Se intorno al 1976-79 eravate qualcosa fra il punk incazzato e l’esaltato adepto di John Belushi, magari appartenevate al movimento Disco Sucks del DJ Steve Dahl e avevate nei Bee Gees un nemico chiarissimo – oggi, dall’alto dei 60-e-spiccioli-anni che avete, fate una bella cosa: ritagliatevi 2 ore per vedere How Can You Mend A Broken Heart (disponibile sulle piattaforme Prime Video, Apple Tv, Google Play), il nuovissimo documentario sui fratelli anglo-australiani prodotto dalla HBO, diretto da Frank Marshall, che i veri cinefili riconosceranno come quel Frank Marshall per decenni sempre accanto a Steven Spielberg in una serie di blockbuster infinita (ma pure produttore del suo lifelong friend Peter Bogdanovich).
Bee Gees negli anni 60
La pellicola, naturalmente, narra dell’epopea del trio nato all’Isle of Man-cresciuto a Manchester-emigrato in Australia epigono dei Beatles (ma pure degli Everly Brothers e di Simon & Garfunkel) che fu, quando apparve a metà anni 60, e che poi ha scalato la musica mondiale divenendo uno dei più grandi best seller che la discografia ricordi. Pellicola fatta in maniera impeccabile: filmati di repertorio e di video privati assolutamente rivelatori; grande onestà narrativa; montaggio “in divenire” entusiasmante; giusto spazio ritagliato al mentore Robert Stigwood, produttore/talent scout/cinematografaro australiano fra i più brillanti nello showbiz anglosassone; fino agli interventi di prima mano regalati da colleghi che colgono non poco l’essenza Bee Gees, vedi Eric Clapton (sapevate che un po’ è “colpa” sua se i BG vi hanno perseguitato per tutta la vita? Guardate il film – e scoprirete perché…), Chris Martin (Coldplay), il concittadino Noel Gallagher (Oasis), Lulu (a cavallo fra 60 e 70 moglie di Maurice Gibb), Nick Jonas (Jonas Brothers), Justin Timberlake (NSYNC), Mykael S. Riley e Mark Ronson.
Negli anni 90 con Robert Stigwood
Per quanto possa sembrare bizzarro, How Can You Mend A Broken Heart ha ben poco di patinato – ma ha, soprattutto, il gran pregio di mettere in luce i Bee Gees sia come fenomeno culturale sia come artisti squisitamente pop che per decenni hanno davvero marcato la vita del mondo intero. Sotto quest’aspetto, è molto facile vedere il trio come lo snodo perfetto fra i Beatles e Michael Jackson: il tocco è un po’ quello, di chi in fondo è amato anche da chi li disprezza profondamente. Su tutto, piaccia o no per mero pregiudizio, vi è la musica, che con i Bee Gees è stata spesso, spessissimo di grande livello: che si tratti dei successi anni 60 sbanca charts come New York Mining Disaster 1941, Massachusetts, I’ve Gotta Get A Message To You, To Love Somebody (non sapevamo che inizialmente fu concepito per Otis Redding – che morì prima di poterlo incidere…); di album capolavoro come il doppio concept Odessa (1969), cover art profondo rosso e perfetto discendente di dischi segna-epoca come Pet Sounds (1966) dei Beach Boys e Sgt. Pepper’s (1967) dei Fab Four; dell’edonismo dei primi 70, che comunque ha regalato lavori di “musica commerciale” (perdonate generalizzazione e sintesi) più che pregevoli, vedi quei Mr. Natural (1974) e Main Course (1975) prodotti dalle “migliori orecchie in città”, l’indimenticabile produttore/talent scout Arif Mardin, l’uomo che ha reinventato il sound BG valorizzando il falsetto di Barry Gibb; dell’uragano Saturday Night Fever (1977) che, a conferma del detto anglosassone “puoi correre ma non puoi nasconderti”, inesorabilmente colpi tutto e tutti; e dell’imponente serie di hit scritti dagli anni 80 in poi per conto terzi (Barbra Streisand, Dolly Parton & Kenny Rogers, Dionne Warwick, Diana Ross, Cliff Richard, Tina Turner, Celine Dion…).
I fratelli Gibb con John Travolta, protagonista di Saturday Night Fever, nei primi anni 80
Momento chiave della pellicola è quello dedicato a Steve Dahl, che citavamo in apertura. Il DJ di Chicago, strano figuro che s’inventò il movimento Disco Sucks (“la disco music fa cagare”, detto in plain Italian), che a un certo punto scappò letteralmente di mano. Era la sera del 12 luglio 1979 quando, all’arena del baseball Comiskey Park di Chicago, il DJ diede luogo alla Disco Demolition Night a margine della partita fra Chicago White Sox e Detroit Tigers. Una goliardata che degenerò in sommossa, con migliaia di spettatori che nell’intervallo di gioco invasero il campo (e chi no, distrusse gli spalti…) al grido “disco sucks” e con culmine l’esplosione di una gigantesca cassa piena di vinili, disco music doc naturalmente, atto che infervorò ancor di più i tanti presenti. Per la cronaca: la polizia caricò, lo stadio fu sgomberato ma il terreno risultò talmente danneggiato dall’esplosione e dal vandalismo degli avventori che i White Sox furono costretti a ritirarsi dalla partita e concedere la vittoria a tavolino ai Tigers. Già, potere di You Should Be Dancing (Stephen Stills alla percussioni vi era sfuggito, eh?) e di tutto ciò che ne seguì. Probabilmente i Bee Gees da tutto ciò quantomeno imprevisto, fra una coppa di champagne e l’altra, rimasero scossi. E qualcosa cambiò, irrimediabilmente – come si evince nei commenti che scorrono in How Can You Mend A Broken Heart.
12 luglio 1979: il DJ Steve Dahl in azione al Comiskey Park di Chicago durante la sommossa passata alla storia come Disco Demolition Night
Con i fratelli (gemelli) Robin–l’introverso e Maurice–il mediatore passati a miglior vita, senza scordare il fratellino Andy scomparso ben anzitempo, il destino ha voluto che fosse brother Barry–la roccia, il più anziano, a dover mettere sigillo all’eredità. Barry che, al netto di essere coi fratelli fra i massimi Re Mida del pop, nella vita quotidiana sembra davvero un tipo con i piedi per terra – conscio di aver creato un’eredità smisurata, appare davvero trasparente quando, alla fine del documentario, afferma disarmante: «Non mi sono mai abituato alla perdita dei miei fratelli. Scambierei tutto il successo che abbiamo avuto per poterli riavere indietro». A quegli occhi lucidi e sinceri non si può far altro che credere con gran fiducia… perché “You don’t know what it’s like/To love somebody/To love somebody/The way I love you“. How Can You Mend A Broken Heart: visione caldamente consigliata.