1967. La Banda dei Cuori Solitari del Sergente Pepe posa dinnanzi all’obbiettivo di Michael Cooper. Da sinistra a destra, sulla copertina del long playing firmata Peter Blake e Jann Haworth, notabili della Pop Art: John Lennon, Ringo Starr, Paul McCartney, George Harrison. Alla destra di Lennon, le statue di cera dei Beatles prestate da Madame Tussaud: George, John, Ringo, Paul. Dietro ai Fab 4, una psichedelica folla di personaggi: 71. Il guru Sri Yukteswar Giri posa a fianco dell’occultista/satanista Aleister Crowley; Edgar Allan Poe se ne sta accanto a Fred Astaire; William Burroughs è quasi appiccicato a Marilyn Monroe; fra Stan Laurel e Oliver Hardy c’è Richard Lindner, pittore visionario. E poi Lenny Bruce, Bob Dylan, Karl Marx, Oscar Wilde, Marlon Brando, George Bernard Shaw, Albert Einstein, Shirley Temple… Dopo 700 ore di sessions negli Abbey Road Studios, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band guadagna l’etere il 1° giugno ’67. E la Summer of Love (da Carnaby Street fino a Height-Ashbury) sgranando un’ideale collana di fiori che da Londra raggiunge San Francisco, lo elegge a proprio simbolo. «Era la sinfonia hippy numero 1», dichiara George Martin, indomito produttore beatlesiano, tirando in ballo “happenings”, “be-ins”, “love-ins”. E Timothy Leary, l’attivista dell’Lsd, nell’anno del Sergente Pepe esclama: «I Beatles? Un gruppo di mutanti. Prototipi di agenti evoluzionari inviati da Dio per creare una nuova specie». Con questo disco, la pacifica e gioiosa Rivoluzione sembra davvero a portata di mano. E certi brani (A Day In The Life, Lucy In The Sky With Diamonds, Strawberry Fields Forever) sono semplicemente unici. Mai ascoltato nulla di simile prima d’ora.

Lennon & McCartney avevano ipotizzato Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band come una raccolta di canzoni che celebravano la loro fanciullezza in quel di Liverpool. Paul cullava l’idea di un disco coerente, e suggerì la Sgt. Pepper’s Band: alter-ego dei Beatles chiamati a eseguire i 13 pezzi dando vita a un immaginario show destinato a concludersi nell’apoteosi sonora di A Day In The Life. L’epilogo perfetto. Cucito su misura sull’”ultimate acid-rock album”. Così è stato più volte definito Pepper. In realtà, che i Beatles abbiano fatto uso di acidi durante le registrazioni è documentato solo in occasione del mixing di Getting Better, interrotto a causa di un Lennon “sballato” di Lsd. E le canzoni “drug-influenced”? Palle. Lucy In The Sky With Diamonds si ispira al disegno che il figlio di John Lennon, Julian, dedicò alla compagna d’asilo Lucy O’Donnell. Fixing A Hole non ha niente a che spartire col “buco “, ma si riferisce semplicemente al “rammendo” di un tetto che fa acqua. E l’eroina non c’entra nulla con Henry The Horse (Being For The Benefit Of Mr. Kite!), personaggio tratto da un manifesto circense d’epoca Vittoriana. E poi, il tappeto floreale sulla copertina del disco non è di marijuana ma di sempreverdi e piccole piante di Peperomia. Le uniche allusioni alla droga, semmai, vanno ricercate nei “refrains” di With A Little Help From My Friends (“I get high”) e A Day In The Life (“We’d love to turn you on”). Tutto il resto, magica musica/metafora di un mondo migliore, è Peace. Love. Hippies.

The Beatles – Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band (1967, Parlophone/EMI)