Mettiamola così. Giusto 1 anno dopo l’ipotetico “Vol. 1” intitolato Caught By The Heart (rileggetevi qui la recensione), ecco il “Vol. 2”: The Ghost Of Santiago. Sì, perché il 1° album di Tim Finn e Phil Manzanera non può prescindere dal 2°; e il 2° è la logica prosecuzione del 1°.

Riassumiamo i fatti. Allo scoccare del lockdown pandemico, siamo a marzo 2020, il cantante e chitarrista neozelandese (ex Split Enz ed ex Crowded House) contatta via mail il chitarrista londinese dei Roxy Music, nonché amico di lunga data. Gli domanda se per caso ha qualche groove latino su cui poter lavorare. La risposta è affermativa, dal momento che Phil sta ipotizzando un album all’insegna della latin music.

Tim Finn

Sicchè lavorando a 17.000 km. di distanza l’uno dall’altro, compongono insieme 23 brani: 10 sono entrati nella caliente world music di Caught By The Heart e altrettanti nobilitano la scaletta del nuovo The Ghost Of Santiago, frutto altrettanto saporito di chi ha saputo ritagliarsi, da una vita limitata per colpa del covid, tempo e spazio sufficienti a dar vita a un incredibile periodo di creatività artistica: nessun traguardo da porsi, solo ed esclusivamente il piacere di 2 musicisti che si riuniscono nel cyberspazio per vedere dove li condurrà la musica.

Laddove Caught By The Heart risultava dinamico e sfavillante, viceversa The Ghost Of Santiago è più rallentato e introspettivo, con un Tim Finn propenso ad addolcire/immalinconire il proprio canto e un Phil Manzanera pronto ad addomesticare la chitarra elettrica anziché lanciarla in assoli a briglia sciolta.

Phil Manzanera

Con la sua fisicità percussiva e i ripetuti rimandi al progressive rock, Space Cannibal è il miglior prologo possibile, così come Our Love è la quintessenza dell’orecchiabilità, complice una verve melodica senza alcun dubbio roxyana, versante Avalon. Se invece Llanto sprigiona effervescenze latine a furor di fiati, increspature ambient al pianoforte e dovizia d’archi sottolineano i melodiosi riverberi di The Ghost Of Santiago, mentre è il passo felpato a suggerire Esperando La Caida e una cumbia colombiana, carnascialesca e synthetizzante, a scandire Costeño.

L’ambient music, l’incedere solenne e le algide orchestrazioni di Rosemullion Head, vis-à-vis coi chiaroscuri di bossanova e la spiccata personalità di Mal Sueño con quel sassofono in vena di confidenze jazz, sono infine il lasciapassare di Falling Asleep, melodia pop giocata in falsetto, quantomai ricca e preziosa; e di Curtain Call, irresistibilmente pinkfloydiana con quella chitarra magnificamente giostrata à la David Gilmour da Manzanera. Appuntamento sin da ora fissato al prossimo disco. Non più in remoto, finalmente in presenza.