È un caso che nonostante sia bianco, europeo, figlio della miglior tradizione eurocentrica e nipote della grande Austria asburgica, Joe Zawinul si sia rivelato, più di chiunque altro, il musicista in assoluto più “nero“, più vicino alle istanze funky e all’invenzione della cosiddetta world music? Assolutamente no. Anzi, ne è la logica e ovvia conseguenza.

L’Impero Asburgico è stato infatti il più fulgido esempio di multirazzialità, multietnicità e multireligiosità. Al suo interno convivevano pacificamente austriaci, italiani, ungheresi; slavi di varie provenienze come serbi, croati, sloveni, macedoni, bosniaci, montenegrini; e ancora cechi, slovacchi, boemi. Convivevano cattolici, ortodossi, musulmani, ebrei… almeno fino a quando il folle omicida Gavrilo Princip, con il suo gesto infame ha posto fine all’Impero dando inizio al 1°, enorme massacro di vite umane dell’era moderna e alla conseguente nascita delle 2 peggiori forme di aberrazione politica, il Fascismo e il Nazismo, dopo il 1° conflitto mondiale.

Joe Zawinul (1932-2007)

Non è affatto un caso che proprio un ragazzo di Vienna sarà colui al quale dobbiamo la nascita di una musica nuova, destinata a inglobare elementi colti della tradizione europea, blues, funk, ritmi africani, melodie mediorientali, accenti brasiliani, sudamericani e klezmer ebraico, miscelandoli con un pizzico d’esotico istrionismo e l’innegabile genialità di musicista onnivoro che tutti gli riconoscono. E non è un caso che il pianista viennese, amico fraterno di 1 tra i più grandi pianisti classici, quel Friedrich Gulda con cui si sfida nell’interpretare Wolfgang Amadeus Mozart, abbia in seguito influenzato lo stesso Gulda portandolo a sperimentare e a misurarsi con la musica afroamericana. Ed è tutt’altro che casuale se Miles Davis si affida a lui, come ispiratore e deus ex machina, nell’avviare la rivoluzione elettrica. L’album In A Silent Way (1969) nasce infatti dalla penna di Joe Zawinul e viene composto a Vienna. Non a New York, non negli Stati Uniti ma nel cuore culturale della Grande Madre Europa.

Ricordiamo, poi, che non è un caso se prima di approdare alla corte del trombettista / Principe delle Tenebre Zawinul abbia prestato il proprio servizio e le sue composizioni a Dinah Washington, a Ben Webster e a Julian “Cannonball” Adderley. Nè per caso il suo alter ego, per oltre ¼ di secolo sarà il nero, mistico, buddhista, intellettuale, visionario e amante della science fiction Wayne Shorter, fra i più grandi sassofonisti di tutti i tempi. Persino il fatto che dopo l’avventura davisiana abbia denominato la “sua” creatura Weather Reportbollettino meteorologico, vale a dire indice di continue variazioni e mutamenti, pronto a ogni possibile evoluzione – non è frutto del caso ma si riferisce a 1 solo, autentico genio del 20° secolo.

Zawinul e Friedrich Gulda (1930-2000)

Josef Erich Zawinul si appassiona presto alla musica e il suo 1° strumento è la fisarmonica della tradizione popolare, ma che già gli indica il futuro trattandosi di uno strumento fatto di tastiera e registri. Nato nel 1932, Joe vive sulla propria pelle l’Anschluss, l’annessione alla Germania nazista e la conseguente seconda guerra mondiale. Ferita dalla quale mai si riprenderà e che rimarrà per sempre scolpita nella sua memoria e nei suoi incubi. La sua è una famiglia contadina, ma di ottima cultura e di grandi interessi. Josef, dunque, può iscriversi al prestigioso Conservatorio dopo che il 1° piano verticale è entrato in casa Zawinul. Qui impara la tradizione classica, si innamora perdutamente di Mozart, ma conosce anche le avanguardie artistiche nate da Vienna e da qui sviluppatesi.

Alla radio incontra il jazz e al Conservatorio Friedrich Gulda, amico d’infanzia e vicino di casa. Pepi e Fredi condiviono molte passioni: ovviamente la musica, la boxe, l’alcool, le avanguardie, il jazz. Cominciano ben presto a sperimentare a 4 mani (prassi che rimarrà loro familiare) si confrontano, discutono, provano e riprovano accordi, tonalità, modi. Crescono e maturano insieme, finchè un bel giorno Joe comunica che partirà per l’America: ha vinto una borsa di studio a Boston. Da quel momento la sua vita cambierà. Stabilitosi negli States, incontrerà Maxine (l’unico grande amore della sua vita che gli darà 3 figli) ma Vienna e l’Austria rimarranno nel suo cuore lasciando tracce nelle sue composizioni.

Terminato il dottorato a Boston, approda a New York dando inizio a una delle più fulgide e gloriose carriere musicali: un crescendo continuo di collaborazioni, di riconoscimenti, premi, onoreficenze… ma anche di invidie. Se Fredi si mette a stravolgere il protocollo del concertista classico rifiutando di indossare il frac quando si esibisce, proponendo concerti gratuiti per tutto il pubblico e portando la musica al popolo, da quel momento lo farà anche Pepi ed entrambi calzeranno uno zucchetto in testa. Joe entra a far parte dell’orchestra di Maynard Ferguson e qui incontra Wayne Shorter. Fra i 2 2 l’amicizia nasce spontanea, frutto del reciproco rispetto e dell’ammirazione dell’uno per le qualità dell’altro. Poi diventa il pianista di Dinah Washingtom, cantante all’apice del successo, ed entra a far parte del fantastico gruppo di Cannonball Adderley, di cui diventa direttore artistico e principale compositore.

Da qui in avanti il piano jazz dovrà fare i conti con lo “stile Zawinul“. Innovatore prepotente, figura chiave per gli anni a venire, nel suo pianismo ci sono tracce di Red Garland, di Oscar Peterson, di Art Tatum, di Wynton Kelly, ma anche di Lennie Tristano e di George Shearing. Eppure, il suo non è un pianismo che rimanda ad altri interpreti o modelli espressivi. Non è virtuosistico. «È Joe Zawinul», come dirà Adderley.

Il pianista austriaco e il sassofonista Wayne Shorter

Spingendo l’asticella il più in alto possibile, inserirà nel proprio stile elementi che provengono dalle più disparate esperienze musicali e dalle più varie culture, ma avrà sempre e comunque la capacità di ammantarle della sua cifra espressiva rendendole personali e autentiche. Se decide di utilizzare stilemi che rimandano all’Africa, Joe diventa africano a tutti gli effetti: ascoltate l’album prodotto per Salif Keita, il cantante maliano albino, e capirete. Joe diviene il fulcro di tutto, catalizza ogni cosa e la sua magnifica creatura, Weather Report, equivale a un’avventura musicale unica e irripetibile. Se Joe l’austriaco è paradossalmente l’anima più nera, più iconoclasta e più funky, Wayne il buddhista ne è l’anima più equilibratrice, più intellettuale e più “cool“. Colui che controbilancia l’eccesso. La miscela è perfetta e il risultato sono 30 anni di magia pura e 16 album che hanno fatto la storia della musica jazz. Dal 1° disco omonimo all’ultimo capitolo di questa avventura, la “chimica” fra i 2 è addirittura telepatica: a testimoniarlo sono i momenti in cui Joe e Wayne si esibiscono in duo, tastiere e sax, senza il resto della band. Il che significa che Zawinul ha sempre basato le sue composizioni sulla voce strumentale di Shorter e viceversa.

Ogni singolo album dei Weather Report è il capitolo di una progressiva evoluzione, in anticipo sui tempi, che non ha eguali nella storia della musica e che va di pari passo con ciò che la tecnologia mette a disposizione: dai primi esperimenti con il piano elettrico Fender Rhodes (a cui Joe aggiunge un Echoplex e distorsori) fino agli ultimi sintetizzatori polifonici Arp e Oberheim, il pianista costruisce la propria concezione musicale in funzione della strumentazione di cui dispone. Non tratta mai i suoi strumenti come “giocattoli“, non gigioneggia indulgendo in egocentrici “trip” spettacolari ma fini a se stessi. Fa sempre in modo che lo strumento utilizzato in quel particolare brano sia funzionale al risultato finale, alla bellezza della musica. Nessun altro tastierista ha “forzato” costruttori e produttori di tastiere a inventare nuove diavolerie da fornirgli. E lui li ha sempre ripagati con composizioni maiuscole: basti pensare al suono distorto del piano elettrico Rhodes in Boogie Woogie Waltz; alle sonorità elettroacustiche di Badia; al meraviglioso synth di Birdland e via dicendo. Il suono in funzione del messaggio da trasmettere.

Weather Report

E Wayne Shorter? Con i suoi sassofoni ha saputo apportare il proprio contributo solistico alle idee di Zawinul e il lascito di entrambi è un patrimonio prezioso e irrinunciabile per tutta la musica odierna. Tutti hanno dovuto fare i conti con i Weather Report e con la loro “visione” di musica totale. E quest’ultima ne ha beneficiato aumentando la creatività, obbligando gli artisti a misurarsi con un modello così elevato, a tratti irraggiungibile. Sulla scia dei Weather Report sono nate, negli anni a seguire, diverse band che hanno tratto ispirazione dalla lezione di Zawinul: Yellow Jackets, Sixun, Uzeb, Scott Kinsey… ma nessuna di esse ha potuto rivaleggiare alla pari con i Maestri del genere.

Che dire poi degli straordinari musicisti che si sono susseguiti nelle varie edizioni del Bollettino Meteorologico? Joe Zawinul è stato un formidabile talent scout, sempre in grado di scegliere il musicista adeguato ala proposta musicale che aveva in mente. Se prestate attenzione alla loro discografia noterete che ogni album non ha quasi mai la stessa formazione del precedente. Il cambiamento costante, continuo, in perenne evoluzione, è il tentativo infinito di giungere a ciò che Wayne Shorter definiva «il line up perfetto». Svariate formazioni dei Weather Report si sono rivelate straordinarie per empatia, groove, affinità, risultato finale, coerenza, estetica. Oserei dire quasi tutte, fatta eccezione per quella che ha inciso Mister Gone avvalendosi di ben 3 batteristi fra cui Tony Williams e Steve Gadd, con Peter Erskine che in seguito entrerà in pianta stabile nella band ma non porterà risultati convincenti.