Diffidate dalle apparenze. Se finora – complici le ristampe e l’aggiunta di pezzi in più – l’album Stage era parso la miglior testimonianza ufficiale possibile del David Bowie “settantottino” impegnato a tradurre dal vivo il repertorio berlinese di Low e Heroes, mille grazie al Record Store Day per averci riservato (dopo l’altrettanto valido Cracked Actor Live Los Angeles ’74) il triplo vinile Welcome To The Blackout (Live London ’78) disponibile anche in doppio Cd. Partito il 29 marzo da San Diego, dopo aver attraversato gli Stati Uniti, toccato il Canada ed essere approdato in Europa, il 30 giugno e il 1° luglio l’Isolar 2 World Tour fa tappa all’Earls Court di Londra prima di concedersi una lunga pausa e ricominciare a correre in novembre e dicembre con le date oceaniche e asiatiche. I 2 concerti londinesi vengono filmati dall’attore e regista britannico David Hemmings (che ha già diretto Bowie nel film Gigolò) per trarne un documentario, la parte audio viene registrata da Tony Visconti col Manor Mobile Studio e dal 17 al 22 gennaio ’79 David Bowie e David Richards si occupano di selezionare i brani e mixarli ai Mountain Studios di Montreux (Svizzera). Ma la pellicola, insoddisfatto David, non vedrà mai la luce. E di conseguenza il disco.

Ma ora che Welcome To The Blackout è cosa buonissima e giustissima, orecchio alle differenze con Stage. Appurato l’invidiabile stato di forma di Bowie (in tutta evidenza galvanizzato dall’aria di casa ma via via migliorato – sia vocalmente, sia fisicamente – in 3 mesi di palco fino a raggiungere la perfezione), se Stage a livello qualitativo si dimostra al confronto ben poca cosa; cupo, impastato e (volutamente?) impersonale com’è anche a causa del puzzle sonoro dovuto ai troppi concerti “ritagliati” alla bell’e meglio (2 di Philadelphia, 1 di Providence, 1 di Boston) e degli applausi del pubblico inopinatamente cancellati, Welcome To The Blackout è il must in fatto di vibrazioni, dinamismo, coinvolgimento emotivo. A parte il rodatissimo affiatamento della band formata da Adrian Belew e Carlos Alomar (chitarre), George Murray (basso), Dennis Davis (batteria), Simon House (violino), Sean Mayers (pianoforte) e Roger Powell (sintetizzatori), è lo spessore qualitativo dei pezzi a fare la differenza con uno strepitoso Bowie a orchestrare il tutto. Sicchè fra le esecuzioni più eclatanti spiccano la portentosa, chilometrica versione di Station To Station; una trascinante Jean Genie tra blues e funkRebel Rebel sulle imprevedibili tracce del rhythm & blues; una Heroes che dal vivo non è mai stata tanto bella e intensa; TVC 15 al top della divertente leggerezza; Sound And Vision sorpresa assoluta. E in mezzo a tanto bendidìo, anche gli strumentali WarszawaSense Of DoubtSpeed Of Life e Art Decade vincono qualsiasi sfida. D’ora in poi diffidate dalle imitazioni. C’è Welcome To The Blackout.