Per ogni chef che realizza il suo top menù, cucinare è un’esperienza sensoriale. Tutti e 5 i sensi – vista, udito, gusto, tatto e olfatto – vengono coinvolti nella percezione del cibo. Perciò, mangiare è la consuetudine più gratificante: alla ricerca del benessere e del compiacimento personale.

Gian Michele Galliano ama definirsi “autodidatta” per una passione, la cucina, nata in tenera età frequentando le grandi maison francesi. Viene però “smorzata” dalla laurea all’Accademia di Belle Arti di Cuneo con specifica in urbanistica e design d’interni, che darà in seguito quella cifra stilistica tipica dei suoi piatti. Ma la passione gastronomica è troppo forte: Galliano inizia lavorando al ristorante Al Rododendro di San Giacomo di Boves, in provincia di Cuneo, con la chef Mary Barale; si appassiona di pasticceria e frequenta corsi alla CAST Alimenti di Brescia con i maestri Biasetto, Tonti, Magni, Bau. Successivamente apre il Valentine nel paese montano dov’è nato, San Giacomo di Roburent (CN). Nel tempo, l’amicizia con chef del calibro di Bruno Barbieri, Walter Einard, Valeria Piccini, Luca Montersino, Alfonso Caputo, Gaetano Trovato ed Emmanuel Renaut, ha modo di formarlo ancora di più dal punto di vista professionale.

Euthalia (in greco “fiore che sboccia”, ma anche la passeggiata in montagna fra boschi, licheni e abeti in quel Monregalese che è terra di confine tra le Langhe e la Francia) è il nome che Gian Michele Galliano ha scelto per il suo ristorante a Vicoforte. Dal piccolo aperitivo fatto di prato, pane con acciughe e burro d’alpeggio servito con un infuso al rapanello con pompelmo candito, fino al pane che sa di fieno e alla piccola pasticceria, tutto viene personalmente curato da lui, autore di una cucina territoriale che affonda le radici nell’ambiente montano.

Cosa stimola la vista nella tua cucina?
«Lo stimolo sensoriale è fondamentale in qualunque tipo di interazione: sia umana con i propri collaboratori, sia lavorativa con oggetti inanimati come avviene in cucina. La vista è il senso più diretto, il più immediato. Infatti moltissime persone sono più visive rispetto all’essere auditive o cinestesiche. In cucina troviamo uno sfogo direi praticamente infinito alla vista: sia nella creazione di un piatto dove i colori, le forme, le linee, le altezze ci consentono di dare sfogo alla nostra creatività; sia nell’interazione con la brigata dove possiamo cogliere gli stati d’animo, le soddisfazioni, gli eventuali problemi nell’esecuzione del lavoro, la gioia verso il positivo o il rammarico se qualcosa è andato storto. La vista è anche il primo senso che viene stimolato nell’ospite quando il piatto viene presentato in sala».

Cosa sollecita l’udito nella tua brigata?
«Ironicamente potrei dire che in una cucina il silenzio è d’oro! Ma è davvero importante che in una brigata, più essa è grande più vi sia questa necessità. Ed è per questo che le cucine più affollate sono anche le più silenziose. Così gli ordini impartiti vengono recepiti all’istante e il servizio può proseguire come un orologio svizzero. Ma non solo: lo sfrigolare di una padella, il ribollire di una pentola, lo scoppiettio di una friggitrice, sono fondamentali segni di una corretta lavorazione, di una temperatura perfetta che porta a una cottura impeccabile».

Come provochi il gusto nell’ideare un menù?
«La cucina è gusto. Imperativo. Anche se le nuove tendenze vedono l’effetto “WOW” come un elemento quasi di vitale importanza nelle proposte del ristorante, così come l’estrema coreografia di matrice tipicamente spagnola, trovo impensabile creare un piatto, un menù, un proprio stile di cucina non donando la priorità maggiore al gusto. L’Italia è patria di una cucina che ha radici storiche, fissate nel nostro Dna proprio attraverso il gusto; memorie di tradizioni tramandate e radicate nel territorio da cui proveniamo. Il nostro vissuto è quello che trasmettiamo nel piatto. Ed è proprio qui l’imperativo di far conoscere agli altri (soprattutto a coloro che provengono da altri luoghi e culture) il gusto della nostra storia. In modo dinamico, il gusto viene provocato attraverso contrasti, acidità, dolcezza, leggera amarezza, sapidità… Il tutto in un gioco di sottili equilibri, permettendo al palato di saltellare allegramente fra questi elementi senza mai annoiarsi. In un piatto così, come in un intero menù».

Cosa percepisce il tatto nell’esecuzione di un piatto?
«Tanti cuochi, oggi, utilizzano in cucina i guanti. Personalmente preferisco lavarmi più volte le mani prima di iniziare e durante il lavoro, proprio perché non tollero il loro impiego. Impossibile poter sentire la setosità di una pasta fresca, l’umidità di una carne o di un pesce, il calore di una preparazione (ricordiamoci sempre che noi siamo il primo termometro in cucina). E poi il contatto con gli ingredienti è poetico! Basti pensare che molti ristoranti propongono piccoli assaggi o addirittura interi piatti da mangiare con le mani. È come ritornare bambini con il dito nella marmellata! Bellissimo».

Come scateni l’olfatto al mercato?
«Anche se credo fermamente che tutti i 5 sensi siano fondamentali nel nostro lavoro, l’olfatto lo ritengo se non al primo, al secondo posto in classifica. Il profumo è inebriante. Quante volte girando per un mercato, andando da un produttore, semplicemente camminando mi sono sentito come in un cartone animato, mentre cercavo di seguire la scia lasciata da un particolare profumo… Un primo input è proprio questo senso a darlo, facendomi capire se qualcosa è buono o no. Rarissimo, anche se non impossibile, trovare qualcosa di profumato e non buono».

Qual è il tuo piatto che esalta di più i 5 sensi?
«Da pochissimo, ma dopo quasi 2 anni di lavoro, ho inserito in carta L’Alpeggio. In questo piatto sono riuscito a racchiudere tutti e 5 i sensi. È un lavoro legato alla mia zona d’origine, incentrato su ciò che si può trovare girando nei nostri alpeggi. Da qui i formaggi: alcuni lasciati in purezza, altri elaborati creando nuove strutture tattili per il palato. Latte crudo appena munto che ancora profuma dei fiori e delle erbe mangiati dalle mucche, trasformato e reso croccante, in pelle e in zolle gelate, infusioni di fieno e legno. Il tutto presentato sotto una campana di vetro dove, dopo molte prove, sono riuscito a creare un vapore al profumo, appunto, di Alpeggio che viene fatto annusare al cliente prima di iniziare la degustazione».

Una ricetta semplice e veloce da preparare con i consigli dello chef Galliano?

Risotto alle nocciole Piemonte, limone, cacao

Ingredienti per 4 persone: 280 gr. di riso Carnaroli, 60 gr. di nocciole Piemonte tostate, 60 gr. di burro, 20 gr. di Grana Padano DOP dolce, 1 limone Bio, cacao amaro in polvere q.b., sale q.b., pepe q.b.

Procedimento

Lasciate il burro a temperatura ambiente per 1 ora circa, in modo da renderlo morbido. Frullate in un cutter le nocciole fino a renderle una crema, unite burro, formaggio grana, pochissimo sale e pepe e continuate a frullare fino a ottenere una crema omogenea che farete solidificare in frigo. Tostate a secco il riso in un tegame, bagnatelo con acqua calda e portatelo progressivamente a cottura “al dente”. Mantecate fuori dal fuoco il risotto con il composto di burro e nocciole ormai solido e una grattugiata di buccia di limone fresca. Stendete il risotto in un piatto piano, spolveratelo ancora con un po’ di buccia di limone e poco cacao in polvere.

Utilizzate di preferenza nocciola Piemonte tonda gentile IGP e tostatela molto, così da permettere un maggior sviluppo di aromi. Lavorate con limoni Bio e prelevate solo la parte gialla della buccia, tralasciando quella bianca in quanto troppo amara. Usate se possibile burro di malga dolce e lasciate riposare il composto preparato almeno 12 ore in frigo, così da creare osmosi fra tutti gli ingredienti. Se ne siete provvisti sostituite il sale comune con fior di sale in scaglie (di maggior qualità) e usate pepe di mulinello anziché quello già macinato, meglio se bianco.

Foto: Plin di anatra all’arancia, caffè e cardamomo
Sfoglie di zucca, erbe e pane
Baccalà, carciofi ed eucalipto
Rosa, lampone e cioccolato bianco
© Euthalia