«Il 1° album dei Velvet Underground ha venduto solo 10.000 copie, ma tutti quelli che lo hanno acquistato hanno formato una band», ebbe a dire Brian Eno a proposito di The Velvet Underground & Nico, 1967, prodotto da Andy Warhol e da Tom Wilson, altrimenti conosciuto come Banana Album. Ebbene, fra le band capaci d’indossare con disinvoltura lo stile velvettiano si distinguono dal 1976 i Feelies di Haledon, New Jersey, titolari di quel Crazy Rhythms piazzatosi sulla rivista Rolling Stone al 49° posto fra i 100 migliori dischi degli anni 80.

Ma i chitarristi e vocalist Glenn Mercer e Bill Million, la bassista Brenda Sauter, il batterista Stanley Demeski e il percussionista/tastierista Dave Weckerman (con l’aggiunta di James Mastro e Richard Barone, chitarre e voci) erano ben consci che non avrebbe avuto alcun senso cercare di suonare come i VU: tant’è che il 13 ottobre 2018, alla White Eagle Hall di Jersey City, i Feelies hanno esattamente suonato come i VU e a documentarlo è Some Kinda Love: Performing The Music Of The Velvet Underground, “colonna sonora ” della mostra intitolata The Velvet Underground Experience che quel giorno si inaugurava nell’East Village newyorkese a 2 anni dal debutto parigino.

«Quando frequentavo il liceo», ha ricordato Bill Million, «sulla porta della mia camera c’era una citazione di Lou Reed che avevo ritagliato da una rivista musicale. Diceva: La ripetizione è così fantastica, anti-glop . Quel termine stava a indicare la rimozione delle sciocchezze e degli eccessi a favore, appunto, di una fantastica ripetizione. Come il brano What Goes On, che potrebbe andare avanti all’infinito finché non ti ci ritrovi perso dentro. Guardando oltre le copertine dei dischi dei VU ho scoperto il caos, il silenzio, l’interazione, i droni, il feedback, i riff raga, le percussioni di Moe Tucker, il canto di Lou Reed… E poi c’è il ritmo di Sterling Morrison: me ne sono innamorato ed è ciò che mi ha fatto decidere di suonare la chitarra».

All’epoca di The Velvet Underground & Nico, Glenn Mercer seguiva invece tutt’altri gruppi: Beatles, Rolling Stones, Who, Kinks, Jimi Hendrix, Doors, Byrds, Buffalo Springfield. «I VU non seguivano le stesse regole: niente batteria, la comparsa di una viola, nessun bassista fisso… Ogni pezzo, alle mie orecchie, suonava come fosse una band diversa. Ho impiegato alcuni anni per rendermi conto che le qualità che avevo scoperto all’inizio erano in realtà i loro più grandi punti di forza».

The Feelies

Some Kinda Love è il coronamento di un sogno iniziato nel 1989, quando Lou Reed scelse i Feelies come supporter nel tour di New York, l’Lp del suo ritorno in grande stile. In occasione dei 6 concerti al St. James Theatre newyorkese, dichiarò al settimanale britannico Melody Maker : «Mi ricordano me stesso, solo in maniera 5 volte più veloce». Quando la sera del 13 ottobre 2018 sono saliti sul palco, i Feelies avranno di certo ripensato a quella benedizione e senza mai scambiare battute con il pubblico, né adulare in modo esplicito il velluto sotterraneo, hanno sublimato la grande bellezza di questo album con 16 brani tratti dalle 4 incisioni velvettiane (Sunday Morning, There She Goes Again, I’m Waiting For The Man, All Tomorrow’s Parties e Run Run Run da The Velvet Underground & Nico; White Light/White Heat e I Heard Her Call My Name da White Light/White Heat; What Goes On, That’s The Story Of My Life e After Hours da The Velvet Underground; Who Loves The Sun, Sweet Jane, Head Held High, New Age, Rock & Roll e Oh! Sweet Nuthin’ da Loaded) più I Can’t Stand It e We’re Gonna Have A Real Good Time Together dai postumi VU e Another VU.

Fra questi solchi, naturalmente, non vi è alcuna traccia della viola di John Cale; nessuno dei Feelies avrebbe mai potuto riprodurre il canto androgino di Nico; spesso e volentieri Mercer e Million hanno stratificato nello stile dei Byrds le parti chitarristiche di Lou Reed e Sterling Morrison; Brenda Sauter, nel brano After Hours, ha sostituito più che degnamente Moe Tucker. Tutto ciò la dice lunga su questi minimali, immensi Feelies.