All’alba del 3° decennio del 21° secolo la riflessione sullo stato di vita, di morte o di coma del rock è probabilmente oziosa. A dispetto dello slogan di Neil Young che inneggiava “Rock’n’Roll Will Never Die“, esso come tutto ciò che è mortale non è eterno. È stata, anzi, una forma d’arte collegabile a un determinato periodo storico. La domanda potrebbe essere: da musica di rottura, da musica di alternativa, il rock può essere oggi considerato un classico, vale a dire il contrario di quello che era quando è nato?

La questione, posta così, non è del tutto oziosa poiché la stessa parabola l’ha compiuta il jazz: l’ultima volta che è stato “di rottura” erano i primi anni 60, quando Ornette Coleman diede vita al free jazz. Già la successiva corrente, il rock jazz, aveva in sé la volontà di creare una musica alla portata di tutti o quasi, se non altro per un fatto statistico: ciò che è per tutti, o quasi, non è mai di rottura. Dirò di più: il jazz non tende nemmeno più a spingersi oltre i propri limiti. Dopo il rock jazz, infatti, si è fermato classicizzandosi.

The Black Keys

Fino a qui il mio discorso sembrerebbe volgere in negativo, ma non è così: è classico ciò che è valido per ogni tempo e per ogni stagione; perciò nel suo classicizzarsi, il rock esce dalla temperie dei suoi anni d’oro per poter essere fruibile: adesso, ma anche nei prossimi decenni. Ma quali caratteristiche dovrebbe avere per essere classico, soprattutto per quanto riguarda l’interpretazione di coloro che, quando i Rolling Stones incidevano Satisfaction, erano ben lontani dall’essere nati?

Credo possa aiutarci la storia dell’arte. Viene definita classica l’arte dell’Atene di Pericle, ma i suoi elementi formali – che nel Partenone e nelle opere di scultura dell’epoca soggiacevano a precise euritmìe – in seguito hanno perduto queste ultime, ma stravolti, reinterpretati, rivisti e corretti hanno poi fatto parte del bagaglio artistico delle epoche successive: non solo nel Rinascimento o nel Neoclassicismo, che avevano per principio il “guardare al mondo greco romano“, ma pure nel Barocco che si presentava come arte di rottura. Se prendiamo una qualsiasi architettura barocca e la scomponiamo, troveremo un’infinità di elementi classici, ma assemblati e interpretati in modo nuovo.

Dirty Honey

Forse il rock, implicitamente, può fare la stessa cosa. A patto, però, che musicisti tecnicamente bravi i quali, spesso, inventano le tribute band, sfruttino le loro capacità per indirizzarle in senso creativo. Qualche esempio che può aiutarci è in circolazione. Ne cito 3 che mi sembrano i più validi. I Black Keys non sono di primo pelo, però appartengono di fatto al 3° millennio. Dunque possiamo considerarli un gruppo nuovo, soprattutto considerando che i “vecchi”, come i Rolling Stones, gli Who e Iggy Pop, sono ancora in pista. Banalmente, potremmo dire che i Black Keys fanno rock blues; ma sfido chiunque a confrontare la loro musica con il rock blues più classico degli anni 60 – quello di John Mayall e di tutto ciò che ne è seguito, da Jeff Beck a Eric Clapton, fino ai Mountain – e a dire che si tratta della stessa cosa, fatte salve le possibilità tecnologiche infinitamente superiori che si hanno oggi.

Greta Van Fleet

In realtà, possiamo affermare che in fondo la musica è la stessa. È la sensibilità, casomai, a essere diversa, aggiornata a un’altra epoca. La stessa cosa potremmo dirla per i Dirty Honey, salvo che sono un gruppo quasi neonato, interpreti di un rock blues più feroce rispetto a quello dei Black Keys ma con tonalità forse più contemporanee. In questo, si vede la differenza fra l’essere nati come band all’altezza del 2000 e l’essere nati dopo il 2010. Chi, magari senza saperlo, interpreta meglio il “classicismo” nel rock sono i Greta Van Fleet. Anch’essi molto giovani, nati nel 2012, apostrofati dai detrattori come mera imitazione dei Led Zeppellin – sia per i suoni, sia per il timbro in falsetto della voce di Joshua Kiszka – ma trovo che questo giudizio sia profondamente ingiusto.

Tanto per cominciare, stiamo parlando di musicisti molto bravi che ovviamente hanno ascoltato i grandi del passato. Ma anche qui, mettendo a confronto i brani storici dei Led Zeppelin con quelli dei Greta Van Fleet si noterà un’aria di famiglia, ma la medesima che ci può essere tra un bisnonno e un bisnipote. When The Curtain Falls, ad esempio, la possiamo considerare come la Whole Lotta Love del decennio: entrambi i pezzi sono incentrati su possenti riff chitarristici che rimangono impressi nella memoria, ma con la diversa sensibilità che può provenire dall’essere di generazioni differenti. Un altro brano, Highway Tune, potrebbe avere subìto un’ispirazione dai Deep Purple dell’album Burn: il giro di chitarra è quasi identico a quello di Sail Away, ma se li ascoltiamo senza conoscere l’origine noteremo subito che sono composizioni di epoche diverse. Così come l’intensa Age Of Machine, epico hard rock che mescola anche sapori blues e progressive.

In definitiva, credo che il rock potrà continuare a vivere come “mainstream”. Una forma classica di musica che potrebbe oltrepassare anche il secolo ma a un paio condizioni, quelle che rispettano i gruppi sopra citati: una buona capacità tecnica e la cultura, intesa come conoscenza della musica. In questo caso, del rock che li ha preceduti.