Approfittando dell’uscita del suo libro intitolato Videomusic. I nostri Anni ‘80 (Eclettica Edizioni, € 28.50) abbiamo pensato di fare una bella chiacchierata con Clive Griffiths: pioniere, volto e voce dell’emittente televisiva privata. Dalla notorietà come VJ (Video Jockey) all’incontro con Stevie Wonder, fino alla scommessa fatta su uno sconosciutissimo Prince… vi raccontiamo l’indimenticabile decennio dei videoclip.
Come ti è nata l’idea di scrivere un libro?
«Ci pensavo da 10 anni ed ero convinto che l’avrei scritto nel giro di qualche mese. Ma la cosa è andata per le lunghe: prima ho documentato tutti i ricordi recuperandoli dal mio archivio cartaceo, poi mi sono fissato di avere la prefazione di Annie Lennox con la quale, all’epoca, ci sono stati dei simpatici battibecchi dovuti alle mie “prese in giro”, al punto che lei le ha conservate addirittura in VHS. Ho provato a coinvolgere anche Dave Stewart, ma purtroppo non ci sono riuscito. Il problema è che ci ho perso 6 anni!».
Video Killed The Radio Star. Con il senno di poi, si è verificato oppure no? E oggi come stanno le radio stars?
«In realtà non è mai successo. Anzi, quando negli anni 80 sono esplosi i video musicali (nello specifico Video Killed The Radio Star fu la prima canzone trasmessa da MTV) c’è stata la liberalizzazione delle frequenze radiofoniche e quindi sono proliferate moltissime radio. All’epoca i VJ erano ben più famosi dei DJ e dei vari conduttori radiofonici. Poter vedere la faccia delle popstar di allora ci ha sicuramente aiutati. Dopodichè, a noi piaceva esagerare travestendoci da George Michael o da Madonna: avevamo un approccio più ruspante rispetto al resto della televisione».
Clive Griffiths intervista Tina Turner
Qual è il tuo ricordo più bello legato a Videomusic?
«Trascorrere da solo 20 minuti con Stevie Wonder, l’artista a mio giudizio più interessante degli anni 70. La cosa buffa è che non ricordo di cosa abbiamo parlato, ma so per certo che la musica non c’entrava».
E il 1° video in assoluto che hai lanciato?
«Doveva essere Sexual Healing di Marvin Gaye, ma non l’abbiamo mandato in onda perché proprio quel giorno, il 1° aprile del 1984, è stato ucciso dal padre con la pistola che lui stesso gli aveva regalato. Perciò abbiamo dovuto optare su All Night Long di Lionel Richie. Abbiamo scelto fin da subito di promuovere anche la black music, che altre realtà al contrario trascuravano. Ci siamo distinti da MTV, che prediligeva il pop e il rock britannico e americano, almeno fino a quando il produttore di Michael Jackson si è messo a minacciare chi non aveva mandato in onda almeno un suo video».
Cosa ricordi del panorama musicale italiano e della dance che impazzava anche in Europa?
«Sì, in quel periodo c’era questa wave della Italo disco durata qualche anno. Nel mio libro, ad esempio, racconto di Johnson Righeira che pochi anni fa ha comprato una fattoria con i ricavi di Vamos a la Playa e oggi produce lì il suo vino. E non ricordo quanti milioni di copie ha venduto in giro per il mondo I Like Chopin di Gazebo. Certamente in quegli anni c’è stato un vero boom italiano e Videomusic è nata quando quel mondo stava per scomparire. Per quanto riguarda la musica italiana, Luca Carboni è stato il 1° artista che ha scelto di promozionarsi anziché con qualche comparsata in tv, con un videoclip che si è rivelato un grande successo. Noi, fra l’altro, nei primi mesi (per campare) abbiamo fatto un accordo per far conoscere in Italia un certo Prince. Scommettendoci su, per ogni suo disco venduto avremmo guadagnato 1.000 Lire. Non ha funzionato almeno fino a Purple Rain».
Clive, Paul Young e il VJ Rick Hutton
Com’era il vostro rapporto con Deejay Television di Claudio Cecchetto e Mr. Fantasy di Carlo Massarini?
«Tutt’altro che positivo. Era una battaglia quotidiana, per avere il primo passaggio televisivo di artisti come Madonna. Noi, allora, ci siamo accordati con i programmi inglesi che montavamo ad hoc. Ottenendo ottimi risultati».
E quando è nata MTV?
«Li abbiamo incontrati per la prima volta a un Festival di Cannes. In quel periodo cercavano di entrare nel mercato europeo e ci hanno contestato perché il nostro logo richiamava vagamente il loro. C’è stata una causa multimiliardaria: Videomusic l’ha vinta per l’Italia».
Gli anni 80 hanno visto la nascita e la crescita esponenziale dei videoclip, ma anche la visibilità globale, il 13 luglio 1985, di un evento come il Live Aid…
«Ricordo di aver fatto di tutto per raggiungere in tempo il Wembley Stadium di Londra, ma per una serie di contrattempi sono arrivato che il concerto era già iniziato».
E quindi?
«Ho pensato bene di ascoltarlo sulla BBC con qualche amico».
In mezzo a 2 AC/DC: il chitarrista Angus Young (a sinistra) e il vocalist Brian Johnson (a destra)
Che opinione ti sei fatto del consumo digitale della musica e dell’importanza raggiunta su YouTube, dove i video fanno milioni di visualizzazioni?
«L’ho scoperto di recente. Mia figlia Rebecca suona musica reggaeton, ha conteggiato qualcosa come 250.000 visualizzazioni da cui ha ricavato un piccolissimo guadagno e la cosa mi ha sorpreso. Fra l’altro, i Genesis hanno venduto il loro repertorio (anche video) per quasi 300.000.000 di dollari. Per cui, ormai, è una faccenda più che consolidata. Anzi, scrivendo il libro mi sono reso conto che sul web mancano un sacco di videoclip dell’epoca. La PFM, per farti un esempio, mi ha contattato per sapere se avessi per caso qualche sua clip. Ma purtroppo, molto è andato perduto: anche perché Cecchi Gori prima e MTV poi non hanno voluto l’archivio di Videomusic».
Ricordi il 1° disco che hai acquistato?
«L’ho vinto gratis con i punti dei corn flakes: era un singolo intitolato Come Right Back. Ma il 1° che ho comprato è stato quello dei Curved Air, band britannica di rock progressive».
Che ne pensi della riscossa dell’Lp, che sta sorpassando il Cd in quanto a vendite?
«Nel mio libro ho trattato l’ascesa e l’ormai prossima caduta del compact disc, che a differenza del vinile ha il difetto di non essere eterno. Detto ciò, il miglior strumento per la diffusione della musica è stato a mio giudizio la musicassetta».