Ho avuto la soddisfazione d’intervistarla anni fa, in una tarda mattinata milanese. Edith, la sua fidatissima segretaria, mi ha accolto nell’elegante appartamento in via Serbelloni. E lei, Maria Ilva Biolcati da Goro, nel ferrarese, si è fatta attendere appena un po’ per poi palesarsi in tutta la sua innata classe. Perchè lei era sempre e comunque La Rossa, come il titolo del disco che Enzo Jannacci nel 1980 le aveva impeccabilmente cucito addosso…

È fiammeggiante, Milva. Nella voce, nel temperamento, nei lunghi capelli, nel saper “essere” sulla scena. Quest’aristocratica signora della musica europea, è l’unica donna italiana che ha saputo e sa spaziare dalla canzone leggera al kabarett berlinese e al lied romantico, fino al tango argentino di Astor Piazzolla e all’avanguardia di Luciano Berio. Mattatrice nei teatri più prestigiosi, in Germania è considerata la massima interprete del repertorio di Bertolt Brecht e di Kurt Weill: un’interprete battagliera, sensuale, magica.

Dalle “canzonette” a Giorgio Strehler, la sua carriera ha radicalmente mutato direzione…
«Era il 1965. Strehler mi vide al Teatro Lirico di Milano nel concerto I canti della libertà organizzato da Paolo Grassi per il ventennale della Resistenza. Interpretai un testo di Brecht che rivisitava l’Inno delle camicie brune di Hitler e Giorgio mi propose di approcciare il repertorio di Weill innervato dai versi brechtiani».

Milva e Giorgio Strehler

Con quale stato d’animo si è accostata a quel mondo musicale?
«Con il desiderio di scoprirlo e di riuscire a impossessarmene. A colpirmi fu subito la musica, mentre faticavo a comprendere lo spessore poetico di Brecht. Le storie che narrava mi sorprendevano e mi disorientavano: come quella di Maria Sanders, la prostituta degli ebrei oltraggiata dai nazisti. All’epoca avevo 25 anni e il luogo di nascita, unito ai modesti guadagni della mia famiglia, non mi avevano consentito di studiare come avrei voluto. Mi impegnai a fondo interpretando 7 song al Piccolo Teatro di Milano e quindi i recital Io e Bertolt Brecht e Milva canta Brecht. Vendevo canzoni come Quattro vestiti e La filanda, gareggiavo al Festival di Sanremo e intanto calcavo i palcoscenici soddisfacendo il mio bisogno di letteratura. Fino alla definitiva svolta artistica con l’Opera da tre soldi: io nei panni di Jenny delle Spelonche, Domenico Modugno in quelli di Mackie Messer».

Con Domenico Modugno nell’Opera da tre soldi, di Bertolt Brecht e Kurt Weill, 1973

Quando si è esibita per la prima volta in Germania?
«Nel 1972, alla Schauspielhaus di Francoforte, in occasione di uno spettacolo organizzato dall’editore di Brecht. Mi trovai a contatto con le grandi interpreti brechtiane Lotte Lenya (moglie di Weill) e Gisela May, che proveniva dal Berliner Ensemble. Interpretai Jenny dei pirati, Surabaya Johnny e La ballata di Maria Sanders. All’indomani, i critici scrissero che la mia voce aveva spazzato via la polvere dai libri di Brecht infondendo nuovo vigore alle sue parole».

Fu allora che iniziò a incidere dischi in lingua tedesca…
«Fino a oggi ne ho pubblicati 30 e a breve se ne aggiungerà un altro. Dalla metà degli anni 70 ho alternato song di Kurt Weill a canzoni scritte negli anni 30 e 40; brani musicati da Mikis Teodorakis per l’album Von tag zu tag (Di giorno in giorno, ndr), a canzoni politiche del poeta cileno Pablo Neruda e del poeta spagnolo Rafael Alberti, fino alla collaborazione con un altro grande musicista, Vangelis».

Dal punto di vista strettamente professionale, a quale città della Germania si sente più legata?
«Senz’altro a Berlino, dove ho inciso i miei primi dischi all’Hansa Studio che confinava con il Muro e ho avuto il privilegio di essere testimone di 2 grandi momenti storici: nel 1987, nell’Oswald Schumann Platz, partecipai all’anniversario della fondazione della città cantando truccata da Angelo Azzurro le canzoni che Marlene Dietrich aveva portato al successo; nel 1989 festeggiai la caduta del Muro intonando Alexanderplatz di Franco Battiato, e la mia felicità coincise con quella di milioni di persone. Berlino è da sempre sinonimo di vivacità intellettuale, politica, musicale».

E l’affetto dove la conduce?
«In particolare ad Amburgo dove ogni volta alloggio all’Atlantic, un grande albergo dal sapore “proustiano“, in una suite che si affaccia sul lago. Amo anche Monaco di Baviera: città bella da togliere il fiato, baciata dal verde che si identifica in un profondo rispetto per la natura. Ma esistono altri angoli di Germania che ritengo impareggiabili: le deliziose, piccole case di Düsseldorf al di là del fiume e certi suggestivi colpi d’occhio di Ravensburg».

Cosa le garantisce l’Europa?
«La certezza di sentirmi a mio agio, ovunque io vada, come cantante o da semplice turista. Anche nei luoghi che non mi suscitano emozioni, riesco sempre a individuare scorci destinati a rimanere impressi nella mia memoria».