Attraverso i personaggi delle sue stupefacenti “stories ” che dal 1979 incantano il pubblico nei teatri di tutto il mondo, Arturo Brachetti (torinese, classe 1957) non solo è il cronista del nostro tempo ma anzitutto l’artista dei primati, inserito nel Guinness Book of Records come il più prolifico e veloce trasformista. Tutt’ora imbattuto: riesce infatti a cambiarsi d’abito in soli 20 secondi, mi ha dichiarato. E io penso, con un pizzico d’ironia, che potrebbe addirittura essere il “mentore” dei politici di oggi, che cambiano bandiera in 1 nanosecondo.

Si è guadagnato a pieno merito il Premio Molière (corrispondente francese del Tony Award) e il Laurence Olivier Award (riconoscimento artistico britannico); è stato insignito Cavaliere delle Arti e del Lavoro dal Ministro della Cultura francese, nonché Commendatore da Giorgio Napolitano, l’ex Presidente della Repubblica.

Dopo averlo più volte rincorso a Parigi (il suo spettacolo era perennemente sold out e i francesi, si sa, sono individualisti e perciò Brachetti era cosa loro, in terra loro e io non sono riuscita a intercettarlo) finalmente l’ho raggiunto al telefono in una tappa della sua tournée che dura ormai da 6 anni.

Arturo Brachetti
© Paolo Ranzani

Funambolico Arturo, cosa metti in scena nell’edizione 2023 di SOLO – The Legend of Quick-Change?
«Più di 60 personaggi inediti, in gran parte ideati per l’occasione, che appaiono agli spettatori in un ritmo incalzante. Questo show è anche un viaggio nella mia storia: apro la porta di una casa immaginaria attraverso le mie discipline artistiche. I classici, ovvero le ombre cinesi, il mimo e la chapeaugraphie, tecnica nata in Francia nel ‘700 che consente di creare personaggi con la gestualità di un copricapo con un buco al centro; la poetica sand painting, ossia l’arte di dipingere quadri con la sabbia e l’utilizzo del magnetico raggio laser, videomapping che integra immagini e scenografie animate».

Nessuna new entry?
«Questo giro è protagonista La casa di carta, l’iconica serie tv spagnola. Ho stampato su un rotolo di carta igienica banconote da 55 Euro, le ho firmate e le mitraglio sul pubblico che impazzisce pur di riuscire a impossessarsene».

Come le banconote di Banksy?
«Altrochè. Lo Stage Money Museum americano, che raccoglie falsi dollari e quant’altro, me le ha addirittura richieste!».

Come riesci ad assemblare e a evolvere le varie discipline che interpreti?
«Mi stimola qualunque cosa, basta che sia curiosa e spettacolare. Nel mio spettacolo cerco di mettere ciò che a priori ha meravigliato me stesso. In 90 minuti, ogni 20 secondi c’è una sorpresa, frutto delle sinossi concepite dalla mia testa. Ma quando affermo che metto in scena tutto quello che so fare, non è vero. Prova ne sia che durante il lockdown ho imparato con molta pazienza la tecnica di dipingere al contrario».

Non mi dirai che sei anche pittore…
«Ho frequentato l’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino, non l’ho conclusa eppure 20 anni dopo mi hanno consegnato la laurea ad honorem. Amo disegnare le scenografie e schizzare i costumi, che a sua volta la costumista perfeziona prima di passare in sartoria».

Hai lasciato a suo tempo l’Italia per la Francia. Cosa hai messo in valigia?
«I 6 costumi che avevo messo in scena al Seminario di San Filippo, a Chieri, quando a insegnarmi i giochi di prestigio era il salesiano Don Silvio, il Mago Sales: una valchiria, una donnina inizio ‘900 e una degli anni 30, 1 direttore del circo, 1 frac bianco e 1 frac nero. Fra l’altro, la valchiria aveva tra le ali uno stemma sabaudo: è con quel costume che sono passato all’audizione nel tempio del varietà, il Paradis Latin di Parigi».

Perché hanno scelto proprio te?
«All’epoca non c’era nessuno al mondo che faceva numeri di trasformazione in velocità».

Tu e Paolo Conte siete i miti del pubblico francese…
«Siamo entrambi piemontesi. C’è poi da dire che i parigini, come i londinesi, hanno un “blasé ” molto alto: sono abituati a vedere ogni anno tanti spettacoli di ogni genere (dalla danza al teatro, dal rock all’opera lirica) con i più grandi artisti internazionali. Inevitabilmente l’asticella si alza».

Come sei riuscito a conquistare definitivamente la Ville Lumière?
«Sorprendendola nel 2000 con il mio One Man Show : ci sono rimasto per quasi 6 anni. Mi consolo, se penso che mi hanno immortalato come un Dorian Gray eternamente 50enne nello storico Museo Grévin: una statua di cera che, beata lei, non invecchia mai e grazie a uno speciale meccanismo ruota su se stessa come il giorno e la notte e ogni ½ minuto cambia d’abito».

Quand’ero bambina, ricordo il mimo Marcel Marceau e Macario. Tu invece?
«Ho avuto il piacere di assistere a 3 spettacoli del leggendario Marceau, mentre dal mio concittadino Macario ho fatto un provino poco prima di decidere di partire per Parigi. Ha cercato di disilludermi, ma non c’è riuscito. Sono indimenticabili anche i Gufi in calzamaglia nera e Paolo Poli, con i suoi personaggi teatrali e televisivi».

Te lo ricordi il 1° trasformismo messo in scena nel teatrino del seminario?
«Avevo 15 anni e interpretavo una strega che beveva una pozione magica e si trasformava in una “bella donna”: tra virgolette, perché mi truccavano le suore dandoci talmente dentro di pennello e rossetto che sembravo una prostituta minorenne. Poi, in un lampo, indossavo un mantello per ritornare il ragazzo che ero. A quel punto, gli illusionisti del Club Magico (il più antico di Torino) mi hanno chiesto se conoscevo l’arte di Leopoldo Fregoli, il massimo trasformista di tutti i tempi. In realtà non ho trovato alcuna spiegazione dei suoi trucchi e di conseguenza me li sono inventati».

L’arte ti ha salvato a non diventare prete, o sei un missionario del trasformismo?
«Mi ha salvato dalla timidezza e dal fatto che ero una schiappa a pallone. Grazie al teatro non sono più timido, ho trovato il mio super potere e vi invito a guardare il mio video intitolato Siamo tutti Supereroi. In poco più di ¼ d’ora vi spiegherò che siamo tutti dotati di un potere: c’è chi sa ballare, chi sa cantare, chi magari è un po’ più appariscente degli altri, ma c’è anche chi sa ascoltare, chi sa allevare i figli in una certa maniera, chi salva delle vite…».

Dopo il grande successo dello spettacolo Tel chi el telùn con Aldo Giovanni e Giacomo, ti senti un ottimo regista e un direttore artistico dello stupore?
«Ultimamente, insieme a Matthias Martelli mi è piaciuto parecchio dirigere Fred, dedicato al mitico Fred Buscaglione, che mischia gestualità, mimica e parola, con la musica dal vivo di Roy Paci. Un’esibizione molto dinamica, con cambi velocissimi e tagli temporali alla Netflix».

L’incantesimo ti accompagna anche nel privato?
«Come nella vita di tutti. Tant’è vero che il più grande esperimento di illusione avviene attraverso i social: ognuno di noi mette in scena un’utopia della realtà utilizzando all’occorrenza tutti i mezzi tecnologici che ha a disposizione, alterando le immagini o le sequenze con i vari filtri, per spacciare al mondo (senza alcun senso di colpa) una realtà che non è quella vera, bensì abbellita».

Antidoti?
«La magia che ci aiuta a sopravvivere, che ci stacca dal terreno, che ci fa sentire padroni del nostro tempo e del nostro spazio. E poi, una volta per tutte, aspiriamo al potere di gestire gli elementi della natura…».

I social illudono le masse?
«Siamo tutti mattoncini diversi: abbiamo bisogno di esistere per qualcosa, e ognuno di noi combatte per essere una pietra unica nel muro dell’umanità. Per i ragazzi di oggi, la realtà esiste e si muove dentro lo schermo del telefonino, mentre per noi era sinonimo di agire, scoprire, amare. Per farti un esempio, facevamo l’amore dal vivo e non davanti a uno schermo».

Com’è Arturo Brachetti quando va a fare la spesa? Il suo proverbiale ciuffo lo orienta sempre?
«Lo camuffo dentro un cappellino, così divento un uomo invisibile. Meno male che sparisco, per me è sempre un gioco. Ho 3 look che mi garantiscono l’anonimato: professore di filosofia, prete, rockettaro anni 80. Non mi riconoscono mai, non mi chiedono i selfie e sto tranquillo».

Sei consapevole di essere il migliore al mondo?
«Me ne rendo conto, ma la mia vita è un viaggio alla continua ricerca della perfezione. Non bisogna mai convincersi di essere arrivati: ricordo i miei primi anni a Parigi, quando per mesi ogni sera il teatro era pieno e dopo lo spettacolo non riuscivo più a dormire. Sono andato da un psicologo che mi ha detto: “Sei semplicemente arrivato in cima a una montagna e hai posato la bandierina”. Bisogna darsi sempre un traguardo, e una volta raggiunto riprendere il viaggio per un’altra mèta».

Oltre a raccomandarvi di non perdere SOLO – The Legend of Quick-Change, vi do un consiglio: volete scoprire qual è il vostro super potere? Frequentate il Corso di Stage Performer ideato da Arturo Brachetti. Di questi tempi c’è bisogno di una dose massiccia di magia… senza effetti collaterali!