Nell’ambito della manifestazione Estate al Parco della Musica, organizzata dal Teatro Regio di Parma e La Toscanini, la produzione della MM Contemporary Dance Company ha portato in scena 2 grandi titoli del repertorio classico nell’interpretazione di altrettanti coreografi italiani, Emanuele Soavi (da anni attivo in Germania) e Michele Merola (direttore artistico della compagnia). Lo spettacolo ha offerto la rivisitazione di 2 celeberrime opere musicali, già rappresentate da grandi artisti contemporanei: basti ricordare Mats Ek per la Carmen e Maurice Béjart per il Boléro.

Si accendono i riflettori sul palcoscenico, le cicale la smettono di frinire, una scenografia total black e al centro un paravento flessibile nelle sue fitte pieghe, che introduce i primi 2 ballerini mentre si muovono al ticchettìo di un orologio. La coreografia ribalta il classico schema: salire sul gigantesco tavolo rotondo, circondato da ballerini, e al centro il solista che scandisce con le movenze del corpo il ritmo ossessivo e ripetitivo dell’opera. Sono tanti i danzatori che hanno cercato di salire su quel tavolo rosso del BoléroRoberto Bolle ci è riuscito 2 anni fa al Teatro alla Scala di Milano: e la sottoscritta ha avuto il privilegio di assistere alla sua sublime performance.

Danza dalla travolgente intensità fisica ed emotiva, il Boléro composto da Maurice Ravel (1875-1937) andò in scena il 22 novembre 1928 all’Opéra Nationale de Paris. «È una musica troppo conosciuta e tuttavia sempre nuova, grazie alla sua semplicità», ebbe modo di dichiarare Maurice Béjart (1927-2007), creatore nel 1961 di una delle versioni coreografiche più riuscite.

«Una melodia che si avvolge instancabilmente attorno a sè, aumenta di volume e di intensità, divorando lo spazio sonoro e inghiottendo alla fine se stessa». Melodia indiscussa protagonista, che il danzatore e coreografo francese affidò a una danzatrice o a un danzatore sul tavolo, facendo interpretare il ritmo da un gruppo di ballerini ai suoi piedi.

La MM Contemporary Dance Company ne ha realizzata una nuova versione, dove ai colori neutri (nero all’inizio, bianco nel finale) spetta il compito di fasciare i corpi nelle flessuose movenze dei 7 interpreti che tutti insieme, nell’apoteosi finale, fuoriescono dalle pieghe del paravento.

Il corpo di ballo composto da Emiliana Campo, Dylan Di Nola, Lorenzo Fiorito, Fabiana Lonardo, Annalisa Perricone, Nicola Stasi e Giuseppe Villarosa, ha portato in scena virtuosismo e tecnica rappresentando al meglio l’emotività del singolo individuo, della coppia e del gruppo. Nel suo personale Boléro, il coreografo ha rappresentato la nostra esistenza in un mondo assurdo, dove la danza è un’allegorìa del dolore di vivere e dell’incomprensione fra gli esseri umani. Un plauso, davvero, a tanta sensibilità.

Da un dramma esistenziale, al dramma della gelosia della Carmen di Georges Bizet (1838-1875). L’esclusiva coreografia di Emanuele Soavi è coerente nella bizzarra mise-en-scène della sua Carmen Sweet. Ricoperti di polvere, confusi nei loro vizi, i protagonisti inscenano nell’immaginaria Plaza de Toros di Siviglia gli intrecci amorosi di Carmen con il torero Escamillo e il rivale Don José. Fluttuano con gli altri personaggi (Micaela, Frasquita, Mercédès e l’Ufficiale Superiore Zuniga), che si presentano al pubblico con i cartelli come avviene sui ring pugilistici. E assumono una sarcastica identità gli scarni costumi balneari indossati dal corpo di ballo femminile, in particolare quando fra le note di Bizet s’insinua a sorpresa la canzone anni 40 Historia di un amor dei Los Panchos, trio messicano/portoricano.

Ironia e sventura donano bellezza fisica ai corpi danzanti. D’altronde, la narrazione delle scene viene scandita dalle relazioni fra i sensi, che infiammano a ripetizione la passionale storia di Escamillo e Carmen. Lo sventolar dei ventagli inneggia al Toreador, mentre la ballerina indossa l’immancabile abito rosso di Carmen (attuale codice colore contro la violenza sulle donne) nell’atto finale, ovvero la propria morte inflitta dall’innamorato respinto. Un plauso a quel dolceamaro in bocca.

(un grazie speciale a Umberto Vitali)

Foto: Roberto Ricci / Teatro Regio di Parma