Era l’uomo col cappello di feltro, il tedesco Joseph Beuys (1921-1986). Ma lo sciamanico performer che ricercava l’armonia assoluta fra l’uomo e la natura (sono certo che avrebbe plaudito le battaglie ambientaliste di Greta Thunberg, condividendole insieme a lei) non sarebbe diventato tale se non avesse attribuito al feltro un valore taumaturgico.

«Furono loro a trovarmi nella neve dopo l’impatto, quando le pattuglie di ricerca tedesche si erano ritirate», ha avuto più volte modo di raccontare. «Nonostante fossi privo di sensi e ferito alla testa e alla mascella, ebbi la percezione di voci che pronunciavano la parola “voda” (acqua) e dell’odore pungente di formaggio, latte e grasso con il quale cosparsero il mio corpo. Per rigenerarne il calore, poi, mi avvolsero nel feltro». Si riferiva, Beuys, ai nomadi tartari che in Crimea, il 16 marzo 1944, gli avevano praticato una medicina sciamanica “di ricostruzione” dopo che il suo Stuka J-27 era stato abbattuto dai caccia russi. Fu dunque il feltro a salvargli la vita, traducendosi in materia più che ricorrente nelle sue opere concettuali.

Joseph Beuys, 1980
© Digne M. Marcovicz

Anzitutto Felt Suit (1970), l’abito di feltro che funge a tutti gli effetti da autoritratto beuysiano; e poi Infiltrazione omogenea per pianoforte a coda (1966), con lo strumento incappottato dentro uno strato di feltro grigio tale da ridurlo al silenzio e la croce rossa a “tatuare” le potenzialità terapeutiche del materiale; il multiplo a tiratura illimitata Filzpostkarte (cartolina postale di feltro) datato 1985; I like America and America likes me, performance fra le più note messa in scena nel maggio del 1974 alla René Block Gallery di New York.

Ferreo oppositore del conflitto in Vietnam, quando atterra al John F. Kennedy International Airport Joseph Beuys si fa trasportare in ambulanza fino alla galleria d’arte. È avvolto in una coperta di feltro, poiché non vuole assolutamente toccare il suolo americano. Giunto a destinazione, nascosto dalla coperta e con un bastone da pastore in pugno, si accuccia al centro di una sala recintata e si mette sciamanicamente in scena insieme a un coyote, simbolo dei nativi americani sterminati dai colonizzatori europei.

Già, l’Europa. Attraversata più e più volte: come nel 1982, a Documenta 7, quando impugna una pala davanti al Museo Fridericianum di Kassel e si accinge ecologicamente a piantumare le prime di 7.000 querce. Fra il 1971 e il 1985, le sue azioni dirompenti si concentrano invece su Napoli e sull’Italia. Sicchè Beuys e Napoli è il titolo dell’esposizione che a 100 anni dalla nascita rende omaggio all’uomo col cappello di feltro nel fascino monumentale di quella Casa Morra, ospitata a Palazzo Cassano Ayerbo D’Aragon, che complice il suo creatore Giuseppe Morra riesce ogni volta a cogliere il potenziale eversivo delle avanguardie internazionali.

In mostra, fra i materiali d’archivio, gli scatti fotografici di Gerardo Di Fiore che documentano il blitz di Beuys nell’azione Hic Sunt Leones (1972) del collettivo Galleria Inesistente, esempio della vitalità artistica e culturale che ha caratterizzato Napoli fra gli anni 60 e 70. E ancora, un’accurata selezione di multipli intesi come “sculture sociali” chiamate a dare forma alla creatività dell’individuo: ad esempio la Rose für Direkte Demokratie (1973), con quell’inconfondibile rosa scarlatta infilata in un cilindro graduato di vetro, a simboleggiare l’amore romantico e il Socialismo Internazionale; o come l’olio d’oliva firmato, stampigliato Difesa della Natura e imbottigliato dall’Azienda Agricola Barone Durini. Le fotografie inedite di Vettor Pisani, testimoniano invece lo storico contributo a Documenta 5 (1972), dove per 100 giorni Beuys allestì in quel di Kassel l’ufficio per l’Organizzazione per la Democrazia diretta tramite Referendum.

Infine, chiude il percorso espositivo la Stanza Beuys in cui campeggia la scritta Difesa della Natura, questa volta riferita a Bolognano, provincia di Pescara, dove il 13 maggio 1984 l’uomo col cappello di feltro inaugurò uno spazio di discussione pubblica sui temi della difesa della natura e della creatività individuale.

E soffermandosi sulle tappe partenopee, si inizia da Capri (settembre 1971), dove su invito del gallerista Lucio Amelio l’artista tedesco mise a punto la partitura La Rivoluzione Siamo Noi; e si finisce idealmente col memorabile incontro napoletano (aprile 1980) fra Joseph Beuys e Andy Warhol, fra Concettualismo e Pop Art, destinato a sfociare nella mostra blockbuster intitolata Beuys by Warhol.

Beuys e Napoli
Fino al 13 novembre 2021, Casa Morra – Archivio d’Arte Contemporanea, Salita San Raffaele 20/c, Napoli
tel. 0815641655

© Amedeo Benestante
Courtesy Fondazione Morra