Ascolto e riascolto sempre molto volentieri l’album Garden Of Eden (2006) della band elettrica di Paul Motian (1931-2011); e tuttora mi colpisce quel chitarrista danese, all’esordio su disco, che si ritaglia spazi d’intervento memorabili stimolati da quell’inimitabile drumming che solo Motian sapeva creare. Mi colpisce, inoltre, come egli sappia conversare con quel gioco di piatti e quelle atmosfere rarefatte, per poi lanciarsi in assoli lisergici. Un gioiello, insomma. Il merito va anche a Jakob Bro, il chitarrista proveniente dal Grande Nord che mi onora di essergli amico.

L’occasione dell’uscita di Once Around The Room – A Tribute To Paul Motian (su etichetta ECM, nei negozi dall’8 novembre), ci ha dato lo spunto per questa intervista. Jakob è in tour con Larry Grenadier al contrabbasso e il vecchio sodale Jorge Rossy alla batteria. I 2 erano la prima base ritmica di Brad Mehldau quando si affacciò al mondo jazzistico; e insieme formano un tandem quanto mai coeso, che ha pochi eguali nel jazz odierno.

Paul Motian (1931-2011)
© John Rogers

Ci racconti del progetto dedicato a Paul Motian che hai concepito insieme al sassofonista Joe Lovano?
«Abbiamo cominciato a scriverci email (un po’ come succede fra me e te), gli ho lanciato l’idea di un tributo a Motian con il quale abbiamo entrambi suonato in vari periodi della nostra carriera, e ci siamo subito trovati concordi nel rendere omaggio a un simile poeta. Paul, infatti, non era un drummer e nemmeno un musicista, ma un poeta della Musica con la maiuscola che scriveva versi immortali da dietro la sua batteria e i suoi piatti. A questo punto, Joe ed io avevamo bisogno di musicisti che aderissero totalmente alla sua lezione e non è stato difficile trovarli. La batteria si divide fra Joey Baron, con cui suono da quasi 30 anni; e Jorge Rossy che mi segue da sempre. Al contrabbasso si alternano Thomas Morgan, che fa parte del mio trio fin dagli esordi; Larry Grenadier, più portato all’avanguardia e perfetto nelle situazioni “aperte” e Anders Christensen, che ha suonato nella Electric Bebop Band di Motian. A questo punto la sua musica ha avuto il sopravvento sulle parole, sui piani, sulle scalette, sugli arrangiamenti. È sgorgata con naturalezza dai nostri strumenti ed è stato sufficiente inciderla per fare in modo che il miracolo potesse compiersi. Spesso, in studio, era come se Paul fosse lì insieme a noi con la sua risata, con le sue scarpe da ginnastica New Balance, con il suo zucchetto in testa».

«Once Around The Room – A Tribute To Paul Motian, parte dal cuore e là vuole ritornare. Tengo a precisare che non è una riproposizione delle sue musiche: interpretiamo alcune sue composizioni, alternandole a cose mie e di Joe nello spirito di Paul. Sono felice del risultato finale e spero di poter portare in tour quanto prima questo repertorio. Sai cosa mi ha insegnato suonare con lui? La misura. Riempire cioè lo spazio che ti viene assegnato senza mai esagerare, mettendoti al servizio della musica. La stessa cosa mi è successa suonando con Tomasz Stanko, il trombettista polacco. Pensavo che la chitarra non fosse adatta alle sue composizioni e lui mi ha spronato ad avere fiducia in me stesso, ad approfondire la mia capacità melodica, a cercare il dialogo con la sua tromba. Dai grandi musicisti non si può che imparare, anche solo guardandoli bere una birra o mangiare una pizza. Una fragorosa risata di Motian valeva più di 1.000 complimenti e una pacca sulla spalla di Tomasz aveva più valore del mio diploma alla Berklee School. Mi ritengo fortunato ad avere avuto simili maestri: ciò mi ha permesso di essere il musicista che sono oggi».

Hai un rapporto speciale con la batteria e i batteristi. Da Paul Motian a Jon Christensen; da Joey Baron a Olavi Luhivuori e Brian Blade…
«Ho sempre cercato batteristi che non fossero tali, bensì musicisti che concepiscono lo strumento anche da un punto di vista melodico. Che non esibiscono i muscoli ma abbelliscono la musica con pennellate di ritmo che possono dialogare con la mia chitarra, con il contrabbasso… Quello che cerco è la poesia della percussione: quel ritmo ancestrale che ci tiene ancorati allo spartito e al tempo stesso ci consente di essere liberi di volare dove vogliamo, sulle onde delle note e dell’armonia. La batteria è come il battito del cuore: senza quel battito il corpo si ferma e la vita non esiste più. È così anche per la musica».

Jakob Bro
© Gorm Valentin

Chitarra, contrabbasso, batteria. Sembra essere la tua formula espressiva ideale, ma so che hai anche altri progetti nel cassetto…
«Ho da poco terminato un tour europeo con Nils Petter Molvaer alla tromba, Anja Lechner al violoncello e Marilyn Mazur alle percussioni. Un quartetto quanto mai eterogeneo, che invece si è rivelato sorprendentemente compatto. Pensa che suoniamo tutto improvvisando al momento, senza punti di riferimento. Basta lo spunto iniziale di uno di noi ed ecco che la musica prende forma. Mi auguro di tradurre quanto prima in un album questa esperienza, poiché merita di essere ricordata. Sto inoltre lavorando con Brian Blade e Anders Christensen, cui tengo molto, perchè sono 2 musicisti con cui mi piace suonare e confrontarmi. Vorrei che Mark Turner si aggiungesse a noi, visto che il suo sax ben si sposa alla nostra musica e alla nostra proposta. C’è sempre, comunque, il trio con Arve Henriksen e Jorge Rossy che mi ha dato con l’album Uma Elmo emozioni irripetibili e riconoscimenti in tutto il mondo. So che ami quel disco e ti ringrazio ancora per le belle parole che hai scritto. Avrà un seguito, poiché ogni volta la magica tromba di Arve riesce a sorprendermi e a lasciarmi senza parole, tanta è la sua bellezza. Inoltre, mi piacerebbe che Jorge non si limitasse solo alla batteria: come ben sai è un grande percussionista, un sublime vibrafonista e mi piacerebbe utilizzasse queste eccellenze nel nostro prossimo incontro su disco».

«Tornando al trio, non so dirti se sia davvero la mia formula ideale. È stato il produttore discografico Manfred Eicher a volere il mio debutto su ECM con Thomas Morgan e Jon Christensen. Da lì in poi, mi è venuto naturale proseguire su quella strada. In trio, lo ammetto, godo di parecchia libertà; e se i miei collaboratori sono musicisti del calibro di Thomas, Joey, Arve, Jorge e Larry è fantastico, dal momento che siamo tutti amici che si sostengono, uniti dal sentimento e non dalla convenienza. Questa è la mission dell’essere musicista. E che la musica non debba essere distante e asettica, è un’altra fondamentale lezione che Paul Motian ci ha lasciato. Joe Lovano mi ha raccontato che quando Paul suonava con la Liberation Music Orchestra di Charlie Haden tutti i musicisti erano emotivamente coinvolti in quell’esperienza collettiva di condanna e di denuncia sociale. E nessuno si sentiva escluso dal dover ribadire un “no” categorico alla violenza e alla sopraffazione. La musica, oggi, svolge un compito ben preciso: impegnarsi quotidianamente a migliorare la qualità della vita su questo nostro disastrato pianeta. Sarò un illuso, ma essendo un artista sono giustificato, non ti pare?».

Joe Lovano
© Jimmy Katz /ECM Records

Verrai a suonare a fine novembre. Che rapporto hai con l’Italia?
«Splendido. L’ho visitata anche da semplice turista con mia moglie e i miei bambini, scoprendo ogni volta luoghi meravigliosi. Oltre a vivere nel paese più bello al mondo dal punto di vista naturale e culturale, da voi la musica è sempre stata presente. Non a caso certi termini si scrivono ancora oggi in italiano: con moto, crescendo, diminuendo… Suonerò a Udine e a Napoli curioso di come il pubblico si relazionerà al trio con Larry Grenadier e Jorge Rossy. Nell’estate del 2023, infine, porteremo dal vivo la musica di Paul Motian e per Paul Motian. Quindi sosteneteci numerosi!».

La chitarra aveva necessità di un esponente che non fosse l’ennesima star che nel giro di qualche anno tutti dimenticano. Al contrario, Jakob Bro è destinato a durare a lungo nell’Olimpo dei grandi di questo strumento. Ma adesso immergiamoci nella sua musica… ODDSOLVAER… che nella lingua sami scandinava significa “qualcosa di talmente bello da non poter trovare l’aggettivo appropriato“!