La moda degli ultimi anni consiste nell’usare-abusare del proprio corpo e proporlo come un manifesto gregario di ciò che non si è ma che si vorrebbe essere: ovvero totalmente omologati e affini ai modelli imposti. Il fatto di tatuarsi ad oltranza, per esempio, nasce dalla volontà di affrancarsi, di essere diversi, protagonisti di qualcosa, qualunque essa sia. Presenziare su siti “social media” (che descrizione ipocrita) solo con la “proiezione” di quello che si pensa sia la propria “immagine” è dunque fondamentale. Si preferisce ovviamente il canale dove si “postano” (orrendo neologismo) foto truccate a modo o parole in libertà, copiate o farfugliate.
L’importante non è di avere poche idee ma confuse, ma di essere abili fagocitatori di “copia e incolla” altrui. Il risultato è che viviamo un momento di totale aridità culturale (oso il termine, oramai quasi offensivo) e ci stiamo scollando da quello che dovrebbe essere il senso di un’esistenza. Queste riflessioni mi fanno ragionare sul falso rapporto che abbiamo con il nostro mortale involucro, il corpo. Si cerca di vivere pensando di essere immortali eroi e che nulla di negativo ci possa accadere essendo come siamo protetti da taumaturgici, insensati pastrocchi finto orientali che ci siamo fatti intarsiare ad imperitura memoria sul nostro povero corpo.
La scienza, d’altronde, non ci aiuta andando sempre di più verso la ricerca di un uomo bionico e sempre meno verso la soluzione di molte micidiali malattie, le più antiche delle quali sono tuttora attive e in propagazione.
Il tema sembra essere vivere il più a lungo possibile. Mi ricordo di un politico che tempo fa promise ai suoi elettori che li avrebbe fatti vivere fino a 250 anni, naturalmente se si fossero curati nelle sue cliniche…
Il vero tema dovrebbe invece essere come vivere con sé stessi in passabile armonia per il tempo che ci è stato assegnato. Per fare questo, bisognerebbe ribaltare il rapporto che abbiamo con noi stessi dall’esterno all’interno.
Avere la coscienza costante delle nostre fragilità e della nostra caducità. Ascoltare il corpo attentamente – esso ci parla in continuazione – rispettarlo e rapportarsi a lui da pari a pari.
Luigi Mantovani e Lionel Borla
Si è pensato con il mio complice, l’artista Lionel Borla, di ambientare la saga di Testa – Mento a Marsiglia nei meandri misteriosi della “Cité Radieuse” di Le Corbusier.
Questo progetto architettonico, all’epoca visto come una assurda stranezza, che è poi diventato monumento storico imprescindibile dell’architettura moderna, presenta molte analogie con il mio racconto corporale. In effetti la “Cité” è in sé un corpo completo, pulsante, vivo, fine a sé stesso, che mantiene una sua anima e impronta precisa nei labirinti della vita immaginata come un tutto-in-uno.
Mi è quindi sembrato lo scenario ideale per creare un percorso allegorico, evocativo, allusivo, elusivo, come un perfetto paradigma dell’essere in divenire.
Foto © Lionel Borla
Le parole antiche e future da me usate nel descrivere i vari aspetti del nostro involucro umano, trovano una loro naturale risonanza e sensibilità negli spazi atemporali della “Casa del matto”, come viene tuttora scherzosamente definita dai marsigliesi l’opera di Le Corbusier.
Salute!
Luigi Mantovani
Luigi Mantovani e Lionel Borla, Testa – Mento, gmebooks, 43 pagine, € 20
Disponibile qui: Galerie Mantovani, Amazon.it