Progressive. Etichetta inventata negli anni 70 da chissà chi, per definire una musica che non si poteva definire (che poi questa manìa di definire, spiegare l’Arte, che senso ha?). Questa “label” veniva applicata un po’ a casaccio a varie band europee che facevano musica “altra” – certo diversa – utilizzando stilemi lontanissimi dal pop melenso e dal rock riciclato di quegli anni. D’altronde, quelli erano anni aperti e pronti alle novità, quando il pubblico aveva orecchie e le usava. In Italia – in provincia, perché non poteva essere che così – letteralmente in una stalla nei dintorni di Marino sui verdi colli dove le fontane versano vino, si rivelò un’alchemica mistura di uomini e musica. Accadeva, era usanza in quei tempi lontani, che la musica la facessero i musicisti: concetto che oggi può far sorridere. E che i suddetti avessero spesso alle spalle solidi e lunghi anni di studi classici. Sarà stato il vino, il “profumo” di stallatico, le solide radici territoriali, il fatto di essere musicalmente ed effettivamente alla periferia del mondo… Avrà inciso il carattere ferocemente caparbio dei fratelli Nocenzi, 2 facce “gianesche” della stessa medaglia… Il fatto è che inventarono un nuovo modo di comporre e di eseguire, dove le parole pensate e cantate con grazia violenta da un orco gentile di nome Francesco Di Giacomo (1947-2014) penetravano l’anima.
Da allora è trascorso mezzo secolo e il Banco del Mutuo Soccorso poteva essere scomparso, o peggio ancora destinato a una triste, lunga agonìa di riciclaggio di antichi successi come ahinoi capita a molti protagonisti di quell’epoca irripetibile. Sarebbe potuto accadere, se consideriamo l’elenco di tragedie che si sono abbattute sul Banco in poco tempo: decimato e colpito al cuore negli affetti e nel senso stesso della propria esistenza. Sarebbe stato così, se non avessimo potuto contare sulla straordinaria “resilians” di Vittorio Nocenzi, anche lui sopravvissuto a gravissimi problemi personali. Conoscendolo, non fatico a immaginarmi la scena sulle rive dello Stige strappando di mano il remo a Caron Dimonio e dicendogli: «Vai avanti tu, io resto da questa parte!». Quest’uomo, questo guerriero omerico, ci riservava invece una sorpresa: decideva di salire a bordo della Transiberiana e di avventurarsi per nuove lande sconosciute, misteriose, inaspettate.
Transiberiana. Il disco
Ricevo il Cd, avrei preferito il vinile per una maggior facilità di lettura ma sarebbe stato inutile, avendo dato in beneficenza da molti anni il mio impianto Hi-Fi. Prima dell’ascolto vorrei leggere i testi, ma prima ancora parlare dell’involucro, la “cover”: così importante negli anni 70 e così spesso, inutilmente decorativa, oggi. Mario Valerio Nocenzi ha brillantemente immaginato un “momento-memento” di quella notevole e futurista opera foto-grafica di Cesare Monti (1946-2015) che inventò il celebre salvadanaio creando un logo indelebile per il Banco.
Leggo i testi, prima rapidamente, poi torno su alcuni passaggi e trovo che l’arrivo di Paolo Logli, scrittore e regista di cinema e teatro, sia fondamentale: anzi, di più, trattandosi di un disco-titolo dal tema obbligato. La collaborazione di Vittorio con Paolo ha dato vita a una nuova scrittura: moderna, nervosa, incisiva, che si sposa ritmicamente in modo perfetto con gli indemoniati ritmi dispari tanto cari al BMS.
Ascolto il disco e sarò breve: è una “master class” sulla composizione, l’esecuzione, la produzione. Poichè quando si sa cosa si sta facendo, non servono grandi mezzi ma grandi idee. Transiberiana è “terapeutico”, nel senso che può servire a far riflettere molti moderni “operatori culturali” su quanto conti la “vis” artistica “versus” il nulla assoluto. Lunga vita a Re Vittorio, dunque. E benvenuto al “piccolo” Principe Michelangelo, cui è facile predire future cavalcate in foresta.
Banco del Mutuo Soccorso – Transiberiana (Inside Out/Sony Music)
Foto: Banco del Mutuo Soccorso
Vittorio Nocenzi