Il 17 maggio 1973, alla première del 26º Festival di Cannes, La grande abbuffata (La grande bouffe) di Marco Ferreri scatena reazioni violente da parte del pubblico, con fischi e sputi verso il cast e il regista milanese che risponde alle provocazioni mandando baci alla folla inferocita. Nonostante lo scandalo, ulteriormente alimentato dalla stampa (“Giornata degradante per il Festival, umiliazione per la Francia, vergogna ai produttori e agli attori “) il film si aggiudica il Premio FIPRESCI della critica internazionale ex aequo con La maman et la putain di Jean Eustache. Il suo debutto in Italia è scandito da un acceso dibattito infarcito di proteste e di polemiche, culminato con il sequestro da parte della Procura di Catania e il taglio di 40 metri di pellicola.
Osceno, plumbeo e dissacrante apologo sul declino dell’uomo moderno interpretato da Marcello Mastroianni, Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Michel Piccoli e Andréa Ferréol, La grande abbuffata ritorna dall’11 dicembre nelle sale cinematografiche, distribuito da Cat People, con la sua forza e la sua ferocia intatti. Lo fa nella versione non censurata reintegrando 8 scene – 5 minuti in tutto – che erano state eliminate nel 1973. Il restauro in 4K, che restituisce al film nei 131 minuti di durata quello splendore visivo che era andato perduto, è stato realizzato da Cité Films e dalla Fondazione Cineteca di Bologna, con il sostegno di CNC (Centre National du Cinéma et de l’Image Animée), presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata.
Ugo, Marcello, Philippe e Michel sono 4 facoltosi amici, amanti della convivialità, che si riuniscono nella villa di Noiret intenzionati ad attuare un “suicidio gastronomico ”. Dopo aver deciso di cucinare prelibatissime pietanze e di cibarsene senza mai smettere fino a morire d’indigestione, ospitano durante l’infinito banchetto 3 prostitute e una maestra elementare (Andréa Ferréol) transitata con la sua scolaresca dal giardino della villa.
Fra dissolutezze, psicosi, gag scatologiche, sesso e umiliazioni, quella di Marco Ferreri e del suo cast senza freni inibitori è una scabrosa e invernale “favola ”; un’esasperata “all you can eat quarantena ” che si protende verso l’abisso in una collettiva, fisiologica, sociale apocalisse. Con il suo senso del macabro e quella sudicia ma al tempo stesso rasserenante malinconìa, questo film è il trionfo della mortificazione, capace di mettere in scena l’insensatezza della condizione umana.
Crepuscolare e insieme goliardico, il genio spudorato di Ferreri brilla oggi più che mai sommando esuberanze e indecenze, comicità alta e comicità bassa, se non (orgogliosamente) bassissima. La grande abbuffata è tutto questo. Ma anche di più.