Per ogni chef che realizza il suo top menù, cucinare è un’esperienza sensoriale. Tutti e 5 i sensi – vista, udito, gusto, tatto e olfatto – vengono coinvolti nella percezione del cibo. Perciò, mangiare è la consuetudine più gratificante: alla ricerca del benessere e del compiacimento personale.

Nato a Castelmartini (PT) nel 1979, Enrico Bartolini si diploma all’Istituto Professionale Alberghiero F. Martini di Montecatini Terme. La sua non è una famiglia di ristoratori, ma sviluppa una forte passione per il cibo e l’alta cucina che lo porta a perfezionarsi a Parigi e Londra nelle cucine di grandi maestri. Ma è in Italia che Enrico porta a termine il suo percorso formativo sotto la guida di Massimiliano Alajmo. Nel 2005 prende in gestione il Ristorante Le Robinie, nell’Oltrepò Pavese, dove nel 2008 conquista la prima stella Michelin. Nel 2010 si occupa del Devero Ristorante e del Dodici24 Quick Restaurant, nell’omonimo Hotel di Cavenago Brianza (MI) dove 2 anni dopo conquista la seconda stella Michelin e arricchisce il palmares con i 3 cappelli de l’Espresso e le 3 forchette del Gambero Rosso. Nel 2016 inaugura il Ristorante Enrico Bartolini al 3° piano del MUDEC, il Museo delle Culture di Milano, gestendo anche il bar-bistrot; apre il Casual Ristorante a Bergamo (Città Alta); gestisce la ristorazione del resort L’Andana di Castiglione della Pescaia (GR) occupandosi sia del Ristorante La Villa, sia della Trattoria Toscana che ribattezza La Trattoria Enrico Bartolini; apre il Ristorante Glam a Venezia, all’interno del luxury hotel Palazzo Venart. In poco più di 6 mesi si aggiudica 4 stelle Michelin: 2 a Milano, 1 a Bergamo, 1 a Castiglione della Pescaia. A fine 2017 arriva la quinta, a Venezia. Nel 2018 è la volta della Locanda del Sant’Uffizio di Cioccaro di Penango (AT), ristorante fine dining nel Relais Sant’Uffizio, insignito della prestigiosa stella dalla Guida Michelin 2019. E che Bartolini sia più che mai lo chef pluristellato d’Italia è la Guida Michelin 2020 a proclamarlo con 2 stelle al Glam veneziano, ma soprattutto 3 al MUDEC milanese.

Cosa stimola la vista nella tua cucina?
«Abbiamo vissuto un periodo in cui l’anaformismo (vale a dire la destrutturazione e la ricostruzione di un prodotto o di un ingrediente in un’altra consistenza) era spesso presente nei nostri piatti. Oggi abbiamo ancora in carta La Melanzana moderna e L’albero di arance. Credo che la vista sia insieme al palato un senso fondamentale nell’esperienza gastronomica, non solo riferito a ciò che mangiamo ma anche all’arredamento, alle luci, alla mise en place e di conseguenza ai piatti intesi come “contenitori”: quindi scegliamo sempre porcellane molto belle e particolari che possano esaltare al massimo il contenuto. Nella creazione di un piatto non è il primo aspetto che considero, ma ne tengo conto. Credo che la natura ci offra colori bellissimi nella miriade di ingredienti che possiamo utilizzare in cucina… e un cuoco non ha che da valorizzare questi meravigliosi cromatismi senza appiattirli».

Cosa sollecita l’udito nella tua brigata?
«Anticamente le cucine erano luoghi molto rumorosi: fra pentole e cappe aspiratrici, il rumore faceva parte dell’adrenalina della brigata. Oggi, per fortuna, gli ambienti sono più silenziosi e l’attenzione di tutta la brigata è molto più concentrata. A volte è sufficiente uno sguardo per intendersi e anche per dare i “comandi”, dal pass alle varie partite».

Come provochi il gusto nell’ideare un menù?
«Un menù è fatto di tanti piatti e in ognuno di essi c’è l’esperienza e la storia personale di chi l’ha creato. A volte il gusto nasce dal desiderio di mangiare un ingrediente. Ogni cuoco ha un palato, un’esperienza e un team che condiziona il sapore di un piatto. Molto dipende anche dalla tecnica di cottura che ovviamente influenza il gusto e il risultato di una pietanza: le ricette vanno cucinate e in base al modo con cui un ingrediente viene cucinato, cambia il sapore».

Cosa percepisce il tatto nell’esecuzione di un piatto?
«Gli ingredienti sono tutti preziosi perché frutto della natura e il non trattarli o il non conservarli adeguatamente determina il risultato di un piatto. Pensiamo a una “semplice” foglia d’insalata: una cosa e coglierla al mattino presto, ancora bagnata dalla rugiada e con le prime luci dell’alba; altra cosa è coglierla a mezzogiorno sotto il sole a picco. Oppure usare un pomodoro che è stato chiuso al buio in frigorifero per 3 giorni. Ogni ingrediente va trattato con cura. Nel momento in cui lo tocchiamo per utilizzarlo in un piatto, insieme alla vista, capiamo subito se quell’ingrediente è buono da cucinare. Una volta ho conosciuto una signora siciliana quasi cieca che tastava le alici per scegliere quelle migliori da mettere sotto sale. Ogni individuo sviluppa un proprio senso del tatto».

Come scateni l’olfatto al mercato?
«Ci sono varie tipologie di mercati e ognuna ha profumi e odori differenti. Ogni ingrediente viene portato al naso per provare piacere, non per provarne la qualità o la freschezza: l’emotività che si manifesta all’olfatto deve essere piacevole. Oggi purtroppo è molto difficile, per esempio, trovare frutta che non sia trattata e quindi solo tagliandola si riesce a percepirne il profumo. Quando termino un piatto lo annuso profondamente da vicino e a occhi chiusi così da ripercorrere le sensazioni che avrà l’ospite. Su alcune pietanze vaporizziamo profumi alimentari che esaltino, appunto, ogni profumo».

Qual è il tuo piatto che esalta di più i 5 sensi?
«Non ho pietanze in particolare che li esaltino tutti e 5 insieme. Penso che l’accoglienza iniziale che dedichiamo ai nostri ospiti possa essere un compendio. Infatti serviamo come benvenuto una serie di “stuzzichi” che appagano i sensi: dal coordinamento dei colori ai vari profumi, fino all’utilizzo del tatto perché alcuni si mangiano con le mani come il nostro pane fatto in casa con il burro aromatizzato al lampone o al tè verde. Ecco, allora, la gestualità di rompere il pane con le mani (cosa che dice anche il galateo, fra l’altro), toccare la crosta e la  morbida mollica, sentirne il profumo, spalmare il burro, mordere il pezzetto di pane e gustarlo. È un gesto naturale, ma che coinvolge tutti i sensi».

Una ricetta semplice e veloce da preparare con i consigli dello chef Bartolini?

Risotto alle rape rosse e salsa gorgonzola

Ingredienti per 4 persone: 320 gr. di riso Carnaroli, 160 gr. di purea di rape rosse, 100 gr. di burro, 80 gr. di grana padano, 1.2 lt. circa di brodo vegetale, 100 gr. di gorgonzola dolce, 50 gr. di vino bianco, sale.

Procedimento

Tostate il riso in pochissimo burro, bagnate con il vino bianco e lasciate sfumare. Aggiungete il brodo, il sale e cuocete per 11 minuti circa, non di più. Togliete dal fuoco e mantecate con burro, grana padano, la purea di rape rosse molto fredda e se il gusto lo richiede qualche goccia di limone. Quando sarà ben cremoso stendete nel piatto sopra il gorgonzola, prima fuso a bagnomaria con poco latte, poi schizzato con l’aiuto di un cucchiaio.

Foto: Ristorante Enrico Bartolini, MUDEC, Milano, © Francesco Mion
Bottoni di olio e lime al sugo di cacciucco e polpo arrosto