Rivedersi senza esserci mai lasciate. È stato a dir poco emozionante l’incontro, il 22 settembre scorso al Parma International Music Film Festival, con la mia mentore Caterina Caselli. L’occasione: la proiezione alla Casa della Musica del docufilm Caterina Caselli – Una vita, cento vite diretto da Renato De Maria e da lei narrato con un’umanità straordinaria: tenace negli obiettivi da raggiungere, dolce nella sua “nascosta” timidezza, fra aneddoti e testimonianze che hanno scandito la sua esistenza. Ma anche la mia.
Quel 1° aprile del 1982 (non era un “pesce”, ve lo garantisco) ricordo di aver varcato la soglia della casa discografica Cgd in via Quintiliano 40, periferia est di Milano (il 31 agosto scorso è andato in fumo lo stabile, abbandonato dal 1998, dopo la cessione della Cgd alla Warner Music) per iniziare la mia carriera professionale negli studi di registrazione Idea Recording sotto la direzione di Gualtiero Berlinghini; e in seguito all’ufficio promozione con l’indimenticabile Antonio Nocera, scomparso prematuramente nel 1999.
Eccola, Caterina. Fa il suo ingresso nella Casa della Musica in un outfit nero (scommetto che è griffato Chiara Boni La Petite Robe, ovvero la sua amica stilista) e con simpatia esclama: «Per venire qui stasera ho messo i tacchi alti. Non sono abituata, ma sono qua sana e salva!». E sorridendo mostra i 3 gradini che le consentono di salire sul palco. Ascolto, con i lucciconi agli occhi, le sue “confessioni” alla collega Anna Pinazzi della Gazzetta di Parma. Qui, in terra d’Emilia, ha avuto inizio il suo sogno: «Un giorno, uscendo da scuola, ho notato un’insegna: Scuola di Musica del Maestro Caligari. Rientrata a casa, ho detto alla mia mamma che quella scuola avrei voluto frequentarla. La sua risposta: “Neanche per idea”. Ma io, che ero testarda, ho talmente insistito che mia zia mi ha preso sottobraccio, mi ci ha portato e da lì non ho più smesso di fare musica».
All’Orchestra del Maestro Caligari occorrono un bassista e un cantante. È l’occasione giusta: «Non ci ho pensato su due volte e pur di ottenere quel ruolo mi sono messa a studiare solfeggio, a cantare e a suonare il basso» (che abbia ispirato Victoria De Angelis dei Måneskin? Chissà…). Nel 1966 il Festival di Sanremo significava per noi bambini comprare in edicola il librettino con i testi delle canzoni in gara edito dalle Messaggerie Musicali (Lire 100, lo possiedo ancora). Quella cantante con i capelli platino, la frangettona e le movenze molto cool che intona Nessuno mi può giudicare (brano rifiutato da Adriano Celentano) fa subito breccia nel mio cuore.
Quell’acconciatura, rivoluzionaria, l’hanno creata i fratelli Vergottini nel loro salone di via Montenapoleone, a Milano, consigliati dalla moglie del direttore artistico della Cgd, Franco Crepax, fratello del fumettista Guido, l’inventore di Valentina. «Mi dicevano se non mi vergognavo ad andare in giro così, io che avevo i capelli lunghi castani». E invece è nato Casco d’Oro: «Corrado Corradi, un giornalista parmigiano che lavorava per il settimanale Sorrisi e Canzoni Tv, dopo avermi vista ha scritto un articolo chiamandomi così. Mi è andata di lusso: fra l’aquila di Ligonchio (Iva Zanicchi), la pantera di Goro (Milva) e la tigre di Cremona (Mina), a me è toccato il Casco d’Oro».
Caterina Caselli riceve il premio alla carriera alla Casa della Musica di Parma
La ragazza beat di Sassuolo cresciuta ascoltando Ray Charles, Ella Fitzgerald e i Rolling Stones, ottiene un successo travolgente macinando chilometri su chilometri: «Ho messo insieme 4 anni di viaggi e di concerti. Al mattino ero a Cosenza, alla sera a Milano. A un certo punto ero esausta, ma felice per tutto l’affetto e le emozioni che questo mestiere mi stava regalando». Quanti flash mi stanno accendendo la memoria! Stavo per compiere 10 anni, nell’estate del 1968, quando il mio amatissimo papà Adriano mi ha portato al concerto di Caterina nella piazza di Borgomanero. Allo scoccare della mezzanotte dal campanile del paese, lei si mette a intonare L’orologio… ed è pura magia.
Durante la chiacchierata, racconta gli incontri e le amicizie a lei più care: dal “fratello” Francesco Guccini alla grande soddisfazione, dopo anni di corteggiamento, di mettere sotto contratto Paolo Conte (io c’ero: era il 1984), fino al legame affettuoso con il compianto Ennio Morricone e sua moglie Maria Travia. Nel 1970 sposa Piero Sugar – figlio di Ladislao, fondatore della Cgd – e l’anno dopo nasce il suo unico figlio, Filippo: «Spesso e volentieri, dopo i concerti, mi ritrovavo da sola in albergo e mi dicevo: cosa pagherei per essere con i miei amici a mangiare una pizza come tutti gli altri… Poi è successa una cosa molto importante, che mi ha cambiato la vita: mi sono innamorata di Piero».
Io e Caterina
Me lo ricordo bene il signor Sugar che ci ha lasciati la scorsa estate. Era distinto ed elegante. Un vero signore dai modi gentili, verso noi dipendenti. Un mio pensiero va anche al piccolo Filippo che talvolta, di ritorno da scuola con il suo compagno americano, veniva in ufficio e saltellava curioso fra le nostre scrivanie raccontandoci la sua giornata. Caterina lascerà la sua carriera, nel pieno del successo, per dedicarsi alla famiglia. Ma il richiamo della musica, alla fine degli anni 70, la riporterà all’interno dell’organigramma della Cgd: più di 400 dipendenti, una vera e propria cittadella completa di studi di registrazione, bar, mensa aziendale, teatrino, sportello bancario.
Lo farà contro la diffidenza di quei dirigenti “maschi” (tranne il marito e il suocero, che hanno sempre creduto in lei) abituati a far fatturato con artisti del calibro dei Pooh, di Ornella Vanoni, di Massimo Ranieri, di Gigliola Cinquetti. In poco tempo, attraverso le sue etichette discografiche Ascolto e Insieme, si dimostrerà un’ineguagliabile scopritrice di talenti: il conterraneo Pierangelo Bertoli, Faust’O, Franco Fanigliulo, gli Area, Mauro Pagani…
I miei favolosi anni 80, con lei, mi hanno insegnato a mettermi a disposizione degli artisti in ogni forma d’arte, per dare loro la maggior visibilità possibile. Oggi Internet offre molto, ma toglie il bello della realtà: «Io resto analogica», ha tenuto a precisare Caterina, «perchè il talento ha bisogno di tempo. Essere digitale è troppo veloce». Un meritatissimo premio alla carriera ha concluso in bellezza la serata. Glielo hanno consegnato la coordinatrice Eddy Lovaglio e il direttore artistico Riccardo Moretti. E lei si è congedata dal pubblico parmigiano con una battuta: «Adesso sì che mi potete giudicare! Ma siate buoni…». Grazie Caterina, per il caloroso e sincero abbraccio che mi hai riservato dietro le quinte. Indimenticabile.