È il 1982 quando il mondo intero fa la conoscenza di un reduce dal Vietnam chiamato John Rambo grazie al film Rambo: First Blood girato da Ted Kotcheff e tratto dall’omonimo romanzo di David Morrell. Interpretato da un fisicatissimo Sylvester Stallone, Rambo è un veterano esperto in guerriglia, tecniche di sopravvivenza, ma soprattutto è un ammazzatutti che i videogiochi se lo sognano. Durante questi quasi 40 anni sono mutati i registri ma Stallone ha rivestito i panni del veterano altre 4 volte, compresa questa che dovrebbe essere l’ultima come suggerisce il titolo Rambo: Last Blood (diretto da Adrian Grunberg) che in effetti chiude il cerchio di violenza con l’ultimo sangue.

La storia è sempre la stessa: John Rambo vive lontano da tutto e da tutti, in una fattoria dell’Arizona dove alleva cavalli e lotta ancora con il disturbo da stress post traumatico. Per capirci, possiede una fattoria a 2 piani ma vive nei cunicoli che ha scavato negli anni sottoterra (roba che i survivalisti al confronto sembrano dilettanti) dove tiene persino una fornace utilizzata per forgiare armi di ogni tipo e dimensione. Un hobby come un altro, diciamo. Vivono insieme a lui Maria (Adriana Barraza) e l’ingenua nipote 17enne Gabrielle (Yvette Monreal) che Rambo ha accolto quando la ragazza era una bambina.

Ammettiamolo: chiunque abbia visto i precedenti episodi potrebbe benissimo uscire dal cinema. Sappiamo tutti quello che succederà… Ma io ho insistito, stoicamente, perché anche se non ci sono più poliziotti corrotti, viet-cong o comunisti cattivi, in terra messicana c’è comunque di che commettere stragi… nello specifico il nostro eroe si ritroverà a combattere un gruppo di trafficanti dedito alla tratta delle donne e alle droghe. E provate a indovinare chi finirà nelle grinfie di questi cattivoni? L’innocente Gabrielle, che parte di nascosto per il Messico alla ricerca del padre che anni prima l’aveva abbandonata e finisce per essere venduta da una vecchia “amica” a questi bruti. Ed è ovvio che Rambo (coltello e pistola inclusi) si dia subito da fare per salvarla ma al primo tentativo le prenda di santa ragione: è pur sempre un vecchietto di 73 anni che deve ricorrere all’aiuto di un dottore per essere medicato (non si mette più i punti da solo con quegli orrendi strumenti fai-da-te…), ha la camminata stanca, gli occhi velati e una strana incapacità di aprire bocca per far comprendere ciò che dice (in questo caso sarete voi a dire: evviva il doppiaggio!).

Ripresosi dalle botte ricevute decide, pur di ritrovare Gabrielle, di cercare l’aiuto della giornalista messicana Carmen (Paz Vega) che lo ha gentilmente salvato da morte certa e ha perso la sorella per mano degli stessi delinquenti. E quando John riuscirà di nuovo ad attirare l’attenzione del cartello e a riprendersi la nipote, i criminali caleranno armati fino ai denti sull’Arizona; ignari, però, che Rambo li starà aspettando (Ah, questi giovani d’oggi che non hanno più rispetto per l’età…) e che i suoi tunnel, scavati meticolosamente, finiranno per diventare le tombe di ognuno di loro. Perché sarà bello veder scorrere il sangue di chi ha osato anche solo toccare Gabrielle…

Sicchè mi sono goduta quasi mezz’ora di ammazzamenti con ogni genere d’arma conosciuta – unica nota positiva: Rambo, per fortuna, non rimane mai in mutande (Messico e Arizona, evidentemente, sono meno umidi del Sud Est Asiatico…) – e mi sono abbandonata al finale super splatter in pieno stile Quentin Tarantino che ci regala un Rambo incazzatissimo che con il coltello squarcia costola dopo costola il petto del nemico per estrargli il cuore… «magari con un bel Chianti» avrebbe detto Hannibal Lecter, ma quella è un’altra storia.

Avviso ai nostalgici. Rambo: Last Blood è nel suo genere perfetto. E anche se la trama ha un’infinità di buchi e Sylvester Stallone non conosce il benchè minimo significato di mimica facciale… io mi sono addirittura divertita.

Foto: © Notorious Pictures