Inutile gridare al lupo! al lupo!, o insinuare che l’Iguana ha perso il pelo e pure il vizio. Che a Iggy Pop sia più volte andata a genio una certa verve còlta e sperimentale lo testimoniano schegge degli Stooges come We Will Fall (oltremodo avanguardistica, complice la viola di John Cale) e Little Doll, ma in particolare un pugno di album giostrati in solitaria: Zombie Birdhouse (1982), qualche frammento di American Caesar (1993) sparso qua e là, Avenue B (1998, con le ipnosi jazzy del trio Medeski, Martin & Wood) e Préliminaires (2009, ispirato al romanzo La possibilité d’une île di Michel Houellebecq), più l’Ep Teatime Dub Encounters (2018) diviso equamente con gli Underworld.

Se ci fate caso, in queste incisioni Iggy ha puntualmente anteposto all’urlo belluino non solo il timbro vellutato da crooner (come quello che nel 1987 si mise a intonare la maiuscola Risky di Ryuichi Sakamoto), ma anche la scheletricità della “parola-parlata” e perfino il gusto di reinterpretare a suo modo standard o evergreen che fossero, come Shakin’ All Over, How Insensitive e Les feuilles mortes, fino alla tracklist tutte-cover di Après (2012): da La Javanaise di Serge Gainsbourg a La vie en rose di Edith Piaf, passando per What Is This Thing Called Love? di Cole Porter (peraltro già testato nel 1990 in Well, Did You Evah! al fianco di Debbie Harry) fino alla beatlesiana Michelle.

«Ho avvertito la necessità di mettermi in ombra, girare le spalle, andarmene via», annota di suo pugno Mr. Osterberg sul nuovo disco ripensando al periodo successivo al tour che nel 2016 ha sottolineato il notevole Post Pop Depression. «Volevo sentirmi libero. Mi rendo conto che sia un’illusione, ma finora ho vissuto la mia vita convinto che quella sensazione sia tutto ciò che valga la pena inseguire». Ed è arrivato, a 72 anni stravissuti, a coglierne l’essenza con Free, 18° album in carriera che se vogliamo è un po’ il sequel di 2 suoi riuscitissimi crooning/movie theme, Gold e The Pure And The Damned, che nel 2017 hanno nobilitato le colonne sonore dei film Gold e Good Time.

Dopo aver giganteggiato per Post Pop Depression con il combo di Josh Homme da rocker azzoppato, cicatrizzato ma mai domo, Iggy il raconteur ha voluto accanto a sé 2 musicisti texani – il trombettista jazz Leron Thomas e la avant-guitarist Noveller aka Sarah Lipstate – e poi ha lasciato che questi 10 pezzi “accadessero” per mezz’ora d’ascolto. E ciò che “accade” nell’introduttiva, programmatica Free, è la sua voce che scandisce “I wanna be free” sopra un tappeto ambient increspato dal sussurro della tromba: e non posso fare a meno di pensare a quell’ “Oh I’ll be free” di David Bowie in Lazarus, prima che la foschia sonora si diradi cedendo spazio al superlativo, scientemente caotico rock blues di Loves Missing. Ma è Sonali a ricondurmi al Bowie definitivo: stesse scansioni ritmiche del brano Blackstar, stesse rifrazioni jazz: più conscie che inconscie, ne sono più che certo, nella testa di Iggy.

Poi, però, ci si infila in tutt’altre direzioni con la pulsante, a tratti talkingheadsiana James Bond e con una Dirty Sanchez da tex-mex zappiano che si mette a disquisire (“Just because I like big tits/Doesn’t mean I like big dicks”) di porno online. E se la cantilenante Glow In The Dark si scopre un’anima milesdavisiana cucita addosso, Page (“We’re only human, no longer human…”) fa sedimentare una voce cavernosa prima di svelare un mood melodico sul filo della notte. Ed è tempo, per questo Iggy Pop realmente in stato di grazia, di pronunciare i versi dell’inedito We Are The People, Lou Reed, primi anni 70 (“We are the people who do not know how to die peacefully and at ease…”) per poi abbandonarsi, come fece John Cale nel 1989, agli abissi poetici di Do Not Go Gentle Into That Good Night del gallese Dylan Thomas: “Non entrare lieve in quella buona notte/La vecchiaia dovrebbe infiammarsi e strepitare al termine del giorno/Ribellarsi, ribellarsi alla luce che si estingue…”.

E non può che spettare al loop di The Dawnambient music sapientemente “rubata” a Brian Eno – e a versi come “Love and sex/Are gonna occur to you/And neither one will solve the darkness”, il compito di suggellare le ispirazioni, le introspezioni, le disarmanti sincerità di chi si sente finalmente libero.

Foto: © Harmony Korine