Open, lo spettacolo del coreografo e ballerino statunitense Daniel Ezralow, ha inaugurato al Teatro Regio la rassegna ParmaDanza 2021-22. A partire dagli anni 80, sull’onda del successo dei Momix e della compagnia ISO, Ezralow ha realizzato in Italia le coreografie del Festival di Sanremo e del programma tv Amici di Maria De Filippi. «Ho sempre cercato di insegnare ai giovani a tirar fuori il genio che hanno dentro», ha dichiarato, «indipendentemente dal loro collo del piede».

Dotato di un talento straordinario, ha collaborato con gli stilisti Issey Miyake, Koji Tatsuno, Roberto Cavalli e Hugo Boss. Musicalmente parlando, se lo sono contesi artisti del calibro di Sting, U2, David Bowie, Pat Metheny, Andrea Bocelli e Ricky Martin. Per quanto riguarda nello specifico il teatro, «la sua grandezza è nel pubblico, nel luogo, nel feeling dei ballerini, negli applausi» ha precisato. Insieme a sua moglie, l’attrice e artista visuale anglo-americana Arabella Holzbog, ha scritto Open: 4 pannelli visivi per altrettanti quadri in movimento con i quali 8 fra danzatori e danzatrici dialogano e giocano, coniugando il linguaggio neoclassico e la modern dance sia nelle sequenze che vedono impegnato il gruppo, sia negli assoli.

Ballano, i corpi, flessuosamente e ironicamente sulle musiche di Johann Sebastian Bach, di Ludwig van Beethoven, di Fryderyk Chopin e di Gioachino Rossini, in un coinvolgente intreccio di fantasie e di emozioni. Il ticchettìo di una slot machine ruota attorno a immagini di segnali stradali (incluso il divieto di accesso dello street artist francese Clet, con l’iconico omino nero stilizzato).

Sullo sfondo di una metropoli entrano in scena i ballerini, omologati nei loro look da businessmen e da impiegate, correndo forsennatamente sulle note dell’Ouverture del Guglielmo Tell di Rossini verso un’alienante posto di lavoro. Ogni performance si concentra sulla condizione umana e sulla necessità di evadere, come da un polveroso archivio colmo di carte, immaginando di essere in un luogo di mare e di pescare nella rete una ballerina/sirena.

Né manca la faticosa vita, sia di coppia sia da single, dove si gioca e si lotta danzando sopra un ring fino all’illusorio, tremillesimo round. E poi quel solista, vestito con un lungo abito femminile, che si mette a danzare e a mimare l’umana incertezza di essere amati sulle note di L’amour est un oiseau rebelle di Georges Bizet. E ancora, l’uomo sospeso in aria dai palloncini e immerso nelle tenebre di una fine che verrà, complici 3 svolazzanti Erinni che gli recidono i fili.

È un crescendo di pathos a sottolineare i quadri multimediali dove il corpo è uno strumento emozionale che ricorda l’arte sublime dei Momix. E in uno scatenarsi di tuoni e di fulmini entra in gioco il mutamento climatico: 2 ballerini trasportano sul palcoscenico una carriola con la terra per piantare nuovi alberi; e le ballerine, distese, strisciano flessuose al suono del respiro umano. Il messaggio ecologico, evidente, assume i contorni di una danza collettiva dove tutti schiudono loro stessi come fossero bruchi.

Il ritorno al presente esistenziale vede invece una linea rossa dividere il gruppo nero dal gruppo bianco, impegnati a lottare nella loro differenza per poi essere raggiunti da una coppia mista che oltrepassa coraggiosamente quella linea. E quanto la vita sia preziosa e fragile, lo testimoniano i danzatori che mettono in scena figure atletiche per poi proiettarsi sul pannello in posizione statica: il negativo bianco si frantuma e 2 ruspe raccolgono i pezzi.

È la quotidianità, ora, a svelarsi prorompente indossando le tute nere e arancio degli operai. E allora si riprende a correre a perdifiato, in un gioioso finale dove la speranza equivale a un mondo colorato, il ritmo del reggae si alterna alla dance e fra ballerini e spettatori è tutto un gioco d’intese.

Foto: © Fabio Diena © Angelo Redaelli

Fra uno show di Broadway e un retrogusto di Momix, Open si è rivelato un piacevolissimo evento che racchiude tutta l’arte coreografica di Daniel Ezralow. La sua idea di danza è costantemente sintonizzata sul divertimento, sull’agilità, sulla sorpresa e sulla leggerezza, con il contorno delle più sofisticate tecnologie video.

«In questo spettacolo c’è il contrasto fra città e natura, laddove solo quest’ultima può liberare l’uomo dalla frenesia», ha spiegato il californiano che ha appena aggiunto al suo già prestigioso curriculum le distopiche, spettacolari coreografie del Macbeth di Giuseppe Verdi al Teatro alla Scala di Milano.