risposto all’appello Laurel Halo (Mercy), Actress (Marilyn Monroe’s Legs), Weyes Blood (Story Of Blood), il duo Sylvan Esso (Time Stands Still) gli Animal Collective (Everlasting Days), TOKiMONSTA (Not The End Of The World), la Fat White Family (The Legal Status Of Ice) e Tei Shi (I Know You’re Happy).
Ognuno di essi, nello stile “nannimorettiano ” del “mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte, o se non vengo per niente? ” si sono esibiti per così dire “in punta di piedi ” senza prevaricare in alcun modo John Cale ma restando, con malcelato orgoglio, sullo sfondo.
John Cale
© Marlene Marino
Con le sue 12 composizioni per 70 minuti di durata, Mercy sfugge da ogni tentazione rock pur di lasciare ampio spazio a un fluire melodico/ambientale che ha i suoi riferimenti storici in cult del repertorio caleiano come I Keep A Close Watch, Ship Of Fools, Cable Hogue, Riverbank e If You Were Still Around. In più, volendo azzardare confronti interpretativi, il David Bowie di 1.Outside e di Blackstar e lo Scott Walker della trilogia Tilt / The Drift / Bish Bosch mi paiono più che legittimi.
“Le vite non contano/I lupi si preparano/Compreranno altre armi/Rotolando nella neve e nel fango/Luci che esplodono sopra…”. È compito di Mercy, la title track, assecondare con le sue pulsazioni elettroniche una liquida, rarefatta, riverberata melodia. Noise Of You (“Suonano le campane/La neve cade/Il coro sta terminando la sua canzone/I tuoi passi sulle scale/Era il tuo rumore…”) consente invece al basso e alla batteria di dare concretezza a una soul music insinuante, giocata sul filo del rasoio, che all’improvviso si scopre austera e sublime, mentre Story Of Blood (“Questa è la storia del sangue/Inizia nel cuore/Si muove tutt’intorno/Ti sveglia la mattina e ti abbatte/Lo vedi arrivare/Lo spessore e il colore/Scivolare sul pavimento…”) gioca le proprie carte su una intro al piano destinata a stemperarsi in un’avviluppante ballad e in un plumbeo easy listening.
Ha modo di stagliarsi in un’art of noise dal timbro estetizzante Time Stands Still (“La grandeur che era l’Europa/Sta affondando nel fango/La ferocia che era la Chiesa di Dio/È già entrata nel club…”), déja vù di un Lp epocale quale è Paris 1919 (uscito nel 1973); mordi e fuggi sinfonici, stratificazioni vocali e una sorta di lounge music elettronica sono invece le architravi di Everlasting Days (“Non sto cercando scuse/Non sto facendo ammenda/Stiamo salvando la faccia, in un giorno di confusione?/O purificando l’aria?…”); e un incedere ipnotico e maestoso declina Not The End Of The World (“Mi aveva svegliato il fiume che scorreva veloce/Portando le speranze di molti, il suo riflesso del cielo/Lasciami galleggiare sull’acqua/Non è la fine del mondo, stasera”).
Un sublime, mantrico trip hop rivela The Legal Status Of Ice (“Qual è lo stato legale del ghiaccio/Dove viene e dove va/Galleggia sopra con la vaniglia/Liquore sul fondo…”), mentre I Know You’re Happy (“Non posso essere il tuo eroe/Non voglio essere il tuo stupido/Sempre comprensivo/Giocare secondo le tue regole/So che sei felice quando sono triste”) impone un magistrale senso del ritmo e una sfrontata orecchiabilità. Out Of Your Window (“Se salti dalla finestra, io interromperò la tua caduta/Ti terrò vicino e ti manterrò calmo/Ovunque tu decida di andare/Per favore, non andare…”) esprime dal canto suo rintocchi pianistici al servizio di un’ammaliante melodia e di un refrain orchestrato vocalmente alla Sparks.
In questo album vellutato e urticante, ossessivo e ammaliatore, fanno capitolo a sé i 3 brani rispettivamente dedicati a Marilyn Monroe, a Nico e a David Bowie. Il fruscìo di un vinile consunto fra pulsioni dark, ambient, musica concreta, reiterazioni e trip hop sull’orlo del baratro, fa da prologo alla velvettiana Marilyn Monroe’s Legs (Beauty Elsewhere) che riguarda «l’icona femminile spiata su una rivista da un ragazzo del Galles. Una sorta di dimensione adolescenziale, che per il mio modo di scrivere canzoni equivale a un rifugio, a una valvola di sicurezza», ha precisato Cale aggiungendo di aver sentito la necessità d’incidere «un brano su Marilyn Monroe senza menzionare il suo nome».
Moonstruck (Nico’s Song), straripante com’è di bagliori cameristici, di accenni sinfonici e di melodie claustrofobiche, celebra invece con un pugno di versi avvelenati (“Sei una drogata donna lunatica, che ti fissa i piedi…”) il non plus ultra femmineo di The Velvet Underground & Nico («Argomento difficile ma gratificante. Il suo stile, il suo linguaggio e la sua scrittura sembrano più moderni ora che mai»); il drumming jazzato, lo scintillìo pianistico e il respiro dei sintetizzatori dell’andirivieni soul di Night Crawling, ci raccontano di David Bowie: «Mi ha sbalordito il modo in cui questo pezzo è nato e si è messo a funzionare da solo. David e io ci siamo frequentati negli anni 70 a New York, ipotizzavamo di incidere qualcosa insieme ma finivamo ogni volta per andarcene in giro, di notte, senza riuscire a trattenere un solo pensiero in testa».
Anni fa, John Cale dichiarò: «Scrivo per ascoltare la musica che non ho ancora sentito». Parole oggi più che mai appropriate: la grande bellezza di Mercy è tutta qui, in questa musica (finora) a noi sconosciuta.