Dicono che sentirsi giovani sia uno stato mentale. Io non so se è vero, ma per quelli come me (per i quali gli Who hanno rappresentato fra i 15 e i 30 anni non dico tutto, ma quasi) Who è un tuffo al cuore: perché per quanto la vita possa metterti a dura prova, sai sempre che a casa ti aspetterà una copia di Quadrophenia o di Who’s Next dove rifugiarti.

Ho visto Roger Daltrey allo Smeraldo di Milano il 26 marzo 2012. L’ultimo concerto prima della chiusura del glorioso teatro. Ci sono andato con qualche dubbio: temevo di vedere sul palcoscenico una vecchia gloria spompata in cerca dell’ultimo ingaggio, ma dopo circa ½ minuto di concerto Daltrey era già in gran forma e la band capitanata da Simon Townshend girava a mille. Quell’indimenticabile serata, dedicata a Tommy con numerosi classici nei bis, si è personalmente conclusa col botto: il pubblico stava defluendo, mi sono nascosto fra le poltrone e a teatro completamente vuoto ho bussato ai camerini, un Daltrey disponibilissimo mi ha autografato l’edizione deluxe del 1° glorioso album My Generation e io mi sono addormentato non prima dell’alba.

Il 19 settembre 2016 gli Who approdano al Forum di Assago con Zack Starkey (figlio di cotanto padre Ringo Starr) ai tamburi e Pino Palladino al basso. Roger Daltrey e Pete Townshend, classe 1944 e 1945 rispettivamente, ricompattano la band (o ciò che ne rimane) per una serata che a mio giudizio si presenta ad alto rischio causa veneranda età della coppia. Ma l’unico rischio lo corrono le fondamenta del Forum, messe a dura prova dall’incredibile energia dei 2 fuoriclasse sostenuti da una platea gremita e gonfia di passione e dedizione totali.

Da Who sinceramente non sapevo cosa aspettarmi. Mi sarei accontentato di un onesto colpo di coda, ma questo disco è molto, molto di più. Daltrey lo ha definito il migliore dopo Quadrophenia, Townshend ne parla come di un album assolutamente privo di nostalgia. Bene: sin dal primo ascolto si capisce che le 2 definizioni calzano a pennello. Who tocca vette mai raggiunte dal gruppo: nel senso che propone suoni e arrangiamenti di incredibile eleganza con un’intenzione musicale differente dal passato, sia nei brani più abrasivi sia nelle ballads. Daltrey & Townshend producono canoni e visioni risapute, ma al tempo stesso insolite. Prendete ad esempio Got Nothing To Prove, che riesce a essere incredibilmente retrò nella composizione ma splendidamente futurista grazie alle orchestrazioni di Martin Batchelar che ritroviamo nella struggente, dolcissima I’ll Be Back; oppure All This Music Must Fade che apre l’album proiettando gli Who, grazie al mellotron e all’organo di Benmont Tench, direttamente dal passato in un futuro ricco di sorprese. E anche Ball And Chain, Detour e Beads On One String ripropongono l’energia dei tempi migliori ma con un approccio che nei suoni, nei cori e negli arrangiamenti è meno spigoloso e più raffinato.

Mi vien da dire, insomma, che the kids are all right. E poi c’è il tour in arrivo, augurandomi che saltino fuori date italiane così comprerò senza indugi il biglietto. Perché una cosa posso dire di averla imparata bene: gli Who non muoiono mai.