Ci sono sogni che si confondono con la sintassi del quotidiano, con quel particolare linguaggio con cui la veglia cerca di disorientarci quasi a dirci che nottetempo abbiamo soltanto perso la ragione e ci siamo trovati dalla parte sbagliata di una vita troppo abituata a fantasticare, per poter sopportare il peso della realtà. 4 anni fa, il regista Giorgio Magarò e gli attori Luigi Cori e Roberto Corona si sono trovati a Monticelli Pavese, da buoni amici, per passare una giornata in riva al Po. Oggi, il frutto di quanto si sono detti e hanno fantasticato insieme è diventato la materia di cui è intessuta L’Isola Sbagliata, intensa dissertazione cinematografica sulla bellezza sovrannaturale del sogno e sul potere totalizzante dell’amicizia. Storia di un viaggio fisico, concreto, metaforico e spirituale, la pellicola del regista pavese ci invita, sul dorso di una ninfea, a essere testimoni di un naufragio in cui la scoperta di una natura inaspettata, capace di schiudersi a pochi passi dalla vita di tutti i giorni, diviene metafora di un panorama “altro”, che dall’inconscio alla veglia guida i protagonisti alla scoperta di loro stessi. Un’epifania, nell’accezione più “joyciana” del termine, in cui la commistione panica con l’acqua e la terra insegue il sogno preraffaellita di un’Ofelia a metà e di tutte le implicazioni che porta nella narrazione. Infatti, è con la scoperta di un manichino imprigionato sulla riva del fiume, di un mezzobusto dai tratti femminili che di tanto in tanto si anima e prende parte alle dinamiche sospese fra sogno, veglia e ricordo, che la storia si spinge a un livello ancora più profondo facendo dell’Isola Sbagliata la trasfigurazione di un passaggio magico-iniziatico, dell’attraversamento di una soglia al di là della quale gli idoli della gioventù non hanno bisogno di troppe cerimonie, per emergere in tutto il loro valore simbolico.

L’Amleto di William Shakespeare, il David Bowie di Ziggy Stardust ma anche le note di una canzone che ha scandito, con la sua musica e i suoi versi, la costruzione di un percorso che diventa sentiero comune e quindi memoria: tutto concorre a creare e compenetrare lo spazio della narrazione, perdendosi negli occhi impassibili di un airone o seguendo da vicino l’eroica marcia di un nugolo di formiche. Il cinema come poesia visiva, come amore per il paradosso e luogo interstiziale in cui riflettere su domande alla fine delle quali proveremmo solo vertigine, grazie anche alla suggestiva colonna sonora di Roberto Aglieri. Qual è il peso della terra su cui ci muoviamo? Dove finiscono le nostre estremità, nel momento in cui cerchiamo di smuovere le nostre radici riscoprendole invischiate, ancora una volta, fra il sogno e il ricordo? Nessun uomo è un’isola, per citare anche Thomas Merton… eppure, in questo caso, l’isola è solo apparentemente metafora d’isolamento: è la forma circolare per antonomasia che si richiude in sé stessa tanto nell’acqua, elemento primigenio della vita, come nel ventre della terra; quasi a cercare un “regressus ad uterum”, il ritorno al ventre materno su cui si ripiegano le estremità delle nostre vite.

Foto: Luigi Cori
Roberto Corona
Il regista Giorgio Magarò con gli attori Luigi Cori e Roberto Corona
© Lù Magarò